di Fabio B Dascola
“Reggae music again” nella ameno laghetto di Villa Ada, per la consueta manifestazione musicale estiva “Roma incontra il mondo”. Protagonista della serata è l’immortale Maxwell Livingston Smith, meglio conosciuto con il nome di Max Romeo. In realtà l’artista giamaicano, cruciale nel panorama reggae degli anni settanta, è stato ingaggiato nelle ultime settimane per sostituire Toots Hibbert, front-man del gruppo Maytals, con i quali avrebbe dovuto esibirsi per la seconda volta nella storia di questa rassegna ma poi costretto ad annullare il suo tour europeo a causa di un incidente avvenuto durante un concerto negli States. La storia di Max Romeo è esemplare di molte dinamiche legate alla musica giamaicana. Dopo un’infanzia problematica e qualche prima registrazione da solista e successivamente con il trio vocale The Emotions, inizia a collaborare con il produttore Bunny Lee. Bunny cerca di inquadrarlo con il nome “Romeo”, che deriva da un aneddoto che vede Max appollaiato su di una staccionata per ore ed ore a parlare con una ragazza. Ispirandosi a questo presunto atteggiamento romantico il produttore lo lancia con lo pseudonimo di Romeo con un singolo dalle liriche sessualmente esplicite “Wet dream”. Il brano non fu molto amato dal cantante che nel frattempo aveva abbracciato il rastafarianesimo e, come si vedrà in seguito, temi più legati al sociale. Pubblicato nel 1969, ebbe invece un forte impatto sul pubblico, riscuotendo successo anche in Inghilterra nonostante fosse stato bandito dalle programmazioni radiofoniche, permettendo così al cantante il vero e proprio lancio della propria carriera con l’album “A dream”. Nel periodo seguente, mentre aderisce apertamente al tentativo di svolta socialista che Manley prova a dare alla vita dell’isola , l’artista lega il suo nome al terzetto di produttori Bunny “Striker ”Lee, Niney “the Observer” e Lee “Scratch” Perry, nonché alle loro reciproche collaborazioni. Per Bunny Lee lavora in studio come backing vocalist, con Niney realizza una serie di hit culturali come “Rasta band wagon” e “Three blind mice”, mentre impiega una cospicua parte del suo tempo nei mistici studi della Black Ark come braccio destro di Lee Perry. Orgoglioso frutto di questa collaborazione è soprattutto nel 1976 il suo capolavoro, “War in a Babylon”. L’album contiene quelli che sono probabilmente i suoi brani migliori, dalla title track a “One step forward” proseguendo con la cruciale “Chase the devil”. Con questi successi Romeo si presenta sul palco di “Roma incontra il mondo” subito dopo un’esibizione lampo di Sister Audrey, vecchia conoscenza della scena inglese, cresciuta nell’etichetta Ariwa di Mad Professor. Dopo tale fulminante ma calibrato inizio l’artista, con il consueto completo rosso ed i lunghi dreadlocks, continua a ripercorrere la sua carriera con alcuni dei brani più popolari sostenuto da coppie di fiati e coriste che, cavalcando nuovi arrangiamenti, danno un tono quasi epico alla serrata musicale. Nell’ora e venti circa di good vibes si continua passando da “Selassie I forever” e “Melt Away”, alle più recenti “Back to the bible” e “A little time for Jah”. Poi “Revelation time”, “Uptown babies don’t cry”, “Perilous time” e “Open the iron gate”. Veniamo trasportati quindi fino al momento culminante, caratterizzato dal “pull up ”, il segnale tipico delle balere giamaicane che si riferisce al braccio del giradischi, che viene sollevato e riportato all’inizio del brano a seguito della chiassosa risposta di gradimento del pubblico. Dà il via a questo dialogo, quasi rituale, lo stesso cantante su “Milk and honey “ e “Three blind Mice”, venendo poi travolto a sua volta su “Chase the Devil”, che è trasversalmente la sua canzone più conosciuta e citata, tanto da essere stata inclusa nella colonna sonora del videogame per Playstation “GTA”. A questo punto il gioco è fatto, e l’entusiasmo continua su “Jamaican Ska” tributo medley alla prima vera musica giamaicana: bandiera della liberazione dalla colonizzazione britannica negli anni Sessanta. È quindi il turno di “Redemption song” di Robert Nesta Marley, eseguita con il solo accompagnamento del coro del pubblico, poi “Public enemy number one”, “Rastafari is” e “My jamaica collie”.
Si congeda così Max Romeo, dopo averci parlato di religione e cultura rasta, elemento costitutivo dei temi della musica reggae, di Heile Selassie I, imperatore di Etiopia, Ras Tafari incarnazione di Jah, ma anche di Babilonia e di Satana, “nemico pubblico numero uno”, colui che mette fratello contro fratello. Immancabili anche i riferimenti alla Mariujuana, alla“Jamaican collie”: pianta sacra di meditazione e di ricongiungimento con il “superiore”, i cui fumi pervadono questa sera anche il laghetto di Villa Ada.
Per visionare il video della serata su youtube: http://www.youtube.com/watch?v=3rnlVIndTNQ
Per info sulla rassegna di Villa Ada: http://www.villaada.org/
Leave a Reply
Your email address will not be published. Required fields are marked (required)