Un giorno qualunque

 

di Roberto Ceci

(© tutti i diritti riservati)

 

 

“andare camminare lavorare,

    in meridione luce,

 il nord non ha salite,

 niente paura, di qua c’è la discesa…”

Piero Ciampi

 

 

(foto da http://bomoll.blogspot.com/2006_08_01_archive.html)02.40

Giorgio cercava invano di riposare quella notte, tutto sembrava dargli fastidio. Il grande caldo e sua moglie, che dormiva accanto a lui e aveva il respiro pesante. Qualcosa sembrava turbare anche lei. “Mio Dio”, pensò, “sembra un camion”. Sorrise al pensiero, Carla lo aveva sempre accusato di essere lui a non farla dormire. “Ma non ti accorgi di russare?”. Francamente no, lui non si accorgeva mai di russare, lo capiva solo quando la sentiva scalciare, allora si rigirava dall’altra parte e riprendeva il suo sonno. Ma perché ora non riusciva a dormire? Non doveva più pensarci, ecco cosa doveva fare, liberare la mente…niente non poteva funzionare, stava sudando, si tolse la canottiera e si alzò. Andò alla finestra cercando di aprirla un altro po’, ma era bloccata e avrebbe fatto rumore. Erano mesi che dovevano aggiustarla, i soldi bastavano a malapena a far mangiare  Vincenzo e quella dannata finestra non era una priorità. Guardò fuori, lo spettacolo era sempre lo stesso, aveva un palazzo a circa tre metri di distanza, quelle maledette vie di Napoli lo facevano impazzire, si sentiva oppresso e la puzza dei rifiuti gli dava il voltastomaco. Lui era abituato ad altri panorami, ad un’altra vita. Era nato ad Agrigento e lì si che si stava bene, lì si respirava un’aria pulita. Si trovava sempre a fare lo stesso discorso con Carla, fu lei a portarlo a Napoli, qui aveva tutta la sua famiglia e lui, invece, non aveva più nessuno, non sarebbe stato facile convincerla a trasferirsi. L’aveva conosciuta dieci anni fa, nel 1998 quando viveva ancora nella sua città natale. Lavorava come assicuratore e un giorno dovette andare a Napoli per seguire un corso, una puttanata sull’autostima. La sera andò in un locale, una specie di disco-pub e lì c’era lei, si esibiva con il gruppo del locale e la sua voce gli toccò da subito il cuore. Una specie di musica divina che lo rapì e non lo fece più ragionare in maniera lucida. Com’era bella in quel locale, sembrava impossibile resisterle. All’inizio tentarono di istaurare un rapporto a distanza, poi quando capì di volerla sposare si trasferì a Napoli. La sua famiglia non aveva un soldo e lui dovette ricoprire ogni spesa, non trovando subito un lavoro come assicuratore dovette adattarsi e si fece assumere in una ditta di costruzioni. Già, che bella carriera che aveva fatto. Ecco perché non dormiva, aveva la schiena a pezzi e le mani erano piene di tagli, il suo corpo sembrava quello di un vecchio. I tempi di quando vestiva in giacca e cravatta erano lontani. Si allontanò dalla stanza da letto, sulla destra c’era la camera di Vincenzo, una specie di ripostiglio che riusciva a contenere quasi solamente il suo lettino. Gli bastò osservarlo pochi minuti. Ecco perché lo aveva fatto, ecco perché aveva rinunciato a tutto. Per quelle due meravigliose creature che ora stavano dormendo e che vivevano nella sicurezza del suo amore. In fondo, cosa sono i soldi se non puoi avere ciò che desideri? Lui voleva loro, ne era certo. Forse tranquillizzato dai suoi stessi pensieri Giorgio prese un bicchiere d’acqua e si rimise a letto. Questa volta non impiegò molto ad addormentarsi. Erano le tre del mattino e la sveglia sarebbe suonata due ore dopo.

 

 

05.00

La sveglia suonò e a lui non sembrava di essersi nemmeno messo a letto. Carla emise una specie di grugnito. Lui cercò la forza dentro di se e riuscì ad alzarsi, si rimise la canottiera e uscì dalla stanza. La casa era fatta solamente da quella camera, dalla stanza di Vincenzo, da un bagno e da un minuscolo soggiorno con angolo cottura. Quando uscì dal bagno, sentì piangere il bambino, entrò nella stanza e lo prese in braccio. “Oh su Vincenzino, non fare così, dai che adesso papà ti fa mangiare” Iniziò a scaldargli del latte e mise sul fuoco anche il caffé per se.

“Tesoro, buongiorno.” Carla si era alzata. Giorgio si voltò, si avvicinò e la baciò. “Buongiorno amore. Tieni, prendi questa specie di vitello mentre io gli preparo la colazione.”

“Non chiamarlo così.” Giorgio rise. Sapeva che le dava fastidio, ma gli piaceva stuzzicarla.

