THE SESSIONS. GLI INCONTRI (THE SESSIONS – Usa 2012 – Ben Lewin)

 

di Fabio Migneco

( immagine da http://www.cinemadelsilenzio.it/images/film/poster/18162_big.jpg )Uno dei grandi esclusi ai recenti Oscar, dove pure era nominata la splendida (non) protagonista (che poi con quale criterio sarebbe da considerarsi non protagonista non si sa) Helen Hunt, ma anche uno dei film indipendenti di maggior successo e più riusciti dello scorso anno, premiato al Sundance, presente in numerosi festival, tratto dal saggio biografico Sessioni d’amore di Cheryl T. Cohen Greene, edito in Italia da Corbaccio. Questo è The Sessions. Gli Incontri, che approda nelle nostre sale senza crederci più di tanto, buttato nella mischia tra le svariate uscite settimanali. Ed è un peccato perché è un piccolo ma prezioso film. Basato su una storia vera (che aveva già ispirato il documentario Breathing Lessons: The Life and Work of Mark O’Brien di Jessica Yu, premiato nel 1996 con l’Oscar) è senza dubbio uno dei film che tratta l’handicap con il giusto equilibrio di verità e emotività, senza farsi affossare dalla retorica, senza piangersi addosso o chiedere la compassione altrui a tutti i costi, anzi. Proprio come faceva il vero Mark O’Brien e come fa quello filmico, magnificamente interpretato da John Hawkes (un peccato mortale che non abbia ricevuto nemmeno la nomination) che riesce a suscitare sorrisi e risate, a farti emozionare e riflettere in egual misura, emanando una grande personalità, una simpatia contagiosa e una intelligenza invidiabile. Tanto che l’handicap passa quasi in secondo piano. Hawkes, 53 anni, una gavetta infinita, una vita da caratterista dai primi ruoli per Rodriguez nella loro Austin (Roadracers, Dal Tramonto all’Alba), fino a pellicole quali Me and you and everyone we know, Un gelido Inverno, La fuga di Martha, ma anche La tempesta perfetta, American Gangster, Miami Vice e ancora fino al Lincoln di Spielberg ora in sala, trova uno dei suoi ruoli più incisivi e importanti e se lo merita, vista l’intelligenza e l’umiltà con cui ha portato avanti la sua carriera, costellata anche di serial mai banali, sia sul versante drammatico che sul comico, come nel caso di Deadwood o Eastbound and Down, entrambe produzioni Hbo. Carnalità e desiderio, sentimento e fede, il diritto alla ricerca del piacere, a una vita vissuta pienamente e fino in fondo, nonostante tutto. L’amore di alcune donne davvero speciali, ognuna con il suo modo di farlo sentire, l’importanza dei rapporti umani. Sono molti i temi del film, tutti trattati con la giusta grazia. E anche se si parla di sesso e non mancano i nudi (quasi tutti integrali quelli della Hunt, interprete coraggiosa anche in tal senso) non c’è assolutamente nulla di pruriginoso o di forzato. In mani diverse il film sarebbe stato un disastro. Con Lewin che sa di cosa parla – anche lui poliomielitico, in forma meno grave – l’equilibrio è tutto. Tanto che, se la sua sceneggiatura è ferrea, dal punto di vista registico si defila con classe lasciando campo libero agli attori e con un terzetto come il suo il risultato non poteva che essere garantito. La terapista sessuale di Hunt, una figura tutto sommato oscura agli occhi della società, è un personaggio che non si dimentica e che lascia intravedere tutto un mondo che meriterebbe un film a parte (basti pensare a quanto si potrebbe dire sulla convivenza e l’influenza del suo lavoro nella vita privata e agli occhi degli altri, spettatori compresi). Merito della sua interpretazione nella prova forse migliore della sua carriera, di sicuro degli ultimi anni. Ma c’è anche il prete capellone e Shameless del sempre impagabile William H. Macy, umanissimo e toccante in una caratterizzazione scolpita con maestria nei pochi minuti a disposizione. E’ una di quelle pellicole che si porta appresso un’aura speciale, già dal trailer, e che meriterebbe un successo affidato al passaparola del pubblico. Un inno alla vita, nonostante un’esistenza segnata e un futuro già scritto e inevitabile. E, quando nel finale la tristezza dovrebbe, potrebbe prendere il sopravvento, lo spettatore in realtà esce dalla sala con il sorriso e, probabilmente, non ci può essere messaggio di speranza migliore di questo.

 

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