di Francesco Bordi & Antonella Narciso
C: «Nelle ultime edizioni pisane a cui siamo andati non c’era il biglietto d’ingresso. Ad ogni modo l’entrata a pagamento è un discorso che abbiamo affrontato spesso: in certi casi un biglietto d’ingresso può rappresentare l’equivalente di uno o addirittura due libri potenzialmente acquistabili. Tuttavia nel caso del Salone di Torino e di Più Libri Più Liberi di Roma, probabilmente, rientra una serie di ragionamenti collegati alla grandissima portata delle manifestazioni, di fatto le più grandi di tutta l’Italia nel settore dell’editoria, anche per indotto.
Se parliamo però della cosiddetta conoscenza culturale alla portata di tutti, torniamo al solito discorso. Cos’è la cultura? Cosa significa leggere un libro e come lo devi “usare”? Si tratta della dimostrazione di uno status? Si tratta di un qualcosa che devi esibire? Oppure parliamo di aspetti più importanti?
Tu ci hai raccontato di Pisa, ma anche a Roma noi abbiamo visto ragazzi, che si aggiravano fra i vari stand della fiera con la calcolatrice in mano e li capiamo.
AP: «Esattamente a questo mi riferivo, ancora ricordo questa scena dei ragazzi a Pisa che prendevano gli spicci dal borsellino, proprio le monetine: “Che dici, ci arrivo? Non ci arrivo? Se mi fai un po’ di sconto?”. Davvero, ti si apre il cuore. Lo apprezzavo tanto»
C: «A proposito di sconto. Tu sei tra quegli editori che dichiara lo sconto fiera per iscritto presso lo stand, lo fai lì per lì, oppure non lo applichi?».
AP: «Lo sconto deve essere del 5%, questo diciamolo. Però è anche vero che se nel corso della fiera ci sono dei clienti affezionati che acquistano anche più libri è possibile che magari si faccia una scontistica maggiore, o meglio che si poi arrotondi un po’. Ad ogni modo capisco anche chi non applica alcuno sconto a queste manifestazioni. Ci sono, sì, politiche, agevolazioni varie e così via, poi però ognuno sa che cosa lo ha portato a stare lì e quali sono i sacrifici che ha fatto, quindi non metto bocca su quelle scelte. Sono delle dinamiche totalmente differenti che cambiano da editore ad editore e me ne accorgo sempre, di fiera in fiera, di volta in volta. Però ripeto, di base lo sconto si attesta al 5% ».
C: «Questo è il tuo approccio diretto con le vendite, perfetto. Ma come sei messa con tutta l’avanzata digitale? Che ci dici a proposito del pubblicizzarsi sui social?».
AP: «Io Annalisa? Zero! Io non sono sui social. Uso soltanto Twitter perché mi piace dare un’occhiata alle notizie velocemente. Per il resto, questo dei social è un discorso che davvero lascia il tempo che trova. Non ho voglia di quel tipo di interferenze. Credo di essere una persona abbastanza strutturata. Non posso pensare in positivo, ma neanche in negativo a quanto uno di questi contenuti influenzi veramente ad esempio un adolescente in piena formazione. Certe dinamiche social hanno destabilizzato anche me, hanno cambiato a volte, proprio l’andamento della mia giornata, alcune abitudini sono venute meno. No, no, io frequento soltanto Twitter. Per quanto riguarda la casa editrice, l’ufficio stampa cura i profili Instagram e Facebook, io non me ne occupo».
C: «Tu effettivamente ami il contatto diretto con le persone, segui una letteratura molto specifica, hai un istinto letterario molto forte, non utilizzi i social e soprattutto non li usi per “lavare il cervello” delle persone…. Come sopravvivi in questo paese dove invece quel tipo di strutture hanno molto seguito?».
