di Marco Maresca
Buffe le gocce di condensa quando scendono lungo i vetri appannati di una stanza calda e umida e senza un motivo apparente che aggiri la normalità della forza di gravità si afferrano e si inglobano in amplessi di pura fisicità e continuano la loro avanzata verso il metallo freddo della cornice in una crescente velocità dovuta a null’altro che al loro accresciuto peso e, ancora, alla forza di gravità.
Buffe le facce di coloro che, come me, trascorrono lunghi minuti ad osservare il rincorrersi di inutili gocce di condensa cercandovi un senso, un nesso logico che raggiri la causalità e la casualità per ritrovarsi stupiti di fronte ad un viso conosciuto che si camuffa mescolando tonalità e vibrazioni impressioniste a interruzioni e alterchi espressionisti.
Persino comica l’idea di un essere umano che nel momento in cui un pezzo della sua storia sta per cessare di avere forma in modo assolutamente innaturale non abbia nulla di meglio da fare che specchiarsi in gocce insignificanti aggiungendo nuovi particolari di sé man mano che le stesse gocce aumentano di volume per via della loro inevitabile unione.
Oggi morirai. Nei giorni appena trascorsi mi sono chiesta a lungo se questo fosse giusto e, se davvero lo fosse, per chi. Se fosse l’unica soluzione. Tu te ne stai raggomitolato nel tuo letto di serenità a gestire il dramma di un’intera umanità. Non chiedi di morire. Ma non chiedi neppure di vivere. E allora cosa? Cosa potresti dire, oggi, nel giorno in cui altri decidono per te? Potrebbe mai la tua mano alzarsi contro di me? E se potesse farlo, sarebbe la mano di un giudice o di un colpevole?
Nessun dramma per questa tua morte. Solo accettazione dell’ingiustizia. Perché di ingiustizia si tratta. Al massimo il dilemma sta nel capire se sia più ingiusto che tu viva o che tu muoia. Ma come ho detto, saranno altri a decidere per te, togliendoti da questo angusto crocicchio. Sarò io a decidere. Consideriamolo come il più grande gesto d’amore nei tuoi confronti.
Improvvisa una lacrima mi tenta. Nitida come una sfera di indovina, mi mostra gli anni a venire. Nel deserto dell’esistenza prova a sintonizzarmi su splendide oasi lussureggianti. Mi rinfresca con miraggi millimetrici e mi ristora all’ombra della tua presenza. Poi il miraggio si gretola in una tempesta di sabbia. La sfera diventa vetro opaco, e mi getta in faccia incomprensibili gocce di sudore. E tu non ci sei già più.
Buffo come gli ultimi rimpianti si trasformino in poco tempo in nuova voglia di vivere. Qui ora c’è spazio solo per le facce consuete e non per le vittime sacrificali di antichi rituali.
Nel nuovo sole del mattino il vetro non è più appannato. Non mi vedo più deformata, e questo cambia di gran lunga lo stato delle cose.
Tu te ne sei andato con le ultime perle della notte in una notte umida di ospedale. Tra un po’ me ne andrò anche io.
Non credo che sarò mai madre perché non credo nella vita. E se ho scelto per te, è stato solo per amore. E per senso di responsabilità. Non potevo lasciarti nascere. Ma questo non lo capirai mai.
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