L’intreccio della vicenda, l’imprevedibilità dell’esito e soprattutto la gestione del caso da parte di un ispettore, o di un investigatore, che sia “contrattualmente” sopra le righe. Di norma sono questi gli elementi che determinano il successo di un buon giallo, così come la buona riuscita di un noir degno di nota. Si tratta di categorie applicabili anche al buon “Nero Ferrarese” edito da Pessime idee edizioni?
Assolutameno no.
La creatura del validissimo Lorenzo Mazzoni, con movimenti continui e quasi impercettibiuli, sguscia maliziosamente dalle classificazioni di genere perché ambisce ad un fine differente: l’adesione più completa possibile alla visione del mondo del proprio autore.
Il racconto descritto dall’orgogliosa penna di Ferrara non vuole stupire i suoi lettori con un’elaboratissima trama cominciata decenni addietro e ricollegatasi ad hoc per l’inizio della narrazione, né punta in maniera spasmodica ad un colpo di scena finale che spinga il fruitore delle centocinquantadue pagine a scagliare il libro in terra perché troppo sconvolto dell’epilogo della vicenda. Semplicemente ed orgogliosamente Nero Ferrarese vuole renderci partecipi di una vicenda, di certo inusuale, che però risulta perfettamente calata nel vissuto dell’Italia di provincia, da intendersi come un insieme di cittadini lontano dal caoticità, dalla frenesia e dalle luci delle grandi metropoli dello Stivale ma che ne rispecchia nel bene e nel male i meccanismi, i fiori all’occhiello e le debolezze.
Ferrara è la vera grande protagonista del giallo-noir, ma oltre ad essere una delle “Pessime idee” (edizioni) è anche un valido esempio.
Per condividere una storia di cronaca nera dai risvolti politico-sociali che turbano la città degli Estensi ed i suoi tutori Lorenzo si serve non di un’ispettore bello e dannato e non utilizza nemmeno (anche se vi si avvicina) una divisa dai continui modi rudi che forzando le procedure riesce a mettere le mani sui delinquenti infami colpevoli di stragi d’innocenti. Il suo Pietro Malatesta appartiene solo nominalemte alle forze dell’ordine, ma in realtà si trova assolutamente fuori dal sistema. Vive, nella stessa casa, con suo figlio adolescente Reinalter, con l’ex-moglie Loredana gentilemente accompagnata dal fidanzato detto”Il Boy” rinomato (fra le sue varie doti) per le poderose emissioni d’aria provenienti dal suo cavo orale, e con sua mamma, Ermia Berselli in Malatesta, detta “Ma’”, che si diletta nel coltivare marijuana nel giardino di casa per scopi misteriosamente terapeurici. Questo uomo di legge va a quel genere di manifestazioni che di norma la polizia tiene d’occhio anche tramite agenti infiltrati, non di certo attraverso ispettori che vi aderiscono spontanemanete sfruttando i propri giorni di ferie. Pietro non vive di pregiudizi e dunque non vede con terrore e fastidio gli immigrati in cui di tanto in tanto s’imbatte nella sua bella Ferrara, nemmeno quando i suoi numerosi vicini Moldavi semi-abusivi organizzano lunghe feste nel cortile a base di carne grigliata e vodka lasciando bottiglie-ricordo-vuote ovunque. L’antieroe emiliano è dichiaratamente annoiato e sfiduciato dalla vita, si desta solo per la S.P.A.L e cerca di fare al meglio il proprio lavoro compatibilmente con i poteri forti che opprimono la sua questura, sopportando i suoi colleghi fortemente e fastidiosamente inquadrati al limite del servilismo e soprattutto cercando di sfuggire a se stesso ed alla sua stima altalenante nelle confronti delle istituzioni, o meglio nei confronti dei rappresentanti delle istituzioni.
Il folklore, le dinamiche, la noia, l’ironia e la saltuaria indolenza nella cittadina rinascimentale sono così genuini e quasi personalizzati che noi lettori, rispetto all’inchiesta, siamo ancor più curiosi di vedere come reagirà Ferrara e la “malatesta” di Pietro ad ogni sviluppo dell’indagine, agli errori di valutazione dei suoi colleghi e chiaramente alla verità sulla serie di morti violente collegate ora all’estrema sinistra, ora ai Nar d’ispirazione neo-fascista.
Non ci troviamo di fronte ad un Montalbano interamente votato ai suoi ideali e non ritroviamo nemmeno uno Schiavone dai modi rudi e torturato dal suo passato.
Il “Nero” Ferrarese non è solo l’omicidio in città. Nero è anche l’animo di un quarantaduenne ispettore di polizia che è orgoglioso della città in cui vive e che ne vede le potenzilità malgrado le sue molteplici mancanze di cui non fa mistero, così come non ne fa il suo padre letterario. A volte disamorato al limite della rassegnazione ed a volte fiducioso in un futuro più “integrato”, questo ispettore è lo specchio di una grossa fetta della nostra nazione che vive quotidianamente la medesima lotta fra la sensazione di sopravvivere all’interno di un sistema marcio che non sembra cambiare e la voglia di migliorare aggrappandosi agli stimoli più belli della gente che si può incontrare. Lorenzo rimane infatti uno scrittore del sociale e delle strade; di grande importanza in tal senso il riferimento iniziale al caso di Federico Aldovrandi ed alla vicenda giudiziaria relativa alla sua morte avvenuta nel settembre del 2005 proprio a Ferrara.
Negli anni ho avuto modo di leggere molti lavori dell’autore. Non so se questo è il Mazzoni più raffinato o se è il Mazzoni più completo. Di certo è il Mazzoni più spontaneo e genuino. Conoscere le origini di Malatesta, di cui esistono vari sviluppi, è stato come conoscere le radici del suo autore. A tal proposito le citazioni che aprono ogni capitolo meriterebbero una recensione a parte. Si va dal gruppo musicale dei Ramones al magistrato Edoardo Mori passando per George Simenon.
“Nero Ferrarese” è il nero dell’anima e della cronaca che può sussistere in molte città. Scoprire come Pietro Malatesta approccia il caso può esssere d’aiuto ai molti che vorrebbero affrontare il nero del proprio quotidiano, istituzioni comprese.
Buona lettura!
Lorenzo Mazzoni
“Nero Ferrarese”
Roma, Pessime Idee, 2020.
Foto di Francesco Bordi ©
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