AP: «Con in difficoltà, esatto. Diciamo con coraggio. Anche qui ci sarebbe poi da parlare…
Questo “coraggio” me lo nominano spesso nel mio lavoro: “Ah, che coraggio che hai!”: in realtà non sono io che ho coraggio, di fatto cerco di fare semplicemente il meglio che posso coerentemente con quelle che sono le mie passioni e con quello che è anche, come dire, il focus della casa editrice senza rimanere imprigionata. Provo ad essere coerente con un progetto, anche quando sono in difficoltà. Mi sono confrontata proprio su questo argomento con il mio ufficio stampa poche settimane fa: a suo parere, gli spazi sembrano contrarsi sempre di più, almeno per Gran Vìa. Quindi si hanno sempre maggiori difficoltà a veicolare e far conoscere il proprio testo nonostante un vissuto importante nel Paese d’origine: biografia notevole dell’autore, premi, stampa…
Nel confronto con il mercato italiano, alcuni spazi sono quasi proibiti per la piccola editoria. L’aspetto televisivo, ad esempio, non l’abbiamo neanche mai preso in considerazione, perché non ci sono possibilità fondamentalmente di nessun tipo. La rassegna stampa, la carta stampata sì, possono certamente essere molto utili, quello che io noto, però, è che può essere ancora più utile il passaparola. Per me vale ancora come il principale canale di trasmissione. Anche perché quando elimini l’intervista radiofonica, quando togli l’ospitata in televisione, quando non hai sempre i paginoni sui giornali, certo che diventa tutto molto più difficile e rimane per forza solo quello. Però ciò non pregiudica necessariamente il successo di un libro. “Guerre interne”, dicevamo, ha avuto una buonissima copertura, ma non ci sono stati riscontri. Invece, di contro, ci sono stati dei libri che hanno avuto una copertura molto minore, ma si è innescato un passaparola che ha funzionato. Come si è innescato? Non lo so con esattezza».
C: «Parlando invece di altre reti di vendita? Che tipo di approccio hai pianificato nel tempo?».
AP: «Un altro canale secondo me molto importante e su cui in effetti sto cercando di puntare con sempre maggiore convinzione è proprio il rapporto con le librerie indipendenti. Quando hai un libraio o una libraia che conosce il tuo catalogo, che ti vuole fortemente in libreria perché magari è anche un lettore della casa editrice, conosce le tue novità, ti segue e sicuramente consiglierà i tuoi testi, i risultati sono evidenti.
C: «Ma questo dove avviene? Roma? Milano? In Toscana?».
AP: «Anche in piccole realtà. Precisiamo, alcune; ho un contratto in esclusiva con “Messaggerie”, dunque mi muovo soltanto dove non ci sono canali già aperti. Questo può accadere anche nelle piccole città, non so Orvieto, Fano…
Il caso di Orvieto mi preme particolarmente citarlo. Quando, ad esempio, Nona Fernández è venuta in Italia, nel corso di uno dei suoi tour, abbiamo deciso di portarla in una piccola libreria di Orvieto, la “Sovrappensieri”, molto carina, però non centrale.
È stato davvero una sorta di piccolo investimento. Volevamo provarci perché lì c’era una libraia fortemente convinta… Beh, ha fatto un lavoro favoloso. Nona è stata contentissima, lo ricordo bene. Era settembre, dopo il Festival di Mantova. La libreria non era piena era STRAPIENA. Ventilatori accesi a causa della gente che si accalcava, almeno quaranta persone che da fuori cercavano di partecipare, entusiasmo… Perché è andata così?
Perché la libraia era un’appassionata del libro. L’aveva consigliato, l’aveva chiaramente esposto in vetrina, ma aveva fatto anche di più. Nel corso dei mesi antecedenti, aveva proprio creato un gruppo di lettura sull’autrice. L’aveva consigliata e promossa. Quindi è stato giocoforza che nel momento in cui l’autrice è venuta in libreria, tutte le persone che l’avevano letta, quelle che si erano incuriosite ed interessate sono accorse per conoscerla.
Probabilmente è stata una delle esperienze di presentazione in libreria più entusiasmanti ed inaspettate che ho avuto in questi anni. Invece la medesima esperienza in una qualche libreria più centrale di altre città non ha avuto il medesimo successo.
C: «Forse ha anche a che fare con la dimensione delle località. Nelle città più grandi la comunicazione si perde per diversi motivi, tra cui anche la molta offerta. Noi di Culturalismi viviamo a Roma e spesso neanche li conosciamo tutti gli eventi, nonostante le mail, gli inviti ufficiali e le comunicazioni degli addetti del settore. Inoltre chi vive nei grandi centri spesso accusa una stanchezza cronica e nonostante l’interesse per le diverse manifestazioni culturali, vede sempre più frequentemente come unico desiderio il riposo fra le mura casalinghe.
