di Francesco Bordi
“Non…”.
La personalità di alcuni scrittori e degli editori che li supportano si possono notare da vari elementi:
“Non fidarti…”.
Quel carattere deciso a volte salta all’occhio attraverso anche un semplice segno:
“Non fidarti di…”.
Una sorta di consapevolezza che emerge da subito, anche dalla grammatica di un titolo…
“Non fidarti di Cappuccetto Rosso – Quando a raccontare le storie sono i cattivi” è una scommessa, assolutamente vinta, da parte delle Edizioni Efesto.
Il titolo ha incuriosito il sottoscritto durante una delle varie fiere librearie a cui Culturalismi partecipa a cadenza più o meno fissa. Nello specifico mi trovavo nel reatino, precisamente a Poggio Mirteto, in occasione di Sabina Libri 2024.
Passaggiando per gli stand degli editori presenti in fiera mi sono imbattutto in una copertina raffigurante questo lupo, quasi umanizzato e dalla posa giovanile, su sfondo rosso accesso interrotto da alberi stilizzati. Il titolo? Era un esortativo, o meglio, un imperativo “NON FIDARTI…”. Già mi aveva colpito il coraggio.
È opinione diffusa infatti, fra molti addetti ai lavori, che sarebbe buona norma non inserire mai un titolo con una negazione iniziale (chi vi scrive, se ne è allegramente infischiato visto che il mio primo romanzo usciva nel 2016 con un bel NON come parola iniziale del titolo). Allo stesso modo le medesime perosone sostengono che un imperativo in copertina sarebbe ugualmente rischioso perché imporrebbe al lettore una tesi piuttosto forte a cui dovrebbe necessariamente corrispondere un testo di spessore. Se questa equivalenza non si dovesse verificare, il libro sarebbe destinato all’oblio.
Bene, alla faccia di queste norme perbeniste la raccolta di Annalisa Coluzzi e Marco Muscarà è un testo estremamente valido ed intelligente.
Gli autori non solo hanno inserito un coraggioso avvertimento verso Cappuccetto Rosso, rappresentante di un genere considerato ancora oggi intoccabile, soprattutto nel nostro Paese, ma hanno anche soddisfatto e, forse, superato le aspettative di una copertina che, volente o nolete, sfidava curiosi ed esperti lettori.
Dieci racconti, dieci fiabe, anzi… dieci riletture di favole che ci offrono un altro punto di vista su le storie che appartengono al nostro folklore, dove per “nostro” intendo a livelo mondiale.
L’arco di Robin Hood, il naso di Pinocchio, Hansel & Gretel e le loro mollichine, Biancaneve con la sua mela o la stessa Cappuccetto Rosso che va a trovare la nonna nel bosco sono delle vicende che molto difficilmente potrebbero trovare lo stupore del “mai sentite” nei volti di qualcuno, perché fanno parte della nostra conoscenza collettiva, quasi a livello cromosomico mi spingerei a dire.
Proprio per questo motivo sono considerate intoccabili. Le favole insegnano, avvertono, educano, sono per così dire il secondo passo verso la collettività subito dopo quello rappresentato dalla famiglia. Un atteggiamento di rispetto, dunque, del tutto comprensibile, perchè creare una fiaba con elementi e forme di comunicazione in grado di stimolare, incuriosire, spaventare e spingere ad imparare dagli errori non è un’operazione semplice. Ancora oggi i titoli destinati ai bambini sono i più complessi per qualunque tipo di penna, anche la più consumata.
Tuttavia questi racconti popolari hanno comunque un aspetto oscuro, a volte solamente accennato, che non sempre emerge nelle varie declinazioni a cui vengono sottoposti.
La sempre più citata Disney, ad esempio, ha contribuito ulteriormente alla diffusione delle favole attraverso i suoi primissimi film e cortrometraggi dove nella stragrande maggioranza dei casi, ha eliso o ridimensionato gli elementi dark che sussistevano come monito ed avvertimento per i giovanissimi lettori (a volte semplici ascoltatori, considerata l’età).
Non fidarti di Cappuccetto Rosso ha preso, in tal senso, le giuste misure a dei mostri sacri della letteratura popolare attraverso due mosse.
Raccontare i fatti dal punto di vista dei “cattivi” e, in seconda bttuta,
far intravedere quel famoso lato ombroso evidenziando che non necessariamente si tratta di un aspetto inerente ad un personaggio negativo delle storie, ma riconducibile, perché no, anche agli stessi paladini.
Ecco allora che nella storia “Una stimata famiglia di lupi cattivi”, di riflessione in riflessione scopriamo che il lupo cattivo di Cappuccetto Rosso non era davvero così malvagio e che magari aveva delle differenti aspirazioni culinarie che sono state sempre mal interpretate.
Nella “Ricetta per bon bon al cioccolato”, veniamo invece a conoscenza di alcuni problemi di salute di Brunilde, dovuti all’età avanzata, che hanno confuso le valutazioni dei due voraci bimbi Hansel & Gretel spingendoli, troppo precipitosamenete, a gettare la vecchia strega cattiva nel forno. Ma era davvero una strega cattiva? O era solamente una signora piuttosto anziana che non era in grado di spiegarsi correttamente?
