Il ritorno dell’inetto a vivere che sa divertire, riesce a far riflettere e sa farsi leggere di gusto: “Alta definizione” di Adam Wilson

di Francesco Bordi

( immagine da www.isbnedizioni.it )Eli Schwartz fa socialmente schifo. Indifferente a parenti e conoscenti, poco dedito alle basilari cure del proprio corpo e soprattutto alla salute psico-fisica del proprio essere, non si preoccupa minimamente per il suo futuro malgrado sia la vita stessa a farglielo presente in mille modi più o meno dolorosi.

… Non può che piacerci e farci simpatia.

Vessato praticamente da tutti: famiglia, amici (pochissimi e “relativamente” amici), donne (che provano anche un sadico piacere nell’umiliarlo), Eli manda avanti la propria vita a colpi di droga di vario genere e di originali manifestazioni depressive di cui ha una maturissima consapevolezza. Per gli standard comuni questo buffo ebreo di Quinosset (Massachusetts) sarebbe un fallito essendo senza un lavoro, rimanendo di fatto totalmente dipendente dagli alimenti del padre, non avendo nemmeno tentato di proseguire gli studi dopo il diploma e, ciliegina sulla torta, non riuscendo a suscitare le usuali attenzioni tipiche dell’età presso l’altro sesso.

Ma non per il lettore.

Noi non possiamo che amare un ragazzo che soffre per la sua troppa sensibilità, un giovane rintronato che tra una donna dedita sentimentalmente e sessualmente a lui da un lato e la sua famiglia dall’altro sceglierebbe assolutamente che i suoi genitori tornassero insieme e che suo fratello Benjy, il perfettino di casa, gli dimostrasse un po’ dell’affetto di cui lui avrebbe tanto bisogno. Non stupisce quindi che “buffo” sia l’aggettivo che il genere femminile di ogni estrazione sociale e di ogni età rivolge al protagonista di “Alta Definizione” di Adam Wilson. La sua è un’esistenza d’inerzia fatta di continui dispiaceri, pie illusioni ed umiliazioni non tutte ingiuste delle quali lo stesso Eli ha certa una responsabilità.

Come reagire a tutto questo? Attraverso se stesso. Eli non rinuncia ad essere ciò che si sente di essere. Capisce che deve cambiare per quanto sia complesso, ma lo fa (o quanto meno ci prova) nella modalità e nella tempistica a lui più consone. Ad esempio: stringere un’amicizia con un ex attore della serie B di Hollywood dedito all’alcool ed alle droghe, rabbioso con il mondo in seguito all’incidente che lo aveva costretto sulla sedia a rotelle e fortemente depresso a causa dell'”imprevista” deviazione che aveva preso la sua vita dopo che la moglie Sheila lo aveva lasciato per un’altra donna, non era probabilmente in cima alle azioni maggiormente consigliabili per migliorare la propria esistenza disastrata… Se poi a tutto questo si aggiunge il fatto che tale vizioso portatore di handicap, Seymour Kahn, era anche il nuovo proprietario ed abitante della casa in cui Eli aveva vissuto e dalla quale non aveva mai accettato la separazione, ecco che la scelta della sua decisione si configura quantomeno masochistica, nella più felice e solare delle ipotesi.  Eppure quell’incontro nel bene e soprattutto nel male (ricordiamo a tal proposito che il personaggio appena presentato sparerà una pallottola nella gamba di Eli in seguito a quella che generalmente viene indicata come una concatenazione di sfortunati eventi), sarà uno stimolo al miglioramento per il nostro amabile reietto della società.