In un piccolo centro, invece, è diverso perché la piazza, intesa anche come piazza vera e propria, già di per sé viene spesso utilizzata come luogo, quasi sempre a portata di mano, in cui risolvere le tensioni di fine giornata, senza problemi di logistica. Se poi nel medesimo luogo d’aggregazione viene costruito su misura un appuntamento letterario o artistico, è molto probabile che il tutto funzioni al meglio rispetto a Roma, oppure a Milano, proprio per problemi di distanze o di dispersione delle molteplici manifestazioni in corso»
AP: «Comunque le librerie sono dei canali da incrementare. Ne stanno nascendo moltissime e parecchie di quelle che mi interpellano, anche nel post pandemia, sono quasi sempre gestite da ragazzi molto giovani. C’è ne è una a Bologna che ha aperto da poco. Beh, loro mi fanno dei rendiconti che mi sorprendono in positivo. Sono persone che sposano il progetto. Probabilmente hanno poche case editrici in negozio (quel minimo che ne possa assicurare la sopravvivenza), fermo restando che saranno aperti ovviamente anche ai grandi best seller, è normale che sia così. Tuttavia cercano anche di fidelizzare i loro lettori ed alcuni editori, ad esempio attraverso i gruppi di lettura. Questo avviene frequentemente. Ripeto perché ci tengo a dirlo: mi sorprendono nella puntualità della rendicontazione stessa e nella puntualità dei pagamenti. Non è usuale.
Alcuni anni fa sono passata attraverso delle storie assurde circa i riscontri delle vendite, ma dall’anno scorso mi sono aperta ad un esiguo numero di librerie, relativamente nuove, che mi stanno dando veramente delle grandi soddisfazioni. Spesso si tratta anche di micro-librerie che hanno a disposizione spazi veramente limitati presumo per questioni legate all’affitto. Un’altra punto vendita non grandissimo che però brilla per puntualità, correttezza e professionalità e che quindi merita assolutamente di essere citato è la “Mannaggia” di Perugia. Ecco loro sono piccoli, ma attivissimi, ipercorretti e molto attenti».
C: «A Roma molte librerie indipendenti, anche storiche, hanno chiuso come la Odradek a via dei Banchi Vecchi, oppure “I Trapezisti” nel quartiere Monteverde; proprio uno dei due titolari di quest’ultima al momento della chiusura ha realizzato una serie di video in cui denunciava la situazione editoriale e distributiva attuale che lo aveva costretto a cessare attività.
AP: «Lo capisco. Quando c’è grande passione, ma ti trovi di fronte all’impossibilità di risolvere problematiche come il settore distributivo o ancora l’atavica mancanza di lettori (perché poi alla fine torniamo sempre lì) la rabbia è tanta.
I lettori sono pochissimi in Italia, oggettivamente. Mi riferisco ad un numero capace di sostenere in qualche modo un’industria, se vuoi anche molto ricca, come l’editoria italiana. Sì, è così perché in Italia, complessivamente, si pubblica tantissimo e si traduce altrettanto, magari cose che valgono la pena di essere tradotte, altre meno, ma si pubblica, ognuno in base alle proprie possibilità. Però il mercato non viene sostenuto dai lettori e non ci sono nemmeno aiuti e supporti realmente funzionali per le piccole realtà editoriali che con fatica fanno uscire pochi titoli l’anno.
Tra la fine del 2023 e l’inizio del 2024 ho programmato due pazzie, due supervolumoni enormi. Sono appunto pazzie che nascono dall’incoscienza e dall’amore. Ogni tanto si fanno. Stavolta mi è capitato di farne due insieme. Non so come ne uscirò. Di uno di questi titoli ho svolto la lettura l’anno scorso, in originale, durante l’estate. Erano oltre cinquecento pagine. Conoscevo già l’autore. Bene, comincio a leggerlo sul mio e-reader, praticamente l’ho divorato: dal giovedì alla domenica sera. Mentre andavo avanti cercavo una motivazione per non pubblicarlo. Non era un tomo snello da proporre sul mercato, era un supertomone. “Non mi deve piacere, non può piacermi questo libro”, mi dicevo e… Che dire? Lo trovate nel mio catalogo.