Se avessimo letto prima il “Caro Diario” di Anastasia, una delle sorellastre di Cenerentola, probabilmente vedremmo l’intera vicenda sotto uno sguardo differente. La famiglia, si sa, influisce in maniera decisa e prepotente sulla formazione di ognuno di noi. Se dunque Cenerentola fosse stata amata dalle sue sorelle acquisite vittime, però, delle manipolazioni della loro madre? Se la verità fosse stata alterata squotendo la loro quotidianità proprio come si squote una di quelle piccole sfere con la neve finta che, con tutto quel movimento, altera il colpo d’occhio dell’intera struttura?
E se Re Giovanni senza terra di Robin Hood fosse stato più un sempliciotto incapace di prendere autonomamente una decisione propria piuttosto che un malvagio avido?
Se Gothel avesse sinceramente voluto bene a Raperonzolo, proteggendola fin dalla sua infanzia e preservandola da una famiglia d’origine non eccepibile?
Se le relazioni familiari fra i vari personaggi di Pinocchio fossero molto più complesse e più strette di quelle a noi note? Quale sarebbe la rinnovata responsabilità di Mastro Geppetto?
Se il patto fra la Sirenetta e la strega dei mari Ursula ruotasse in realtà intorno ad un concorso canoro?
Se Tremotino fosse proprio lui quello che effettivamente subisce più tentativi di raggiro nell’ambito dei contratti stretti con la sua clientela?
Se “Jack e la pianta di fagioli” fosse in realtà l’inaspettata conseguenza di un impresa commerciale del gigante finita male?
Se lo specchio di Grimilde in Biancaneve fosse stato innamorato, sin dall’inizio, della Regina stessa soffrendo in maniera indicibile ogni qual volta che doveva confessarle che la più bella del reame non era più lei?
Tutti quesi “se” hanno dato vita a racconti, divertenti, ironici ed intelligenti altamente godibili in cui non è detto che, nelle riletture, i cattivi siano in realtà dei buoni o viceversa. Semplicemente si tratta di storie brevi che offrono differenti punti di vista su quanto è invece universalmente assoldato da centinaia di anni nell’ambito della letteratura d’infanzia e per ragazzi.
Non mancano riferimenti pop ben amalgamati all’interno del testo. Echi di talent show, linguaggi giovanili o incone degli anni ’90 – 2000 che risuonano all’interno delle fiabe, ma in maniera nient’affatto invasiva, anzi complementare.
Intendiamoci, la riletteura dei racconti favolistici di sempre non è una novità assoluta nel panorama degli studi così come nell’intrattenimento.
Nella saggistica, così come nell’industria filmica recente ci sono state già parecchie incursioni di settore creando così un genere rivisitato. Tuttavia in queste operazioni o si esamina la fabia dal punto di vista analitico: allegorie, significati reconditi, antecedenti storici e qui siamo nel saggio letterario, oppure si estremizzano caratteristiche dei personaggi con il risultato di esaltare i noti protagonisti o, in alternativa, scambiare quasi matematicamente i buoni con i cattivi. È il caso dei vari “live actions”, sempre di disneyana fattura, degli ultimissimi anni.
Non fidarti di Cappuccetto Rosso, invece, ha un valore decisamente differente. Le favole di Andersen, dei Fratelli Grimm e degli altri colleghi cantastorie persi nella notte dei tempi non vengono totalmente snaturate, ma offrono delle chiavi di lettura ironicamente plausbili che non ne sminuiscono il valore. Direi anzi, che in un certo senso, ne attualizzano il messaggio allargandone la portata delle sfumature. Cattivi e comprimari hanno uno spessore importante. Spesso si trovano in un’area non ben definita in cui ogni lettore si potrebbe serenamente identificare.
In questo senso la raccolta di Annalisa Coluzzi e Marco Muscarà ha l’approccio intelligente dell’analisi letteraria e lo smalto brillante dell’intrattenimento per il lettore.
Molte le risate, alcuni spunti di riflessione e qualche tenerezza percepita saranno probabilmente le conseguenze della vostra lettura del piccolo volume antologico pubblicato dalle Edizioni Efesto e opportunamente introdotto da Lucio Leoni. Mangnifiche le illustrazioni all’interno del libro. Complimenti sinceri a tutti gli artisti! Cito solo Andrea Flamini in rappresentanza di tutti gli altri. Non c’è favola senza disegni.
A questo punto, parafrasando e ridimensionando le buone norme, i buoni consigli, i saggi avvertimenti e le opinioni diffuse… vi esorto a non fidarvi dei vari “sarebbe meglio”… Non fidatevi neanche dei “Di solito non…” e dei “È buona norma…”.
Non fidatevi nemmeno di Cappuccetto Rosso!
Fidatevi delle storie scritte bene e di chi le ama, a prescindere.
Tutto il resto… sono favole.
Annalisa Coluzzi & Marco Muscarà, “Non fidarti di Cappuccetto Rosso – Quando a raccontare le storie sono i cattivi”, Roma, Edizioni Efesto, 2021.
Foto di Francesco Bordi © tutti i diritti riservati
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