L’ambizioso progetto Gran Guignol de Milan approda al Petrolini di Roma. Nella loro “Commedia dei soprusi” si ride dell’orrore e si urla per il dolore, ma con una raffinata consapevolezza. Sipario!

di Francesco Bordi 

«Urla per me!»

Una frase, o meglio… un imparativo che abbiamo sentito molte volte nell’ambito dell’intrattenimento.

Un esortativo violento che abbiamo incontrato pronunciato così com’è, oppure modificato in una delle sue molteplici declinazioni. Echi di urla per me! sono ad esempio nel teatro del “Fantasma dell’opera” dove si mescolano urla e canto. Ancora lo ritroviamo nel cinema horror e non solo, basti ricordare la fortunata serie “Scream”, tanto per citare una derivazione diretta. Persino nei cinecomics della Marvel si sente uno dei villain ordinare ad una supereroina di uralare per lui. Infine lo vediamo comparire in alcune letterature post-romantiche, soprattutto in quelle a cavallo tra l’800 ed il primo ‘9oo, quando spesso e volentieri racconti e sceneggiature andavano a braccetto. Tante le vite e tante le morti di URLA PER ME!

Una costante rimane sempre in tutte le manifestazioni della perentoria ed inquietante richiesta: l’ordine parte quasi sempre da un uomo che si rivolge ad una donna.

Tutto ha inizio da qui: uomini dalle violente morbosità verso le donne. A ricordarcelo è una compagnia teatrale, “Gran Guignol de Milan” che ha deciso di far rinascere un genere dove però a VIVERE è l’orrore mentre MORIRE tocca agli innocenti, anzi… soprattutto tocca alle innocenti. Ce lo ribadisce il principe delle tenebre, Gianfilippo Maria Falsina Lamberti, il presentatore dello spettacolo “La commedia dei soprusi” che con grande enfasi, ma anche con notevole e equilibrio scenico racconta l’evoluzione del Gran Guignol nato nell’omonimo piccolo teatro del nono arrondissment parigino a fine ottocento.

Potente nella voce, come un banditore dei tempi d’oro, Gianfilippo racconta, spiega, incuriosice e suscita riflessioni in un pubblico con cui dialoga costantemente, non a caso è anche il regista dello spettacolo. Suo il compito di introdurre ognuna delle tre pièce adattate per i suoi pupilli che dovranno reintepretare i testi originali di alcuni capolavori andati in scena proprio in qell’ottocento nella Ville Lumière.

Ogni atto dello spettacolo ha in sè gli elementi che faranno da fondamenta per la sequenza successiva. Si parte con una vicenda comica che però lascia qua e là spazio ad aspetti ansiogeni. Protagonista una buffa ed a tratti goffa prostituta di un bordello parigino dove, improvvisamente, fa il suo ingresso un cliente che indossa il pericolo come soprabito. Nella seconda parte permangono le sequenze divertenti ed i tormentoni volti a stanare le risate in platea, ma un paradosso sociale si fa largo, a spallate, all’interno della storia e così un primo sopruso farà subdolamente la sua vittima. A colpire il pubblico non è solamente la natura dell’ingiustizia portata in scena, ma anche l’orchestrazione intorno. L’amica di sempre diventa l’egoista, l’Istituzione francese di fine secolo si mostra meschina e calcolatrice, metre la reale colpevole del più grave dei reati si scopre arrivista a scapito della prostituta raggirata. Nell’ultimo atto, che in realtà è la fusione di due pièces originali dell’epoca, l’orrore e la crudeltà divengono protagoniste all’interno di una prigione, là dove teoricamente la missione dovrebbe essere rieducare e tutelare.

Il cambiodi registro è totale.

Le risate in sala lasciano il proprio posto allo sgomento. I sorrisi, invece, che per oltre metà dello spettacolo hanno stazionato sui volti degli spettatori, si sono repentinamente trasformati in smorfie di riflessione. In sostanza quella platea che prima era complice di ilarità, in seguito è divenuta suo malgrado spettatrice dell’orrore umano, allo stesso tempo però ne è rimasta anche affascinata.

In questa Commedia dei soprusi si ride tanto e si gustano le caratterizzazioni comiche degli attori, ma non basta. Il pubblico si ritrova assordato dalle urla di dolore e di terrore delle protagoniste. Si scopre colpito dal pugno dell’ingiustizia e si ri-scopre nuovamente fragile di fronte alle violenze sulle donne.

Il Gran Guignol è stato un genere che ha dato il via a tutti i film horror d’epoca contemporanea. In quell’attesa fra il coltello sguainato dall’agressore e lo sguardo di terrore della malcapitata c’è tutta la base delle pellicole che sarebbero venute successivamente. Il “papà” della compagnia, oltre a questo, ci ha ricordato anche l’importanza che le attrici hanno ricoperto nel corso di quelle rappresentazioni. Altri tipi di spettacoli teatrali non lascivano le medesime possibilità alle donne che calcavano i palcoscenici. La gente si appassionava a quelle vittime aggrazziate ed innocenti, ma si perdeva morbosamente anche nella psiche degli aggressori e degli assassini. Dopo le grandi guerre però, il pubblico non aveva più molta voglia di ridere sulle morti innocenti. «Quando l’orrore lo vedi da vicino», ci racconta Gianfilippo con tanto di mantella sulle spalle e bicchiere di vino in mano, «non hai più voglia di riderci su». Quel genere dunque comincia a sparire di scena, sia dove era nato che negli stati europei dove era stato esportato. Una famosissima attrice del Gran Guignol, Paula Maxa, che vantava il primato della donna più assassinata della storia, sul palco, finì per portarsi il lavoro a casa. A volte infatti veniva avvicinata, seguita e molestata da persone poco equilibrate che avevano per lei sempre quella richiesta. Volevano, infatti, che lei performasse alla medesima maniera con cui si era esibita a teatro nei tempi d’oro e quindi… “Urla per me!”.

