Fabio Migneco
Il pubblico è veramente incontentabile. A tutte le latitudini. Fai un film di successo e ti chiedono il sequel. Lo fai e dicono eh però basta con tutti questi sequel. Se lo fai identico al primo film ti dicono non va bene è troppo uguale. Se cambi qualcosa ti dicono non è più lo stesso… Sembra Cara ti amo di Elio e le Storie Tese… Lo stesso è accaduto a Todd Phillips e alla sua saga del branco di lupi, the wolfpack. Nel 2009 il primo Una Notte da Leoni aveva sorpreso le platee di tutto il mondo con la sua folle avventura a Las Vegas, il tentativo di ricordare una notte brava in cui era successo di tutto ma della quale i protagonisti non avevano alcun ricordo. Lanciando definitivamente, oltretutto, i suoi protagonisti, in particolar modo Bradley Cooper, ormai star di prima grandezza e Zach Galifianakis, irsuto e sovrappeso picchiatello della commedia demenziale. Poi nel 2011 il branco tornò, con un sequel fotocopia sì, ma che variava qualcosa e aumentava il livello di follie in quel di Bangkok. Ora Phillips chiude la trilogia, almeno a suo dire, con una terza parte che invece cambia radicalmente la formula e diventa un road movie, ma anche un heist movie, un action, sempre col livello di demenzialità ben alto. Si ride meno forse (ma neanche tanto, di situazioni e battute gustose ce ne sono) ma ci si trova davanti una delle commedie meglio girate del recente cinema Usa. I nostri eroi questa volta tornano a Las Vegas, via Tijuana, per chiudere dove tutto era iniziato. [Ah, piccola parentesi per un critico di una nota rivista che si interrogava su come facessero i personaggi ad andarsene in giro senza curarsi dei lavori ecc. Mmmh… dunque Alan non lavora e fuori uno. Gli altri avranno pure delle ferie giusto? Uno fa il maestro, l’altro il dentista… E le storie di tutti e tre i film non durano che pochi giorni… mi sembra la cosa più plausibile del mondo… boh ma i film li vedono?]
Intelligentemente Phillips parte dal fatto che in questi anni i fan della serie ponevano l’accento soprattutto sui personaggi di Alan e di Mr. Chow, il folle asiatico che dal primo film mette il suo scombinato zampino in situazioni già di per sé disastrate, e su di essi ha costruito l’intero intreccio. La storia è ben congegnata e chiude tutte le questioni irrisolte o lasciate in sospeso nei due precedenti film, ci regala il consueto cammeo di John Goodman (non per la serie, ma di recente l’attore è onnipresente, dopo un po’ di anni in cui sembrava l’avessero dimenticato) nei panni di uno spietato gangster e ci sono ritorni illustri dal primo film, come il Doug nero o la spogliarellista Heather Graham. Chow è come sempre scatenato (già un cult il suo volo col paracadute sopra Las Vegas al grido “sono fuori di melone”, ma anche “amo la coca!”) e ordisce un piano all’insegna del doppio gioco davvero non male. L’insieme è persino più dark a tratti e le cose si fanno pesanti, qualcuno muore, insomma l’affare si ingrossa. Eppure, nonostante gli incassi, in molti si sono lamentati. Non siamo tra quelli. Anzi, Phillips è da lodare perché sapendo di poter contare su degli incassi assicurati ha osato e ha voluto fare qualcosa di nuovo all’interno della serie. I suoi attori hanno abbracciato la sua filosofia è il risultato a nostro avviso è proprio quello che la tagline del film prometteva, l’epico finale della trilogia. Chi se ne frega se stavolta non c’è la sbronza e il dopo sbronza, come si suol dire l’importante è il viaggio. Da una parte dispiacerà non vedere più il branco, dall’altra non è un male se la chiudono qui, quando persino Alan ha trovato la sua controparte femminile. Come sempre poi i titoli di coda regalano una sorpresa, qui al quadrato: non le solite fotografie della notte brava come nei primi due, ma una scena in più che è la ciliegina sulla torta, da non perdere. Vuol dire che per un quarto c’è sempre speranza? Mai dire mai a Hollywood chiaramente, ma non è necessario… Menzione speciale per la colonna sonora, ricchissima e variegata, su tutti i brani svetta, manco a dirlo, N.I.B. dei Black Sabbath, usata in una delle scene visivamente più affascinanti, quando i nostri vanno a stanare Chow al Caesar Palace. Una pellicola che oltre a quadrare il cerchio fa ben sperare per il futuro professionale di Todd Phillips, che iniziò coi documentari rock e passò alla commedia demenziale (non solo leoni, ma anche Road Trip, Old School, Parto col Folle, Starsky e Hutch) e che ora sembra destinato a registri ben più seri (sembra adatterà uno dei best-seller di Linwood Barcley). Ha dimostrato di averne la stoffa.
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