di Fabio Migneco
Arrivato all’undicesima regia Sergio Rubini, tra i nostri attori meno incasellabili, torna nei lidi di Anima Gemella, altra sua pellicola che flirtava col paranormale declinandolo in chiave di commedia, da dove arriva anche Valentina Cervi, lì tra i protagonisti, qui tra i comprimari d’eccezione. Di tutti i suoi film probabilmente quest’ultimo è il più immediato, ma non per questo il più facile o il meno curato, anzi. Se dal punto di vista tecnico è qualche passo indietro rispetto ad opere indubbiamente più riuscite, di grande respiro e impatto come il bellissimo La Terra, è nella direzione degli attori che Rubini dà, ancora una volta, il suo meglio. E qui ha avuto modo di scatenarsi, con a disposizione talenti comici – e non solo – come quelli di Neri Marcorè, Emilio Solfrizzi (forse ancora troppo poco sfruttato al cinema) e Pasquale Petrolo in arte Lillo (di nuovo senza Greg come a volte accade, vicendevolmente, nel loro rapporto ormai ventennale), tutti in parte e tutti capace di tirare fuori ogni risvolto dalla storiellina imbastita con Umberto Marino (col quale Rubini torna a collaborare decenni dopo La Stazione, suo esordio dietro la macchina da presa), che veleggia tra rancori mai sopiti, introspezioni e prese di coscienza, mettendo in scena l’improbabile reincarnazione dello sfigatissimo Biagio Bianchetti nel corpo di Dennis Rufino, manager di successo, per potersi vendicare dell’odiato rivale Ottone, che lo ha perseguitato sin dai tempi della scuola. Ma, come sempre, l’apparenza inganna e Biagio nei panni di Dennis, troverà verità che non conosceva in vita e avrà forse una seconda occasione, per merito di una sorta di strambo angelo custode impersonato con gusto dallo stesso Rubini. Margherita Buy e Vanessa Incontrada sono il lato femminile della vicenda, la prima divertentissima nei panni dell’impacciata amante di Dennis dalla sessualità repressa, la seconda nel ruolo, reso con la giusta grazia e dolcezza, della moglie di Biagio, forse un po’ assente ma a modo suo innamorata del marito. Tra un cameo di Enzo Iacchetti, uno di Gianmarco Tognazzi e una strizzata d’occhio a Fellini (che praticamente lanciò la carriera del giovane Rubini) nella rappresentazione dell’aldilà, la commedia scorre liscia come l’olio riservandosi qualche sorpresa nello svolgimento del suo epilogo, anche quello variazione garbata su un tema classico come quello della seconda chance.
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