di Roberto Ceci
Cercavo lentamente di aprire gli occhi. Li sentivo pesanti, come se volessero rimanere chiusi. Sentivo che le narici inalavano fumo, le ossa mi facevano un male cane. Lentamente riuscii a vedere, non chiaramente, ma sfocato, come attraverso una lente non mia, sbagliata. Un vetro rotto, stavo sicuramente osservando un vetro rotto. Gli occhi si stavano abituando, stavano mettendo a fuoco anche se bruciavano. La testa mi pulsava, sembrava una sorta di allarme sempre acceso. Adesso vedevo. Mi trovavo dentro una macchina, probabilmente la mia. Non ricordavo molto. Cercai di muovere la testa, una fitta tremenda dietro la nuca mi fece bloccare di nuovo. Oltre il vetro del parabrezza adesso vedevo un albero. Dovevo essere uscito di strada, l’albero aveva frenato la mia discesa. Per quanto mi sforzassi non riuscivo assolutamente a ricordare come dovevo essere finito lì. Calma, avevo bisogno di restare calmo. Cosa ricordavo? Il mio nome. Mi chiamavo Roberto. Ne ero sicuro. Come ero finito lì? L’orologio digitale della macchina, le 05.32 del mattino, 3 Agosto. Dove stavo andando? La schiena sembrava potersi sgretolare da un momento all’altro. Non sopportavo più il dolore. Cercai di muovermi, qualcosa mi bloccava le gambe, non riuscivo a spostarmi così tentai con il braccio sinistro di aprire la portiera. Con un po’ di pressione ci riuscii. Quello che vidi mi gelo il sangue. L’albero teneva la macchina che si era incastrata, sotto di me metri e metri di nulla, avrei potuto essere morto. Ma come ero finito lì? Da quanto tempo mi trovavo bloccato? Forse i soccorsi stavano arrivando, forse mi avrebbero salvato presto, forse avrei sentito le sirene. “Forza ragazzi, sono qui. Mi ricordo il mio nome, sono Roberto.” Poi? Chi ero? Ma certo! Lavoro da anni nel campo pubblicitario, me lo ricordo. La busta paga, mi ricordo di quei bastardi, avevano iniziato ad aumentare le tasse pian piano, lo stipendio sempre più basso. Mi ricordo le ultime, poco più di novecento euro, inutile lamentarsi, inutile dire di non poter continuare così. Poi… quei gran bastardi mi avevano licenziato. Ora mi tornava alla mente, i ricordi stavano riaffiorando uno dopo l’altro. Avevo trovato un altro lavoro, quattro mesi. Che grazia! Ricordavo perfettamente di avere accettato, non avevo proprio nessun altra scelta. Poi una legge, nel frattempo passò un’altra legge, dopo i quattro mesi di lavoro sarei dovuto obbligatoriamente stare a casa per due mesi. Come potevo vivere durante quei due mesi? Iniziai a fare un secondo lavoro e… ecco dove ero! La sera facevo anche il cameriere, passavo da un lavoro ad un altro come si fa con i canali della televisione. Un tempo ero un maestro dello zapping e ora la mia vita stessa era fare zapping. Ero anche bravo a fare il cameriere, ma forse ero un po’ stanco… mi ricordo ora. Il mio nome è Roberto, un tempo lavoravo nel campo pubblicitario, poi diciamo in quello della ristorazione, mi trovavo sicuramente in Italia. Questo mi pareva ovvio. Un tempo dovevo essere anche qualcos’altro, forse scrivevo, ma ora non più. Come potevo scrivere, non avevo tempo nemmeno per fermarmi a parlare con qualcuno o prendermi un caffè al bar, via! Tutto tempo perso. Oggi in Italia si deve ottimizzare. Probabilmente stavo tornando a casa quando la macchina ha sbandato, forse un colpo di sonno. Sentivo il sangue colarmi dal naso. Alla mia sinistra la portiera ormai aperta e poi il vuoto, solo il vuoto. Le gambe, cercai di forzare e riuscii a sbloccarle. Adesso solo la cintura mi teneva saldo dentro la macchina. Il mio nome lo ricordavo, Roberto. Un tempo ero… e adesso? Non avevo idea di dove stavo andando, mi sentivo stanco però. Molto, molto stanco. Avrei voluto un posto lontano per poter scrivere, poter tornare. Avrei voluto un posto diverso da quello che non mi permetteva di vivere. E quella cinta mi teneva bloccato alla speranza di un paese che forse poteva cambiare. Quella cinta era il mio paese che mi tratteneva e mi diceva di resistere. Un bel giorno verrà, che ci rimetteremo tutti in piedi. E se non fossi così coraggioso? Se non avessi tutta quella forza? Adesso ricordavo tutto perfettamente. Il mio nome era quello, Roberto e quel giorno non mi sentivo affatto coraggioso. Sentivo delle sirene avvicinarsi. Forse mi avevano trovato, forse qualcuno si era ricordato di me. Fissai il vetro rotto alcuni istanti, poi sentii le braccia molto stanche. Sganciai la cintura.
Leave a Reply
Your email address will not be published. Required fields are marked (required)