Le donne della compagnia hanno ricoperto i ruoli più complessi che questa sceneggiatura prevedeva, qui al teatro Petrolini di Roma, e fortunatamente (nonché saggiamente) sono state scelte con molta cura.

Serena delle Cave, la prima ad entrare in scena subito dopo l’introduzione del principe delle tenebre, si presenta subito accattivante grazie a movenze divertenti e smorfie esilaranti. La sua “Violette” si mostra a perfetto agio sul palco sia quando deve divertire che quando lo sgomento ed il terrore s’impossessano di lei. Lo spettatore pertanto tornerà a casa sorridendo della sequenza delle sue abluzioni prima dell’arrivo dei clienti al bordello ma, al contempo, rimarrà con le sue urla nelle orecchie quando l’ennesimo sopruso lascierà un segno indelebile su di lei.

Antonella Giuzio fa della mimica facciale la sua cifra stilistica. Passa dai grandi sorrisi e dalle espressioni maliziose alla pazzia fatta persona, con volto inespressivo che però si desta quando la luce del disagio compare nelle pupille dei suoi occhi. Presenza elegante ed acconciatura che sembra anticipare la moda che verrà negli anni ’20, Antonella passa dalla frivolezza al disadattamento in un istante. È quello il momento teatrale che fa la differenza.

Ludovica Buratti è la tenutaria del bordello parigino, ma dall’accento “de Frascati”. Abile non solo nelle espressioni dialettali e nelle movenze, ma soprattutto nella capacità di raccordo con gli altri personaggi. La maggior parte delle sequenze avviene nella sua casa (chiusa) ed anche quando i fatti si spostano in luoghi più istituzionali, lei è comunque presente a relazionare il publico su quanto è successo e non è successo precedentemente, con disinvoltura, senza darlo a vedere. Crocevia di sottotrame e legami fra i personaggi Ludovica è il fulcro strutturale dell’intero intreccio.

Aggressore, poliziotto e molte altre anime che abitano il suo personaggio, Marcello Iaia interpreta le varie sfumature che spesso hanno affascinato gli spettatori del Gran Guignol, tanto nell’ottocento quanto nel momento attuale. Non facile passare da omicida a poliziotto e poi ancora soccorritore ed infine opportunista della peggior specie… Tuttavia il ragazzo riescie pienamente nel suo ruolo e va aggiunto, per completezza, che negli utimi anni vestire i panni di chi usa violenza sulle donne, in scena, è molto più complicato che in precedenza perché c’è un’attenzione maggiore all’argomento spesso sacrosanta e giustificata, ma a volte estremizzata.

La versatilità espressiva di Gabriele Principato Trosso è un valore che colpisce. Nella Commedia dei soprusi è l’ispettore che sia occupa del caso della prostituta ingiustamente accusata di omicidio. Successivamente. nell’ultima pièce, sarà anche un  sorta di “lacché” sempre interno al corpo di polizia di Parigi. Non sono solo i ruoli differenti che ricopre a rendergli giustizia, ma è anche la sua capacità di ingannare lo spettatore nell’ambito di una sola caratterizzazione. All’inizio si presenta come un ispettore sempliciotto, un servo dello stato ma dal carattere meschino che poco capisce della vita. Poi avviene un crescendo del suo personaggio. In lui si fa strada l’opportunismo tipico di coloro che vogliono proteggere la propria carriera a scapito di tutto e tutti. Infine, la sua trasformazione si completa quando rivela, quasi con candore, d’aver tolto la vita a persone deboli della comunità, per nulla in grado di difendersi. Non è semplice spiazzare il pubblico nell’ambito di una trama piuttosto breve. Merito sicuramente di un testo ben scritto e ben adattato, ma un doveroso riconoscimento và anche alle capacità interpretative dell’attore.

Teoricamente questo Gran Guignol de Milan che è sbarcato a Roma proprio ieri, precisamente al Petrolini di Testaccio, era il giusto compimento di un corso teatrale iniziato due anni fa. Gli allievi a furor di popolo sono tutti promossi sul campo, ma il felice sospetto è che alcuni di loro fossero già da tempo addentro alle dinamiche delle abilità istrioniche. In tal senso questo corso sarebbe per loro un “di più”. Ad ogni modo, in un caso o nell’altro i miei personali complimenti per la scelta. Fondamentale la presenza di Angela Turchini, l’aiuto regista, a supportare il lavoro del plenipotenziario Gianfilippo (delle tenebre) e di Nelson Mallè Ndoye alle luci ed alle musiche; ricordiamo in tal senso che il teatro è un’esperienza sensoriale a tutto tondo in cui il pathos DEVE essere sottolineato.

A tutti loro il compito di far rivivere lo stile granguiglolesco, loro la missione di riuscire a farci ridere degli orrori e dei mostri, ma sempre loro il dovere di ricordarci che fuori dalla sala, uscendo dal teatro, le violenze sulle donne ancora ci sono, le ingiustizie ed i soprusi permangono e la morbosità non sempre si limita al letto di un bordello, ma può mutare in aggressività divenendo fatale.

Il messaggio dunque rimane sempre quello: «Urla per me!», ma solo sul palco.

 

6 luglio e 7 luglio al Teatro Petrolini di Roma

https://www.teatropetrolini.it/contatti/

 

 

 

Foto di Francesco Bordi © tutti i diritti riservati

Locandina dal sito:  www.teatropetrolini.it © degli aventi diritto

 

 

 

 

 

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