di Ivan Errani
Avete tempo fino al 22 maggio per visitare, al Maxxi di Via Guido Reni a Roma, l’importante mostra “Inquadrare il moderno: architettura e fotografia in Italia (1926-1965)” a cura di Robert Elwall e Valeria Carullo. Come si evince dall’eloquente titolo, la mostra si propone di suggerire uno sguardo d’insieme alle due arti nel periodo di maggior trasformazione del concetto stesso di rappresentazione della realtà, un momento attraversato prepotentemente dal totalitarismo politico e da un senso, al contempo, di forte propulsione sperimentale. Lo spunto dal quale prende forma la connessione logica tra fotografia e architettura va ricercato nella definizione che il grande Moholy-Nagy da del suo lavoro: la “Nuova Fotografia” propone modelli espressivi caratterizzati da un’attrazione geometrica e contorni netti così permeanti da non potersi sottrarre alla fascinazione della rivoluzione architettonica che lo vede tra i maggiori esponenti della scuola Bauhaus. Da qui, da questa nuova coscienza rappresentativa, nasce il movimento del Razionalismo, predominante nel periodo preso in considerazione dalla mostra. In Italia, il maggiore teorizzatore della Nuova Fotografia è Achille Bologna che nel 1935 pubblica l’importantissimo “Come si fotografa oggi”. Casabella, il mensile di architettura diretto da Giuseppe Pagano (architetto, fotografo e partigiano) dal 1931 insieme a Edoardo Persico, mette a fuoco le tendenze italiane che orbitano intorno al mondo dei progettisti e getta le basi per l’evoluzione dell’edilizia urbana ed espositiva pre e post bellica. Per molti architetti operanti nel Ventennio, il fascismo più che un’opportunità è un pretesto per sperimentare nuovi orizzonti concettuali. Presenti, nella mostra, fondamentali esempi di questa evoluzione, dal progetto “Architettura rurale italiana” di Pagano del 1935, nel quale l’edilizia abitativa è analizzata attraverso la direttrice dell’operosità, agli scatti dei primi anni ’50 dei grandi fotografi internazionali come Ivor de Wolfe (strepitoso il suo lavoro “Italian Townscape”) e George E. Kidder Smith. Di quest’ultimo suggeriamo la visione delle fotografie degli alloggi popolari di Napoli e Genova del 1950 e, dello stesso periodo, gli sguardi discreti e curiosi di Ugo Mulas che ci portano alla scoperta dell’inedito senso di alienazione urbana, tanto studiato negli anni della ricostruzione. Ma altri sono i contributi di valore, come le prospettive commerciali di Oscar Savio così asettiche nelle fotografie dei locali de la Rinascente a Roma o, sempre nella Capitale, le “Ombre, Stazione Termini” di de Wolfe; o, ancora , la contrapposizione stilistica nello skyline di Milano in cui il Pirellone e la Torre Velasca giocano a grattare il plumbeo cielo della metropoli lombarda. Poi c’è Giorgio Casali, il più grande fotografo di architettura del tempo e uno scorcio della Casa del Girasole, a Roma, considerata per asimmetrie e manierismo edificio precursore del Postmodernismo. Rapporto non proprio idilliaco, quello tra fotografia e architettura, con la prima accusata, per l’uso del bianco e nero, di “generare un’architettura mancante di valori cromatici”. Insomma, un viaggio nelle trame del progresso sperimentale da intraprendere assolutamente.
Inquadrare il moderno: architettura e fotografia in Italia (1926-1965)
dal 22 marzo al 22 maggio – MAXXI – Via Guido Reni 4/a, Roma
www.fondazionemaxxi.it
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