“Dormito bene cara?”

“Oh si, direi come un sasso.”

“Già, ho sentito. Hai russato.”

“Ma cosa dici? Non è vero.” Sapeva che era inutile continuare l’argomento, con lei era così, aveva sempre e comunque ragione. Carla non aveva un lavoro fisso, faceva la manicure e la parrucchiera su appuntamento nel quartiere, si era creata una cerchia di clienti fissi, ma non riusciva mai a portare molti soldi a casa. Lui sapeva però che questo la faceva sentire importante, in più con Vincenzo piccolo e con i suoi genitori che non potevano tenerlo per la loro totale inaffidabilità, lei non aveva modo di trovare un lavoro fisso.

”Stavo pensando che dovremo far riparare quella dannata finestra sai?” Disse lui, mentre prendevano il caffé.

“Si? E con quali soldi? Ti sei forse dimenticato che c’è da pagare la bolletta del gas e che dobbiamo portare Vincenzo dal pediatra?.”

“Già, hai ragione. Non ci avevo pensato. Vorrà dire che chiederò a Filippo di fare più straordinari. Ora fammi andare o farò tardi.”

 

 

07.00

“Su avanti Filippo, non riesco ad arrivare alla fine del mese, ho un mucchio di spese. Come faccio?Ho un figlio.”

“Lo so che hai un figlio e hai delle spese, proprio come tutti qui, ma io ti devo tagliare anche gli straordinari che già fai e tu me ne vini a chiedere degl’altri? Non posso Giorgio. Senza calcolare che dovrò spendere un mucchio di soldi per mettere questo dannato cantiere in regola. Mi è giunta notizia che la prossima settimana avremo un controllo. Prenditela con questi sciacalli che non ci fanno lavorare in santa pace…” Giorgio continuò a lungo a parlare con Filippo, proprietario della ditta, ma sapeva che era praticamente inutile. Di lì a pochi giorni non avrebbe potuto nemmeno fare gli straordinari che già faceva. Che cosa avrebbe fatto?  Era sempre alla ricerca di un altro lavoro, ma nessuno sembrava prendere in considerazione il curriculum di un ex-assicuratore che ora faceva l’operaio. Tornò a lavoro sconsolato, anche quella mattina recandosi al cantiere si era fermato davanti alla vetrina di quel gioielliere. Quando passava lui il negozio era ancora chiuso, ma anche da fuori riusciva a vedere la splendida lucentezza di quella collana di perle. Mesi prima passando lì con Carla, lui aveva visto il suo volto illuminarsi, proprio come quando l’aveva conosciuta. Avrebbe voluto comprarla e dargliela al suo compleanno, ma sapeva che non ci sarebbe mai riuscito. Certe volte si sentiva piccolo, ed era una sensazione orribile.

 

 

09.15

Lavorava già da un ora e mezza, era lì a dieci metri da terra con Diego, un suo collega. Il sole gli stava ustionando la pelle che si seccava di giorno in giorno.  Stavano costruendo un nuovo complesso di case, di quelle che lui, poteva solamente sognare di abitare. Dovevano lavorare veloci e lavorare molto. Erano in ritardo con le consegne. “E così questo bastardo ci taglia gli straordinari?”.

“Già, dice che non è colpa sua, che non può farci nulla.”

“Stronzate, lui non ha problemi di soldi, che gliene frega?” Diego aveva ragione, Filippo era un ragazzo che aveva ereditato la ditta del padre al momento della sua pensione. Non aveva certo i loro problemi. “Sai, sono andato anche oggi a vedere quella collana di perle.” Disse dopo pochi minuti di silenzio.

“Ma perché diavolo ti fai tutto questo? Sai benissimo che non te la puoi permettere.”

“Si, ma un giorno riuscirò a comprargliela. È tanto che non riesco a farle un regalo.”

“Glielo fai portandole il pane tutti i giorni e facendo di tutto per crescere il piccolo Vincenzo nel migliore dei modi tu…” Un urlo improvviso venne dall’alto, poi una specie di schianto. Diego non riuscì a finire la frase, alzarono la testa giusto il tempo per vedere una coltre di polvere e detriti precipitare verso di loro, le impalcature si piegavano e traballavano. Una grossa lastra di cemento armato era caduta dall’ultimo piano. Diego riuscì ad aggrapparsi a una tubatura di ferro rosso della stessa impalcatura, Giorgio fu colpito a un occhio da uno dei detriti, cercò di rimanere in piedi ma una scossa lo fece scivolare. Durò tutto pochi secondi, la vita stessa gli sembrò uno scherzo, una specie di gioco nel quale solamente chi non lotta, chi è nato con la fortuna può farcela. Cadendo il suo ultimo pensiero fu per Vincenzo e per Carla e all’ultima volta che l’aveva vista felice.

“Io prendo te Giorgio e prometto di amarti e onorarti in salute e in malattia in ricchezza e in povertà.” 

 

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