Per fortuna a supportare i miei titoli, le follie e semifollie ci sono anche i bandi internazionali perché se è vero che da una parte c’è il lato passionale, il rapporto con il lettore, il rapporto con le librerie, se non fai attenzione vai a sbattere contro tutta una serie di no.
Vanno fatte delle considerazioni, altrimenti stai sul mercato per due anni e poi non ce la fai più e vai per strada. Se non ci fossero questi bandi sarebbe tutto estremamente più difficile. Ci sono dei criteri assolutamente da rispettare per parteciparvi, poi se non li vinci è perché c’è stato qualcun’altro che ha presentato un progetto migliore del tuo, ma sono dei criteri estremamente paritari per tutti ed a tutti gli effetti, senza cavilli e clausole impreviste. Sono tutti verificabili ed anche contestabili, volendo. Personalmente io non ho mai contestato un bando ed anzi sono contenta che esistano perché sono fondamentali per una casa editrice come Gran Vìa.
Ovviamente ci sono anche libri che non hanno usufruito del finanziamento, vuoi perché non hanno superato le graduatorie, oppure perché in quel Paese latino non esiste un finanziamento, ma è vero anche che ci sono molte realtà letterarie in cui quell’opportunità ha rappresentato una svolta per le nostre pubblicazioni. La Spagna da questo punto di vista è veramente meritoria; casi come quello della Catalogna sono incredibili, magari grazie anche alle loro spinte indipendentistiche, sta di fatto che tengono talmente tanto alla diffusione dei loro autori che non soltanto finanziano la traduzione, ma spesso anche la promozione, persino quando lo scrittore in questione è venuto a mancare. Mi è capitato personalmente qualche anno fa, sono stata contattata per dei finanziamenti relativamente ad una mia pubblicazione ed ho fatto presente che l’autore era morto. Mi hanno risposto: “non si preoccupi perché potreste presentare un progetto per far venire un gruppo selezionato di giornalisti nei luoghi dove si muovevano i protagonisti del romanzo”… Sono rimasta colpita da come incentivavano queste operazioni e da quanti meccanismi sviluppavano per promuovere i propri autori».
C: «E sulla la gestione degli ospiti internazionali? Come vi orientate a livello pratico ed economico? Stando a Narni forse è più difficile rispetto ad un editore ubicato a Roma, o in un centro equivalente?».
AP: «Sì, è una faticaccia enorme. L’ufficio stampa si presta molto e mi aiuta notevolmente in questo tipo di gestione, ma spesso si tratta di situazioni non facili. Ci sono stati anni fra il 2017 ed il 2019 in cui tenevamo degli incontri con l’autore qui in Umbria la settimana prima di Torino per poi correre al Salone con tutto ciò che comportava: esperienza che non auguro neanche al peggior nemico, perché ne esci distrutta. Fra i testi che devi spedire o che devi caricare, l’autore che sta Foligno, poi sta a Perugia, poi bisogna andare agli eventi che sono stati organizzati in fiera…
Però sono stati anni importanti.
La svolta probabilmente c’è stata quando Nona Fernandez, nel 2018, ha presentato “La dimensione oscura” al Festiva della letteratura di Mantova. Esperienza favolosa. Siamo entrati ovviamente con un po’ di anticipo in questo spazio enorme con tutte le sedie già posizionate. Io ero abbastanza fiduciosa perché sapevo che l’evento era già sold out, però non si può mai sapere. È venuta fuori una presentazione magnifica, fra l’altro coadiuvata da Michela Murgia che veramente si è messa al servizio di Nona dandole tutto lo spazio che meritava. Sala gremita, posti in piedi e qualche persona che veniva addirittura mandata via per questioni di spazio.
