di Francesco Bordi
[…] – E’ naturale che non vuoi aprire gli occhi. Quello che c’è intorno non è molto rassicurante, vero? Anch’io una volta ho reagito esattamente come te, non mi andava di aprire gli occhi. Non avevo niente da guardare. Non avevo più niente da fare. Me ne stavo accucciata in posizione fetale, io me lo potevo permettere perché non avevo tutti quei tubi e aghi che hai tu. Tu invece non puoi neppure girarti sul fianco. Vuoi sapere che cosa era successo? Non ero stata picchiata brutalmente come te, il mio trauma è avvenuto molto lentamente, giorno dopo giorno, una sorta di distillazione del dolore ma che mi ha lacerato esattamente come ha lacerato te. Solo che le mie ferite erano tutte dentro mentre le tue sono anche fuori, ma ti posso assicurare che il dolore che si prova è lancinante, non è un dolore fisico violento e immediato come hai provato tu, è un qualcosa di sordo, profondo, che avanza con lentezza ma inesorabile come una marea. Tu penserai adesso, ma che mi sta dicendo questa imbecille? Come è possibile paragonare una aggressione di tale violenza che ti ha quasi ammazzata con quella continua violenza psicologica che mi ha fatta alzare barriere altissime sul mondo? Però vedi, la persona che mi ha fatto questo io la conoscevo, la amavo o credevo di farlo, e quindi il danno è stato peggiore, ma nel tuo caso, sì ti hanno fatto tanto male, ma in fondo l’assassino è uno sconosciuto per te. –
Mara si zittì un istante. Captò una vibrazione sulle palpebre chiuse di Lorenza. – Non lo conoscevi vero? – altra pausa. Mara trattenne il respiro, non voleva fare niente che potesse turbare Lorenza ma doveva andare fino in fondo. Non sapeva neppure se la donna la stesse ascoltando o no, ma doveva fare un tentativo. – Quel farabutto ha ammazzato altre donne, le ha picchiate esattamente come ha fatto con te, le ha violentate, le ha torturate, le ha massacrate di botte e le ha uccise. Tu invece hai la pelle dura, oppure sei più fortunata delle altre, sei riuscita a sopravvivere a quella furia, e questo per me ha un significato. Niente è casuale. Se sei stata risparmiata c’è un perché. E sai perché? Perché sei l’unica persona in grado di riconoscerlo. Tu sei la chiave di tutto ed io bisogno che tu ti risvegli. Ora, capisco che tu non abbia nessun interesse a farlo, capisco e rispetto questa tua decisione, ma che mi dici delle altre donne potenziali vittime di questo lurido assassino? Loro hanno bisogno di te. Io ho bisogno di te. Io sono una poliziotta e ho deciso che troverò questo verme, fosse l’ultima cosa che faccio nella vita. Quindi ti prego, apri gli occhi e parlami. So che puoi farlo. Non dirò niente a nessuno, né ai medici, né a tua madre che ti sta assillando, rimarrà un segreto fra noi, ti do la mia parola. –
La donna non si mosse. Non un movimento. Non una vibrazione di palpebre, non un cenno che dimostrasse di aver compreso. Eppure Mara era certa che avesse capito. Decise di lasciarla in pace, ma solo per quella sera.
*
Le voci le giungevano soffuse, penetravano nel suo silenzio ovattato e interrompevano la regolarità di quel ritmo artificiale e rassicurante che da un po’ di tempo scandiva la sua vita. Una era di Nicoletta, l’infermiera del turno di pomeriggio, la voce era inconfondibile, leggermente infantile nei suoi toni acuti e argentini, l’altra era una voce femminile, mai sentita prima d’ora. Forse un nuovo medico, uno specialista che avrebbe dovuto esaminarle il cervello e fornire spiegazioni sulle motivazioni del suo sonno permanente. Era una voce adulta, soffice e aspra allo stesso tempo, una voce di una che ha sofferto, di una di cui ci si poteva fidare. Era talmente concentrata sul tono che non riusciva ad ascoltare niente, le parole non arrivavano al cervello, si fermavano molto prima e Lorenza non capiva quello che le stava dicendo la sconosciuta. “Le mie ferite erano tutte dentro mentre le tue sono anche fuori, ma ti posso assicurare che il dolore che si prova è lancinante”, dolore lancinante, ma cosa sta dicendo, io non sto provando alcun dolore, sto benissimo qui dove sono, non voglio più muovermi da qui. “Una aggressione di tale violenza che ti ha quasi ammazzata…” Sono stata aggredita? Io? Non mi pare proprio.