Ecco allora che nel corso della lettura di “Flatscreen” (nell’originale inglese), ci accorgiamo che in un certo senso, anche se per brevi tratti, il nostro Schwartz è quasi un eroe romantico. Certo… il fatto che manifesti dichiaratamente il costante desiderio di masturbarsi così come la sua continua ricerca, anche a livello onirico, di un rapporto orale con qualunque ragazza incontri, magari non rispondono propriamente alla concezione “romantik” derivata dallo “sturm und drang” tedesco… Tuttavia l’attenzione intima che questo protagonista assoluto ha per gli affetti che ritiene veri e ancora la sua voglia sempre presente, anche se raramente manifestata, di essere di conforto a chi soffre, magari attraverso una carezza mai data ma solo immaginata, contribuiscono a farne un agente positivo nelle tempeste dell’esistenza. A questo proposito la cucina, intesa come l’arte di preparare pietanze che allietino il palato, come la capacità di saper riconoscere gli ingredienti migliori di cui aver bisogno attraverso odori e colori allo stesso modo dell’abilità di pensare culinariamente a ciò che meglio possa aiutare a ritrovare un barlume di sorriso in coloro che patiscano una sofferenza di qualunque origine, è lo strumento più adatto che Eli è in grado di utilizzare nella gestione dei suoi difficoltosi rapporti umani. È proprio in questi improvvisi picchi di spessore che il percorso quotidiano ed esistenziale del protagonista si innalza. Sono queste sue azioni e le riflessioni tanto divertenti quanto degne di nota di cui ci rende partecipi che rendono la sua vita differente dal piattume a cui sembra destinato. In questo si differenzia dal “Flatscreen”: lo schermo piatto ad alta definizione che tante ore ha rubato ai suoi giorni nella vana ricerca di scappare dalle tristezze familiari e sociali.

Dunque un plauso all’abile penna di Wilson che oltre ad aver dato vita ad un personaggio così vero e così orgogliosamente e meravigliosamente “freak”, ha condito la quotidianità di questo ragazzo con una serie di situazioni particolarmente dirompenti: eventi, che già di per sé, risulterebbero esilaranti ma che la chiosa del buon Eli rende memorabilmente divertenti. In mezzo a questa lunga partita “Schwartz contro il mondo e contro tutti coloro che lo popolano” c’è tanto folklore ebraico, tanta critica al perbenismo trasversale, tanta ironia che morde, tanto cinema dichiaratamente chiamato in causa e tante risate. A questo riguardo riteniamo opportuno scomodare una sequenza su tutte del titolo in questione e precisamente quella che vede il nostro eroe sdraiato su un campo di football durante una partita in corso, privo di sensi, in abiti discutibili, con una erezione da viagra di qualche ora prima, sotto effetto di stupefacenti, salvato dall’ira dei giocatori grazie alle compassionevoli mani di chi? Di una di quelle ragazze del suo quartiere di cui da sempre aveva subito il fascino…

( immagine da http://www.amazon.fr/Flatscreen-A-Novel-ebook/dp/B005LC0RBE )In conclusione ribadiamo che il protagonista partorito dalla mente di Adam Wilson fa socialmente schifo, ancora ricordiamo che per molti non può che essere un fallito senza possibilità alcuna di recupero, ma allo stesso tempo ci preme confermare che narrativamente è un vincente. Uguale l’aggettivo destinato all’editore newyorkese “Harper Collins” che ha aperto la porta al trentenne esordiente di Brooklyn così come “ISBN Edizioni”, che continua a dimostrare un validissimo fiuto per questa nuovamente rielaborata evoluzione della narrativa statunitense fatta di protagonisti che partendo da uno svantaggio esistenziale magari non trovano il riscatto sperato nel finale, ma che nell’instabile e assai ironico tentativo di migliorare rendono grandiosa la letteratura del proprio andare avanti, a prescindere dall’accettazione più o meno condivisa della società.

[…] “Io e papà non eravamo attori. Io la volevo, quella mano sulla mia spalla. E più ancora volevo chiedergli dei soldi, potevo averne un po’? Non sembrava il momento adatto. « Be’, l’hai mandato a puttane questo Ringraziamento » disse.

« Io mando tutto a puttane »

Adam Wilson, “Alta Definizione”, Milano, ISBN Edizioni, 2013.

Titolo originale: “Flatscreen”

Per ulteriori info è possibile consultare il link: http://www.isbnedizioni.it/libro/254

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