di Massimiliano Franchi
L’universo del cantautorato italiano mi stupisce sempre, fatto di migliaia di sfumature, portato avanti sicuramente con grande cuore e passione e, nel caso di Valeria Caputo, con un’attenta ricerca e cura del particolare.
La cantautrice pugliese trapiantata in Romagna, con il suo primo album Migratory Birds, ci propone un folk di altri tempi, che spazia da woodstockiane ballate colme di luce come The Next Train e You can’t stop o intrise di malinconia come I’ll Be With You e It’s wrong, a momenti più intimi e poetici, costruiti sulla sola chitarra acustica accompagnata o dal violoncello, come in The Face on the Screen, Honey in My Room, The Sea has Told Me, o dagli innesti di chitarra elettrica e sax di Fly Away, passando attraverso le atmosfere psichedeliche di December Sun o la magia sperimentale un po’ alla Bjork con synth e violoncello della stessa title-track Migratory Birds. Questo sound che con i suoi dettagliati arrangiamenti trasmette dolcezza e serenità è accompagnato da testi che raccontano sogni, speranze, paure, empatia e rabbia, in una serie di visioni, quadretti casalinghi e affreschi bucolici narrati con semplicità e precisione.
Così la voce intima di Valeria e la sua chitarra acustica ci culla in un piacevole sogno breve ma intenso, dal gusto retrò ma con la consapevolezza di una realtà presente e di ottime prospettive.
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