Ad un tratto un volto deformato si scagliò su di lei, una belva che ringhiava e che le strappava brandelli di pelle e che la divorava e che la massacrava, vide sangue, percepì qualcosa di strano alla testa, registrò un rumore sordo che le rimbombava dentro, ecco questo è il dolore lancinante di cui parlava prima la donna, doveva allontanare l’immagine terrificante, ma aveva già gli occhi chiusi, cercò di aprirli, ma non riuscì, “in fondo l’assassino è uno sconosciuto per te. Sconosciuto? Di chi stava parlando? Sei riuscita a sopravvivere a quella furia, e questo per me ha un significato. Niente è casuale. Se sei stata risparmiata c’è un perché. E sai perché? Perché sei l’unica persona in grado di riconoscerlo. Tu sei la chiave di tutto ed io bisogno che tu ti risvegli”. Lorenza non comprendeva il significato di ciò che stava dicendo la donna. Non permise più che le parole arrivassero al cervello. Le facevano troppo male. Lasciò che le parole si raccogliessero in un angolo, le avrebbe comprese tra un po’. Adesso stava bene così. Si lasciò cullare da quella voce soffice ed aspra e a poco a poco scivolò in un sonno tranquillo.
(Doretti, Patrizia, I delitti del fiume, in attesa di pubblicazione)
Firenze può anche essere grigia nonché sporca e l’Arno con il suo greto colmo di fazzoletti usati può diventare teatro di violenze che lacerano l’anima, proprio come l’anima di Lorenza a metà tra la vita e la morte dopo un’aggressione a cui riesce a sopravvivere grazie ad un’insospettata forza di volontà.
L’ispettore Somigli si muove bene in questa Firenze di periferia. Il suo lavoro è disordinato quanto la sua vita privata, tuttavia il primo sembra funzionare meglio se non fosse per il fatto che… è una donna. “Principessa”, così apostrofata con sarcasmo dai colleghi in questura di cui subisce la stima e il sessismo, deve fare giustizia sulla mano violenta che si è abbattuta su Lorenza e su altre vittime cercando di capire moventi, modalità psiche e soprattutto se tanta efferatezza derivi da un’unica mente, o meglio da un unico impulso di morte.
C’è del buono anche nella stazioni di polizia: prese in giro, risate, relazioni e sarcasmi da divisa aiutano ad andare avanti. In questi momenti l’ispettore è più umano, più donna. È amica del sottoposto Connicella, frustrato per dover obbedire agli ordini di un ispettore donna per di più dal carattere aggressivo ed iracondo, così come è “vittima” che deve resistere alle mal celate avances del sicilianissimo collega Calvaruso: di pari grado in polizia, ma non in strategie di vita. Sono pochi i momenti di Mara, perché dietro l’angolo di una maleodorante stradina fuori dal centro ci sono cadaveri di donne, madri che piangono la morte delle figlie, scientifiche impegnate nel proprio lavoro ed è lì che prende il sopravvento l’ispettore Somigli.
Fare ordine nel suo lavoro significa fare ordine nei propri sentimenti, nelle personali frustrazioni, nelle proprie nevrosi, nel passato che vuole ritornare e nelle speranze di ogni giorno. Tuttavia questa dedizione non è facile, fa soffrire, fa male e a volte… è rischiosa.
Per maggiori informazioni circa l’autrice e il suo romanzo da pubblicare è possibile scrivere a:
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