Anche il giorno dopo, quando c’è stato l’incontro fra Nona e gli studenti delle superiori, il successo si è replicato. Due esperienze completamente diverse, va detto. Anche le domande erano completamente diverse. Però loro avevano fatto un lavoro a scuola sul testo della Fernandez e quindi ci sono state delle curiosità dal pubblico emotivamente importanti ed anche molto coinvolgenti. Non posso che dire bene del Festival della letteratura di Mantova. Ogni volta che sono andata è stata sempre un’esperienza positivissima, in alcuni casi veramente determinante per il successo del libro e dell’autore in questione.
Comunque al di là dell’occasione della manifestazione di Mantova, quando viene in Italia un scrittore sudamericano cerchiamo di andare sia nei piccoli centri che nelle grandi città: quindi Orvieto, Perugia, ma pure una tappa milanese e una tappa romana, entrambe quasi sempre presenti anche per la presenza delle ambasciate. Per rispondere più precisamente alla vostra domanda, vi dico che a volte può capitare che il Paese d’origine partecipi alle spese relative all’alloggio, ma il fatto che comunque nella maggior parte dei casi venga finanziato il biglietto aereo è già molto: ci sono stati dei biglietti aerei dal Sudamerica di oltre cinquemila euro. Diversi Paesi sudamericani sono ben felici di esportare i loro autori oltre i confini. Fortunatamente ci sono i famosi bandi internazionali in tal senso».
C: «Da un paese all’altro hai riscontrato differenze in questo tipo di opportunità? Rimanendo sempre nell’ambito dei tuoi autori sudamericani come scegli la geografia delle penne da pubblicare di volta in volta?».
AP: «Dal punto di vista dei bandi… Beh, qualcuno spinge di più, qualcuno è più titubante perché magari ha meno esperienza. Diciamo anche che alcuni paesi non hanno una politica da questo punto di vista perché magari hanno una tradizione letteraria oggettivamente meno forte rispetto ad esempio a Messico oppure Argentina. Sono scelte che non so da cosa derivino, credo anche magari dalla disponibilità economica, o ancora dall’inflazione opprimente, in alcuni casi.
Per quanto riguarda la geografia del catalogo cerco di stare attenta. Non vado necessariamente a fare proporzioni o scelte in base al Paese d’origine. Certo è che durante la programmazione annuale cerco di non pubblicare in maniera troppo ravvicinata magari autori appartenenti alla stessa area geografica o che magari affrontano argomenti in qualche somiglianti fra loro. Certo, mi è capitato anche di pubblicare nel corso dell’anno due autori cileni o due autori argentini che sono in genere le letterature preponderanti, ma di base cerco di evitare sovrapposizioni.
Diversi anni fa mi sono imbattuta in qualche stralcio di racconto di un autore ecuadoriano, mi sembra. Mi sono mossa per i contatti. Ebbene, non sono veramente riuscita a rintracciarlo. Ho saputo soltanto che alla fine si era trasferito in Svizzera, però non ho ottenuto un contatto con un agente. Ho provato anche a raggiungere la casa editrice, ma nel frattempo era fallita. Alla fine ho lasciato perdere fondamentalmente perché sono passata oltre. Puoi star dietro ad alcuni autori per un po’, poi devi abbandonare. Ho persino provato con i social, ma non aveva né Facebook né qualcosa di simile. Peccato, mi era piaciuto molto.
Comunque sono ben contenta quando mi capita di imbattermi in un autore che mi piace, magari di un paese che fino ad allora avevo un pochino trascurato, perché rappresenta un territorio nuovo per me ma anche per lettore che così può avvalersi di una casistica un pochino più ampia: la nostra collana dedalos, che tratta esclusivamente il genere del racconto, risponde anche a questa funzione. Mi spiego, noi collaboriamo con Maria Cristina Secci che, fra l’altro, è docente presso l’Università di Cagliari: ecco, diciamo che ogni due anni circa, prendiamo in considerazione un Paese dell’area latinoamericana e selezioniamo insieme un numero variabile di racconti fra quelli che, secondo noi, sono gli scrittori o le fonti più interessanti relativamente ad un determinato periodo. Questa soluzione editoriale può essere utilizzata dal lettore un po’ a digiuno di letteratura latina rispondendo che si domanda cosa si muove di nuovo in quel territorio. Il genere del racconto, che ha una sua vita temporale limitata, è una buona chiave in questo senso. Allo stesso modo però questa collana di racconti può essere utile per il lettore che invece si muove già con una certa destrezza all’interno del mondo latinoamericano, perché in genere, soprattutto nelle ultime raccolte, selezioniamo i giovani autori, quindi delle primizie mai comparse prima, che forse porteranno successivamente alla pubblicazione di vere e proprie monografie a loro dedicate.
