di Francesco Bordi
Io sono Febbraio… Stavolta la scelta del titolo italiano di un romanzo straniero è stata davvero felice (non succede spesso). Febbraio chi é? È un mese del calendario? È addirittura un’intera stagione? È un dittatore, è il “Creatore”??? L’intero romanzo è permeato dalle azioni, dalle strategie e dalla potenza di questo Febbraio, ma non solo. Il libro è permeato di neve, di miele, di menta, di fumo del camino e di tante altri elementi naturali che si mescolano a frequenti visioni talmente continue e talmente intense da divenire reali. Light Boxes (in originale) è un’intensa favola malinconica densa di simbologie e di allegorie così ben costruite da sospettare che siano totalmente istintuali. Infatti la facilità e la semplicità con cui l’autore racconta di un cielo con due buchi da cui piovono pezzi di pergamena, la presenza di orsi che si coprono per il freddo, la morte di esseri viventi uccisi da un muschio letale in grado di invadere gli organismi e soffocarli è tanto convincente da non impensierire il lettore che, al contrario, entra gradualmente nelle dinamiche della narrazione e ne attende totalmente avvinto gli sviluppi.
Questa particolare narrazione è di natura corale, ogni personaggio parla in prima persona e aggiunge un tassello alla vicenda. I protagonisti sono i membri di una piccola e semplice famiglia, Thaddeus la moglie Selah e la figlia Bianca. Intorno una serie di personaggi coloriti che sono noti più che altro per i loro ruoli al’interno della comunità. C’è il Professore, lo Scultore, il Costruttore di case e la Casalinga, c’è la Ragazza che sa di miele e di fumo, c’è l’Apicultore. Ancora poi ci sono gli importantissimi assemblamenti che nascono spontaneamente per combattere il crudele Febbraio come il movimento per il Piano Bellico (composto da bambini che si sono salvati dalle stragi condotte dal mese interminabile e si sono rifugiati sotto terra), lo Sforzo Bellico (nato da alcuni membri della città oppressa) e infine la Soluzione, ossia un gruppo di ex-aviatori riconoscibile perché ogni suo membro, o quasi, è dotato di una maschera colorata con un becco da uccello sul viso. Essendo una sorta di favola, ci sono chiaramente i buoni ed i cattivi. Tra gli elementi positivi della vicenda compaiono il volo, gli aquiloni, i fiori, la menta, il sole (spesso assente) ed i cavalli. Nella lista nera delle negatività del racconto e della vita ci sono i preti, la neve, il muschio, gli orsi ed i lupi. In mezzo ci sono le ambigue presenze dei gufi. Sopra tutte queste figure metaforiche che interagiscono fra loro si erge Febbraio, colpevole di far perdurare il suo mese ed il freddo oltre il dovuto (si leggono documenti come “giorno 312 di Febbraio”) e di provocare la sofferenza interiore, la depressione e la morte di gran parte degli abitanti della misteriosa città di Thaddeus, Selah, Bianca e di Calderon Clemens, l’unica mina vagante ed esuberante, riconoscibile come tale, in una città che comunque di tipico e scontato non ha alcuna cosa. Febbraio però sembra non essere così spietato, anche lui pare soffrire, addirittura della sua stessa cattiveria.
Ma al di là delle metafore, dei simboli, delle corrispondenze tra il racconto e la vita, l’esistenza, che cosa è a determinare il rapimento che pian piano Light Boxes suscita nel lettore? Perché ci si ritrova ad appassionarsi di una storia che vede uomini e bambini contro un mese personificato, perché mi ritrovo incollato alle pagine (per utilizzare un’espressione antica) per sapere che fine farà la Ragazza che sapeva di miele e di fumo e se Febbraio morirà?
L’andamento, è questo il motore del buon romanzo di Shane Jones. Io sono Febbraio parte come una poesia, prosegue come una favola e termina quasi come un giallo dalle tinte nordiche. Da sottolineare alcuni artifizi grafici presenti nel testo che di certo aiutano ad intuirne la peculiarità. Si tratta di una vicenda completa, che non risparmia infiniti toni di tenerezza ed al contempo descrizioni cruente e forti. I narratori, ognuno dei personaggi che parla in prima persona, ci conducono in atmosfere che ricordano le ambientazioni di Tim Burton ma ancor di più le naturali mutazioni dell’essere tipiche dei film d’animazione targati Hayao Miyazaki. I richiami citati non possono non appartenere al mondo dell’arte visiva, del cinema, perché Light Boxes è fortemente evocativo. Nel leggere della dolce Bianca, dei cavalli che muoiono uccisi da un muschio che li divora e rivela che nelle loro viscere martoriate c’è un altro micromondo, nell’apprendere che la neve è cattiva e toglie la vita nell’animo e nello scoprire che sopra il cielo vive un Febbraio-Creatore che invia disgrazie attraverso due buchi sul suo pavimento, il tutto senza scomporsi, capiamo che la visione sta avendo la meglio sulla scrittura. Spesso si utilizza il termine visionario, fa parte della moda “culturale” degli ultimissimi anni. Bene, aggiustando il tiro diremo che Shane Jones non è uno scrittore visionario (sarebbe forse riduttivo), diremo che è un autore che ha saputo ben ordinare le sue visioni della vita ed è riuscito a metterle su carta. Il ragazzo (classe 1980) nasce come acuto e profondo osservatore dell’esistenza e poi diventa scrittore. Se si considera che Light Boxes è il suo primo romanzo, aspetteremo con ansia il suo secondo lavoro che uscirà per i tipi della Penguin nel 2012 negli Stati Uniti.
Jones, Shane, Io sono Febbraio – Storia dell’inverno che non voleva finire mai –, Milano, ISBN edizioni, 2011.
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