di Fabio Migneco
Progetto covato per anni, al punto da diventare quasi un sogno per il regista, finalmente vede la luce e la gloria delle critiche e delle nomination a pioggia per i prossimi Oscar.
Non spaventi la durata di due ore e mezza, ci si concentri piuttosto sui molti punti di forza di quello che per Spielberg è un film atipico, sostanzialmente innovativo all’interno della sua filmografia. Non è quello che in molti si aspettavano, il kolossal spettacolare dai toni epici e nemmeno l’agiografia del presidente come qualcuno temeva. E’ un film molto parlato, tutto concentrato sui suoi attori (ma per chi si sofferma a coglierli ci sono dei movimenti di macchina straordinari nella loro classica eleganza), che può vantare un cast d’eccezione le cui punte di diamante sono senza dubbio David Strathairn, James Spader, Sally Field e Tommy Lee Jones (sorprendente dall’inizio alla fine dell’arco narrativo del suo personaggio), un quartetto che guida uno stuolo di volti più o meno noti in ruoli solo apparentemente di contorno (spicca Wolton Goggins, ma è bello ritrovare anche Bruce McGill o constatare come Joseph Gordon Levitt sia sempre più versatile). La performance di Daniel Day-Lewis è ancora una volta una grandissima prova d’attore (vedetelo in originale, senza nulla togliere a Pierfrancesco Favino che lo ha doppiato con grande cura e attenzione, non ci sono comunque paragoni a prescindere), che dona umanità e credibilità a una figura storica di tale importanza, con un grande lavoro sulla voce e la gestualità, non dimenticando l’ironia quando serve e incidendo profondamente in tutti i momenti in cui il presidente fa valere la sua autorità e il “potere immenso” di cui è investito.
Vincente la scelta di Spielberg di non voler fare il classico biopic, né di ripercorrere le tappe salienti della vita del protagonista, concentrandosi invece solo sui mesi finali del secondo mandato di Lincoln, quelli più turbolenti e cruciali di tutta la sua presidenza, e soprattutto sul tentativo di fare approvare il tredicesimo emendamento e abolire la schiavitù. Le molte sequenze delle discussioni e della votazione su di esso sono il cuore e il ritmo stesso del film. La guerra civile fa quasi da contrappunto, presenza ingombrante e lancinante, ferita aperta sul volto di un’America ancora in fasce.
Intelligentemente Spielberg sembra farsi da parte, defilato testimone della grandezza del suo cast. Invece è più presente che mai, dal primo all’ultimo fotogramma di quello che è l’ennesimo, sorprendente e riuscito tassello di una carriera, comunque la si guardi, senza pari.
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