UNDERWATER SUNSHINE (OR WHAT WE DID ON OUR SUMMER VACATION) Counting Crows (Collective Sounds, 2012)

di Massimiliano Franchi

(immagine da 2a949_counting-crows-underwater-sunshine-or-what-we-did-on-our-summer-vacation-2012-hq)Nel 2009, dopo sedici anni di contratto, i Counting Crows concludono la loro collaborazione con l’etichetta discografica Geffen, con cui hanno pubblicato dieci album tra LP, live e compilation. Ad aprile 2012 dunque, dopo un anno di gestazione, la band guidata dal brillante songwriter Adam Duritz pubblica indipendentemente Underwater Sunshine (or what we did on our summer vacation), album interamente composto da cover, scelte con cura in modo decisamente non scontato e spaziando in varie epoche e sonorità.
La malinconica Untitled (love song) dei giovani The Roman Rye introduce l’album con le sue chitarre indie-folk che riempiono gli arrangiamenti in modo più caldo dell’originale, mentre Start Again degli scozzesi Teenage Fanclub diventa una sostenuta ma dolce ballad acustica e Hospital dello sconosciuto Coby Brown viene resa in maniera più rock. La band californiana omaggia ben due volte i Tender Mercies, vecchio progetto del loro chitarrista Dan Vickrey e del batterista Jim Bogios, con Mercy e Four White Stallion (quest’ultima già inserita nel quarto album dei Crows, Hard Candy), entrambe abbastanza fedeli, mentre Meet the Ledge dei Fairport Convention, folk rock band conosciuti soprattutto negli anni ’70, viene modernizzata e stravolta e Like Teenage Gravity di Kasey Anderson & the Hockies viene trasformata in una più lenta e suadente ninna nanna. Altro salto negli anni ’70 con Amie dei Pure Praire League ed il suo tipico sound country di chitarre e banjo, e poi ancora ai giorni nostri con gli scozzesi Travis e la loro Coming Around, resa più sostenuta e per questo meno convincente, e di nuovo a 40 anni fa con il mid-tempo blues acustico di Ohh La La degli inglesi Faces (band in cui hanno militato anche Ron Wood e Rod Stewart). I toni scendono con la dolcissima All My Failures dei Dawes, recente progetto dei californiani fratelli Taylor e Griffin Goldsmith, ma subito si rialzano nella più chitarristica Return of the Grievous Angel dello storico cantautore anni ’60 Gram Parsons. Una strizzata d’occhio ad una vecchia band di amici di Duritz, i Sordid Humor, con la loro alternative-rock Jumpin’ Jesus, per poi omaggiare un re indiscusso come Bob Dylan in You ain’t go nowhere, prima del finale di The Ballad of El Goodo, resa meno psichedelica e più acustica degli originali hippy Big Star.

Sono vari anni che la vena artistica di Duritz ha perso un po’ quella verve che negli anni ’90 lo aveva reso tra i più convincenti ed emozionanti autori di testi negli Stati Uniti, e di pari passo la band stessa ha diluito forse con troppa calma i suoi tempi, probabilmente poco ispirata (escluse queste cover, negli ultimi dieci anni hanno pubblicato solo due album di brani originali). Ritengo però una buona scelta quella di testare una auto-produzione indipendente, in appunto un periodo di scarsità di originalità, con un album coraggioso di canzoni più o meno legate al cuore della band (la maggiorparte di queste già da anni vengono portate in giro dai Crows durante i live), interpretate mai in modo banale, ma tutte personalizzate e rese piccole perle dallo stile del gruppo e del loro cantante, come del resto avevano già dimostrato in passato con gioiellini come Big Yellow Taxi di Joni Mitchell, Caravan di Van Morrison o Friend of the Devil dei Grateful Dead.

Dunque piacevole prima prova per questa nuova esperienza autonoma, con l’augurio e la speranza che di qui a breve i Counting Crows tornino più convinti e ispirati di prima a incidere piccoli grandi capolavori rock.

per maggiori info sulla band: http://www.countingcrows.com

per ascoltare la prima traccia dell’album: http://www.youtube.com/watch?v=l9xJckjEJJI

 

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