di Fabio Migneco
L’annuncio di questo film è stato, per i veri cinefili, come una bestemmia in faccia al Papa durante l’Angelus per un cattolico. Rifare un film perfetto, autentico capolavoro che, ancora oggi, a 30 anni di distanza regge divinamente, come La Cosa di John Carpenter, non ha alcun senso. Si dirà: ma anche quello di Carpenter era un remake dell’originale del ’51 targato Nyby e Hawks. Sì, certo. Siamo seri però, La Cosa di Carpenter non è un vero remake, è stata una vera e propria reinvenzione. L’unica cosa in comune è il racconto di partenza Who Goes There? di Campbell. Punto. E allora perché scomodare un altro grande classico? (L’ennesimo e non sarà l’ultimo purtroppo, ma la notizia che il remake di Cane di Paglia uscirà sotto silenzio direttamente in dvd ci rincuora, forse esiste un dio anche per queste facezie). Carpenter poi è il regista più remake-izzato degli ultimi anni. A volte con successo (vedasi Assault on Precinct 13) altre volte con esiti catastrofici (l’ignobile The Fog terzo millennio). Anche quando si tira un sospiro di sollievo, resta sempre la sensazione riassunta nell’antico adagio cui prodest? E’anche il caso di questa Cosa targata 2011, peraltro un prequel, più che un vero remake, che non si può definire un brutto film (non più di tanti altri almeno) o inguardabile, o uno stupro nei confronti di quello di Carpenter, no. Niente di tutto questo. Ma inutile sì, questo si può dire.
Non solo perché il confronto è impari su tutti i fronti (anche la pur riuscita commistione di effetti animatronic e digitali è sconfitta dal lavoro senza eguali di Rob Bottin dell’82), ma soprattutto perché lo script di Eric Heisserer (recidivo: suo anche quello dell’obrobbrioso rifacimento di Nightmare) nulla aggiunge a quello che si può tranquillamente immaginare sia successo al campo norvegese prima dei fatti del film di Carpenter. E al contrario di quello, lucido studio sulla paranoia, metafora del contagio, del dilagare dell’Aids e di molto altro ancora, questo qui si limita ad essere solo un gioco al massacro all’insegna del “chi è chi” e del “non possiamo fidarci di nessuno”. Spreca la brava e bella Winstead in un ruolo che vorrebbe essere alla Ripley ma non lo è e vorrebbe rimpiazzare il MacReady di Kurt Russell (a dargli manforte l’insipido Joel Adgerton, bravissimo invece in Warrior) ma non ci riesce. E a poco serve, nel finale, riallacciarsi all’inizio carpenteriano con tanto di colonna sonora di Morricone proprio come allora. Quasi un contentino.
Il bello è che, non essendo comunque fatto male, potrebbe persino piacere a chi non conosce la Storia con la s maiuscola. Ah, quanti danni fanno i remake!
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