di Antonella Narciso
Dopo accurate consultazioni con gli astrologi di corte, il 20 marzo del 1437, penultimo mercoledì di Quaresima, alle ore 18.48, Sigismondo Pandolfo Malatesta diede inizio ai lavori di costruzione del palazzo in forma di castello che doveva celebrare i fasti del signore di Rimini e Fano. A distanza di secoli, e nonostante gli affronti del Tempo e della Storia, castel Sismondo porta ancora i segni di quella nascita fortunata di cui le due mostre, allestite entrambe fino al 27 marzo, paiono una naturale emanazione.
Già al momento di acquistare il biglietto,vuoi cumulativo, vuoi unico, per Parigi. Gli anni meravigliosi e Caravaggio ed altri pittori del Seicento è chiaro che gli organizzatori sono stati animati da sentimenti benevoli verso il visitatore, cui non sono richieste capacità visive degne di un pilota di aviogetti per scoprire la propria tipologia tariffaria: prezzi e riduzioni per categorie convenzionate sono indicati chiaramente su di un pannello posto prima delle casse.
Divanetti, tappeti e vasi di fiori accolgono poi chi varca la soglia della mostra dedicata al confronto tra Impressionismo e Salon, tanto che si potrebbe quasi credere di aggirarsi per le sale di una galleria d’arte di altri tempi. La giustapposizione per nuclei tematici di opere accademiche altamente codificate contro quadri all’epoca rivoluzionari per scelta dei soggetti e trattamento della luce, nonché la qualità degli esemplari selezionati, fugano ogni dubbio sulla natura di questa esposizione: non l’ennesimo specchietto per disorientate allodole amanti dell’arte, bensì una piacevole occasione per interrogarsi sulla storicità del gusto e contemplare con uno sguardo contemporaneo autori (in parte) scomparsi dal nostro orizzonte culturale.
Non ci si imbatte qui nel capolavoro riprodotto sulle copertine dei quaderni o riproposto nei testi di storia dell’arte fino all’ottundimento delle capacità di osservazione; tuttavia il valore estetico di ogni singola opera è tale che ci si meraviglia di non averla ammirata prima.
La quotidianità non finita delle Bagnanti sulla Senna di Manet deve aver fatto sobbalzare più di un uomo del XIX secolo educato alla levigata bellezza della Venere di Cabanel o alla perfezione ideale (da photoshop, direbbe l’osservatore del XXI secolo) dei corpi di Bouguereau ne La giovinezza e l’amore.
Particolarmente illuminante il dialogo tra le opere presenti nella sezione dedicata al ritratto: riproduzione somigliante e riconoscibile per gli Eletti del Salon, riproducibilità di un volto che si costruisce grazie alla luce per Degas e compagnia. Non si possono negare l’abilità di Delaunay nel Ritratto di Mademoiselle Stéphanie Brousset o la bravura di Bonnat nel cogliere l’acerba bellezza di mademoiselle Fianchetti; altrettanto stupefacente però è il modo in cui Renoir rende il costume di velluto cangiante di madame Henriot, per non parlare della sensibilità cromatica, giocata sui diversi toni del violetto e del blu, dimostrata da Caillebotte nel suo Interno, donna alla finestra. Sfilano ancora i classici, per noi, Courbet, Bazille, Cézanne, Morisot e Gauguin e lo scontro tra visioni opposte viene declinato in modo se possibile più evidente nelle nature morte, o meglio sospese, e nella realizzazione dei paesaggi: a tele di grandi dimensioni in cui i pittori del Salon mettono in scena drammatiche tempeste, Monet risponde con paesaggi invernali in cui la neve confonde le forme mentre il pennello di Pissarro scorre veloce sugli alberi di Louveciennes.
Il Seicento barocco esplode invece nella sala che ospita tredici dipinti provenienti dal Wadsworth Atheneum di Hartford, museo più antico d’America, figlio del generoso lascito, nel 1842, del collezionista ed artista dilettante Daniel Wadsworth e dell’instancabile lavoro dei direttori successivi.
L’estasi di san Francesco d’Assisi di Michelangelo Merisi da Caravaggio, offre l’opportunità di completare un catalogo estetico individuale arricchitosi in occasione delle celebrazioni per i quattrocento anni dalla morte: primo dipinto di soggetto religioso dell’artista, mostra l’attimo in cui il Poverello di Assisi, ricevute le stigmate, rinasce alla vita sostenuto da un angelo.
Influenzato da Caravaggio è il quadro di Orazio Gentileschi, Giuditta e la sua serva con la testa di Oloferne, anche se questa elegante eroina poco ha a che fare con la donna determinata che conosciamo dal dipinto del pittore lombardo conservato a palazzo Barberini a Roma.
Interessante il confronto tra i rapidi tocchi, particolarmente evidenti nella resa del guanto, con cui Frans Hals ritrae Joseph Coymans e le pennellate degli Impressionisti visti poco prima.
Altra nota degna di merito: i cataloghi, peraltro ben fatti, di entrambe le mostre sono in vendita ad un prezzo estremamente ragionevole.
Tutte, ma davvero tutte le informazioni sul sito www.lineadombra.it
Leave a Reply
Your email address will not be published. Required fields are marked (required)