di Claudio Consoli
Un gruppo di ragazzini, quasi nessun adulto, un po’ di dramma, sentimenti a profusione, la natura, la libertà e l’età della transizione difficile, magica e intensa dalla condizione di bambino a quella di adulto.
Se vi chiedessero d’emblée di quale film stiamo parlando probabilmente indichereste il bellissimo “Stand By Me” di Rob Reiner (tratto dal racconto “The Body” di Stephen King contenuto nella raccolta “Stagioni Diverse”) con un giovane e già intenso River Phoenix ma sbagliereste anche se, ovviamente le similitudini ed i rimandi, volontari o meno, ci stanno tutti.
Da dove salta fuori, dunque, questa pellicola? Il film è una co-produzione franco-belga-lussemburghese diretta dall’ attore-regista belga, Philippe “Bouli” Lanners, personaggio interessante e dotato di molti interessi e talenti artistici, con una formazione nientemeno che da pittore all’accademia reale delle arti di Liegi, precedentemente regista di un interessante road-movie, “Eldorado” (“Eldorado Road” in Italia) ed interprete in vari lungometraggi tra i quali citiamo “Mammuth” con Gerard Depardieu, “Niente da dichiarare” con e di Dany Boone (attore ben noto a chi non disdegna il cinema francese da “Giù al Nord” da lui scritto diretto e interpretato a “L’esplosivo Piano di Bazel” di J.P.Jeunet) oppure la sua parte nel recente ed acclamato “Un Sapore di Ruggine e Ossa” di Jacques Audiard.
Come suggerito in apertura qui siamo nell’ambito del racconto di formazione e dunque su un sentiero che, seppure già abbondantemente battuto sia in ambito cinematografico che letterario, può comunque riservare spiacevoli sorprese se non affrontato con la dovuta empatia e disincanto: chi non rimpiange infatti gli anni dell’adolescenza? La potenza e l’intensità dei sentimenti e delle paure che si provano? La forza di legami di amicizia che ci sembrano eterni e che magari invece svaniranno a distanza di pochi mesi o anni? Ecco allora che pigiando “solo” su questi tasti si rischierebbe di produrre l’ennesima opera sull’argomento, da qui la necessità di ricordare, da autore adulto, tutto lo spettro delle emozioni di un adolescente, comprese le bassezze, le cattiverie e le pulsioni magari sgradevoli ed elementari di quest’età particolare e di dipingerne un affresco non ruffiano ma completo e questo è, a mio avviso, il pregio principale del film.
Come nel film di Reiner i fatti prendono il via e si sviluppano da, e intorno, un lutto ed il concetto della morte in generale e portano i giovani protagonisti ad affrontare, esperire e metabolizzare violenze di tipo diverso: i due fratelli Seth e Zak, di anni 15 e 13 e ¾, si avviano a trascorrere l’ennesima vacanza nella casa rurale del nonno lontano dai genitori, troppo impegnati per trascorrervi le vacanze; a differenza però degli anni precedenti, il nonno è morto e quindi i due adolescenti sono incredibilmente soli e “responsabili” di loro stessi, con l’unico debole legame con la madre che si realizza tramite il telefonino di Zak. La violenza che loro devono affrontare è dunque quella dell’abbandono, della scarsa attenzione dei loro genitori nei loro confronti, immagine della nostra società distratta e stressata ma anche occasione per i due, come lo sarebbe stato per la maggior parte dei ragazzini di quell’età, di soddisfare una nascente e prorompente necessità di libertà e autodeterminazione. Questi due lati della stessa medaglia, sono chiari negli atteggiamenti e i sentimenti che si alternano nei due, mentre Zak tenta spesso e invano di tenersi in contatto con la madre, Seth sembra essere più distaccato, ma in realtà entrambi ne soffrono ugualmente anche se poi sembra essere Zak quello più pronto a reagire alla situazione (come poi dimostrerà, alla fine del film, con un gesto molto forte e dal grande valore simbolico e liberatorio, quasi edipico) mentre Seth dimostra di interiorizzare forse troppo il dolore, senza sapergli dare sfogo.
Nelle primissime scene del film i protagonisti incontrano il loro complemento, Dany che porta in dote una maggiore risolutezza e quel terzo punto di vista, foriero di stimolanti sviluppi all’interno di un rapporto tra fratelli, soprattutto maschi, necessario ad arricchirne la dialettica; anche i genitori di Dany sembrano distanti e distratti, tanto che non appaiono mai e vengono nominati fugacemente, la sua famiglia è però comunque e drammaticamente presente nel racconto, tramite il fratello maggiore, che si chiama ironicamente Angelo ed è lo scagnozzo di uno spacciatore, la cui brutalità e il limitato intelletto sono evidenti dal primo lombrosiano sguardo che posiamo su lui.
Come spesso accade in questo tipo di vicende il fratello di Dany, in qualità di “Villain”, avrà un ruolo importante nello sviluppo dell’intreccio narrativo, in maniera d’altronde prevedibile, come d’altro canto anche gli altri personaggi negativi hanno visi e fisicità caricaturali, da maschere, rappresentando probabilmente l’unico aspetto un po’ scontato della sceneggiatura che invece ci invoglia, lungo tutto il suo svolgimento, ad appassionarci e seguire i tre adolescenti durante la loro avventura sullo sfondo di un’incantevole e bucolica zona rurale, impreziosita visivamente da un’ottima fotografia.
Menzione finale per la coinvolgente colonna sonora ad opera di “The Bony King of Nowhere”, progetto del cantautore belga Bran Vamparys, dagli azzeccati toni fra il country e il rock.
Per ulteriori info sulla pellicola: http://www.lesgeants-lefilm.be/
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