Per la Bolivia, per esempio, abbiamo fatto questa selezione e così io ho scoperto (perché ad altri penso che fosse già nota), Giovanna Rivero, scrittrice di cui mi sono talmente innamorata, che poco tempo dopo, abbiamo pubblicato una sua raccolta di racconti in maniera autonoma nella traduzione di Matteo Lefèvre. Precisamente si è trattato di una selezione fatta proprio da noi Ricomporre amorevoli scheletri, in collaborazione con l’autrice, nell’ambito dei suoi racconti più rappresentativi. Ecco, lei era una delle voci che fino a quel momento non avevo intercettato,
Ciò detto ci sono poi, ovviamente, Paesi ed autori che invece sono iper rappresentati attraverso le case editrice stesse, le agenzie letterarie…».
C: «Al di là di queste strutture classiche, tu dove cerchi i tuoi possibili autori? Come soddisfi la tua sete di lettura? Come assecondi il tuo fiuto?».
AP: «Sono davvero molteplici i canali attraverso i quali un autore o un’opera raggiungono l’attenzione. Molto spesso si tratta di scouting interno, anche se ormai, arrivano spesso informazioni da fuori. Una tendenza che quando mi occupavo di Europa (Spagna esclusa) non era così frequente. Ugualmente i blog letterari sono una cosa interessante. Quando hai attivato tutti questi strumenti, ti informi su una prima long list che successivamente diventerà una short list. In realtà nel tempo non ti occupi più di tutti quanti, perché impari a selezionare gli autori che secondo te sono più congeniali, quelli più vicini alla tua concezione editoriale. Ampliando il discorso, esistono anche riviste, supplementi e, fondamentalmente, i consigli di altri autori.
Quindi, come vedete, l’editore investe anche parecchio in ricerche».
C: «È la parte più divertente, vero?».
AP: «… La più bella in assoluto…
Quando lavoravo nella casa editrice pesarese io e questa collega avevamo convinto l’editore ad inaugurare una nuova collana, “Arca”, che si occupava di letteratura straniera. Facevamo poco scouting in redazione perché eravamo oberati di lavoro. Ne abbiamo parlato con l’ufficio stampa che si è offerto di aiutarci nei suoi periodi di stanca, cominciando anche lei a fare qualche ricerca sui potenziali autori per la collana. Poca roba, qualcosina. Dopo qualche giorno viene da noi e ci dice: “… Però io mi sento in colpa, perché non può essere che mi pagano per fare una cosa così bella”. Questo per dirvi, esagerando sì, che è una cosa talmente appagante, che in effetti non ti sembra nemmeno di lavorare per davvero». Oggettivamente cosa c’è di più appagante per un editore che selezionare i testi che andranno poi ad arricchire il tuo catalogo? Scoprire magari d’aver avuto la fortuna di trovare quell’autore desiderato seguendo il tutto dall’inizio. Prima cerchi di contattarlo, poi ci riesci ed inizia la contrattazione finché arrivi al momento della firma; quindi si sceglie il traduttore e parte tutto quanto.
A volte arrivano anche proposte spontanee: per fortuna adesso sono limitate e migliorate, ma nei primi anni erano totalmente campate in aria, della serie: “Proviamoci, faccio questa proposta a pioggia e qualcuno risponderà”, anche se non è in linea con il catalogo. Mi arrivava di tutto: letteratura rosa, letteratura giapponese… Sembrano esempi paradossali, ma sono casi assolutamente reali. Ancora oggi ricevo un paio di manoscritti italiani alla settimana, eppure dovrebbe essere abbastanza palese che non faccio letteratura italiana. Prima rispondevo sempre. Ora invece ne faccio una questione di ottimizzazione dei tempi: proprio come la persona che mi manda lo scritto non si è presa la briga di controllare il tipo di catalogo, posso anche io prendermi la briga di non rispondere».
Foto di Antonella Narciso © tutti i diritti riservati
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