di Ornella Rota
ROMA. Non applaudite! Riscoprite i carciofi e i pomodori del bel tempo che fu! Solamente così riusciremo a salvare il teatro di musica: come in tutti i paradossi, una parte di verità c’è.
Luigi Zacco Giovanelli è musicologo, agente musicale, cosmopolita, aristocratico. Studi di Teoria Musicale a S. Cecilia con Alfio Poleggi; poi Storia e Filosofia a La Sapienza con Diego Carpitella, uno dei fondatori dell’etnomusicologia nel nostro paese. Scelta di una professione “consequenziale all’essere melomane”. Vive tra Marocco, Sri Lanka, Brasile, Francia (dove ha lavorato per dieci anni solamente a Digione, unico agente del teatro dell’Opera), Tunisia, Grecia, Italia. La sua casata è originaria veneta: “Da Padova e Rovigo manco da una vita però mi fa così piacere quando qualcuno per strada mi saluta chiamandomi per nome”.
Qualcuno fra gli artisti di cui sei stato primo manager?
Giusto qualche nome per tutti: in passato il baritono Alberto Gazale, la soprano Monica di Siena, i direttori d’orchestra Lorenzo Castriota e Walter Attanasi; oggi la soprano cinese Sharon Zhai, la mezzosoprano georgiana Sofie Koberidze, il baritono Georgy Dimitrov e il controtenore Paolo Anziliero.
Scoprire talenti immagino sia il lato più positivo del tuo lavoro.
Assolutamente sì. Mi gratifica e mi emoziona, perché è una prova che tuttora dei grandi talenti esistono, nonostante il sistema usa-e-getta renda sempre più difficile valorizzarli. Prima, c’era un periodo di gavetta e in seguito gradualmente salivi; oggi se sei bravo arrivi immediatamente ai grandi teatri: dopo di che se reggi, bene, altrimenti avanti il prossimo”
I lati negativi?
Intanto, la nostra attività non sembra ancora completamente riconosciuta nel nostro Paese, anche perché è diventata legale solamente a fine anni ’80; altrove, non soltanto in Europa, era da tempo regolamentata, con relativo albo (l’iscrizione in un determinato paese autorizza a esercitare ovunque).
Poi, i continui tagli alla cultura peraltro speculari all’aumento dell’offerta di artisti nei vari settori, le irregolarità per non dire mala gestione nei conti dei vari organismi musicali, la progressiva riduzione del tempo per provare. Meno si prova meno si spende, tanto il pubblico inesorabilmente applaude, è una sorta di sfogo catartico che travolge bravi e non. I beneamati lanci carciofi e pomodori non esistono più. E pensare che sarebbero determinanti per salvare il teatro di musica.
Infine, la fatica di instaurare contatti con i direttori dei teatri, i quali sono ben sovente preda e ostaggio di potenti agenzie straniere (specialmente inglesi o statunitensi) che normalmente rappresentano gli artisti più celebri. Alcune agenzie concedono di scritturare un determinato interprete solamente a condizione che il teatro ne ingaggi anche altri _ certamente meno noti e presumibilmente meno dotati _ della medesima scuderia. Esistono anche ricatti brutalmente economici, nel senso che l’agenzia ingiunge al teatro di versarle una certa percentuale del cachet dovuto all’artista prescelto. Tra l’altro, questo strapotere snatura la figura stessa del direttore artistico, tra le cui precipue funzioni c’è proprio la scoperta di talenti.
Possibilità di migliorare la situazione?
Ora come ora non ne vedo. In parecchi ci stiamo orientando verso l’estero. Realtà molto interessanti sorgono in paesi lontani: a Shanghai ad esempio è di recente sorto un teatro lirico con 1800 posti, nella Corea del Sud la maggioranza del pubblico di questi spettacoli sta tra i 20 e i 30 anni. Sono riusciti a fare propria una musica che non c’entra nulla con la loro cultura, il che dimostra un’apertura mentale formidabile; non credo che noi non riusciremmo nell’operazione inversa. L’Estremo Oriente è una nuova frontiera davvero interessante. Ciò detto, anche in Germania, Francia, Austria, Gran Bretagna, Repubblica Ceca, Slovenia l’offerta musicale è ottima, e il pubblico ne gode come parte integrante della vita. A noi invece lo spettacolo musicale viene generalmente proposto quale “evento” _ con un’operazione di marketing che a volte può avere anche una valenza culturale ma più spesso cade miseramente. Tanto il pubblico applaude. Comunque.