di Antonella Narciso
Non è facile amare Elias Rukla mentre, dalla cattedra di un liceo di Fagerborg, Oslo, lotta contro l’ostilità e la noia dei suoi allievi.
“Timidezza e dignità”, secondo titolo dello scrittore norvegese Dag Solstad apparso in Italia per i tipi di Iperborea, narra della discesa all’inferno di un professore di letteratura norvegese in una grigia mattina di ottobre, sotto un cielo “attraversato da veli sfilacciati di nuvole nere”. Fiaccato da “quel senso di disagio che non riusciva a non provare per essere costretto a vivere in questi tempi e in queste circostanze”, nonché dai postumi di una bevuta meditativa serale a base di birra ed acquavite, il professor Rukla si imbarca in un’analisi de L’anitra selvatica di Ibsen i cui esiti saranno per lui fatali.
Con uno stile che procede per ripetizioni ed accumulazioni ed un uso di parentesi ed incisi che ricorda molto da vicino quello dei testi teatrali, Solstad dipinge il ritratto di un uomo a disagio con il suo tempo e con la cultura che questo produce, incapace di trovare un piacere personale nelle lezioni di letteratura norvegese in cui normalmente propone interpretazioni piuttosto note e che non risvegliano nemmeno il suo interesse.
Eppure, in un sistema così ben strutturato di recriminazioni e disincanto, qualcosa comincia a cedere già dalle prime pagine e la battuta chiave del dottor Relling, personaggio secondario del dramma di Ibsen in esame, assume i toni di una profezia: “Togliete all’uomo comune la sua menzogna vitale, e gli toglierete anche la felicità”. Elias comincia così ad affogare in un mare di lapsus e di interpretazioni testuali mancate: questo adulto colto, con venticinque anni di insegnamento nella sua lingua madre e che ha ricevuto la più alta istruzione del paese, non riesce a tradurre per la sua classe ciò che di nuovo improvvisamente coglie nelle parole di Ibsen, in un crescendo di ostilità non verbalizzata da parte dei suoi allievi. A farne le spese è l’ombrello del professore ed una alunna bionda e sovrappeso che viene apostrofata in modo pesante ed infantile.
E’ la fine. Ma è anche l’inizio di un girovagare per i quartieri di Oslo e per le stanze dell’anima di Elias nel corso del tempo. Prendono allora corpo i personaggi di Johan Corneliussen, brillante ed ambizioso studente di filosofia, amico ed alter ego vincente del protagonista, e di Eva Linde, un tempo bellissima moglie di Johan ed attuale consorte sfiorita ed ingrassata del protagonista. Sullo sfondo di una Norvegia che prima si accalora per l’interpretazione dei testi marxiani e poi impara a tremare per le sorti di una giornalista televisiva trascurando la morte degli scrittori, un giovane Elias si lascia trascinare dall’inesausto appetito vitale di Johan senza però mai riuscire a colmare il divario tra sé ed il mondo: il suo è un universo in cui la letteratura fornisce codici di comunicazione e schemi comportamentali forse un po’ meccanici e ripetitivi.
Bellissimo ed umano resta il personaggio di Eva, luminosa e quasi infastidita dal suo fascino in gioventù, e finalmente libera di essere se stessa quando la natura e l’età la liberano dal giogo del desiderio altrui. Amante degli oggetti costosi, ma anche capace di riprendere gli studi da assistente sociale in età adulta per agire in quel mondo che il marito disprezza, Eva è una Beatrice laica che mostra con fiducia al marito, sempre più deluso e disorientato, i segni di decadenza sul suo corpo ed insieme indica a chi sa ascoltare una possibile via di rinascita come parte integrante di un società in decadenza.
Solstad, Dag, Timidezza e Dignità, Milano, Iperborea, 2011.
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