di Simona Secci
I refoli del vento autunnale pungevano con insistenza le gambe nude, giungendo fin nelle ossa. Non che dovessero fare molta strada, dato che non c’era molta carne a frapporsi. Il cappotto liso era diventato talmente sottile che si abbandonava alle folate come un aquilone. I capelli rimanevano fissi nel loro bisunto disordine, i piedi stavano già diventando violacei; il gelo li avrebbe resi poco a poco sempre più pesanti e di certo gli zoccoli di plastica non erano un buon rifugio. Erano solo le nove del mattino e la giornata era appena iniziata, ma già da un’ora, accompagnato dal suo passo claudicante, si avventurava a zig zag tra le macchine ferme al semaforo. La mano sinistra cercava di tenere chiuso il cappotto, l’altra, supplice, tesa verso il finestrino degli automobilisti. Pochi spiccioli per ora, ma la giornata era lunga e con un po’ di impegno e fortuna avrebbe guadagnato abbastanza per tornare nel tardo pomeriggio soddisfatto al campo.
Quasi tutte le mattine, nel suo monotono percorso casa-ufficio, il Sig. Perfetti incontrava quel ragazzo dall’età indefinita, con indosso solo un cappotto, che con il passo sghembo attraversava avanti e indietro la strada alla ricerca di qualche mano generosa. A lui un po’ dispiaceva, ma tirava su il finestrino e continuava diritto per il suo percorso. Aveva fretta. Il traffico, il semaforo, il parcheggio e l’ora per timbrare il cartellino si avvicinava, non poteva perdere tempo. Così come sempre, ligio alle regole.
Era il giorno della riunione importante con quei clienti stranieri, si era svegliato mezz’ora prima e alle sette e quarantacinque era già in ufficio. Ci voleva un buon caffè prima di iniziare una giornata così impegnativa. Mentre lo sorseggiava contemplava, fuori dalla finestra, un panorama meraviglioso. Gli alberi del parco stavano per arrendersi alla nuova stagione, abbandonando il loro verde intenso per tingersi dei caldi colori dell’autunno. “Ma…quello non è il ragazzo che sta sempre al semaforo…? Guarda che furbo!”. In mano una bustina bianca di plastica con dentro il cappotto e gli zoccoli, a passo svelto, quasi di corsa. Si inoltra nel parco, dietro quel cespuglio è sicuro che non lo noterà nessuno. Si toglie la felpa e i jeans, le scarpe da ginnastica e i calzini, si scompiglia un po’ i capelli, prende un po’ di terra, si sporca con perizia gambe e viso, indossa il suo straccio e sale sugli zoccoli scollati, poi claudicando si avvia a caritare.
«No, non è ammissibile, non si può truffare la gente in questo modo…! Dov’è quell’articolo di giornale dove avevo letto della nuova ordinanza del Sindaco anti-mendicanti…? ah, eccolo qui, c’è anche un numero di telefono dove si possono fare delle segnalazioni, così intervengono le Autorità…chiamo immediatamente!».
I vigili erano intervenuti tempestivamente, tempo un’ora e il ragazzo era stato fermato, identificato e portato via.
Le mattine seguenti il semaforo continuò il suo meccanico lavoro, solitario, così come i passanti e le auto continuavano a scorrere nel caotico flusso quotidiano, come se il ragazzo dal cappotto liso non fosse mai esistito.
Di quella breve lettera, giunta pochi giorni dopo, il Sig. Perfetti continuava a rileggere con orgoglio due parole: «cittadino-modello». Aveva atteso quel momento per ben quarant’anni. Poteva vantare di non aver mai preso una multa, di non aver mai parcheggiato l’auto in doppia fila, di non aver mai gettato una carta per terra, di aver sempre pagato le bollette in anticipo, di aver… ne aveva centomila di simili esempi di virtù civica… e ora aveva ricevuto un riconoscimento ufficiale, la lettera di ringraziamento firmata dal Sindaco per la sua segnalazione alle Autorità: «con la Sua denuncia ha contribuito alla lotta alla criminalità nella città, e al ristabilimento di un’ordinata e civile convivenza», «il Suo senso civico costituisce un tassello fondamentale per l’affermazione della Legalità…».
Aprendo la porta di casa, le mani e il viso ghiacciati dall’inverno inoltrato si incontravano finalmente con un dolce tepore. Dal fresco profumo delle stanze, si capiva che era passata la Sig.ra Matilde a sistemare la casa, sempre chiusa e solitaria. Gli aveva anche preparato una minestra di ceci: bastava riscaldarla e la cena sarebbe stata pronta.
Tagliato un po’ di pane da inzuppare, si sedette a tavola nel piccolo soggiorno-studio, per una persona sola era più che accogliente. Accese la televisione e prese a gustare la sua frugale minestra. Passarono pochi minuti dall’inizio del telegiornale locale, che il cucchiaio gli cadde dalla mano, sprofondando nei ceci. Il Sindaco, lo stesso della Legalità con la elle maiuscola, e tre assessori erano stati arrestati: le accuse andavano dall’associazione a delinquere alla truffa ai danni dello Stato, dal falso all’abuso d’ufficio ad alcuni episodi di concussione. Avevano truccato degli appalti intascando milioni di euro, le prove erano schiaccianti, le intercettazioni ambientali non lasciavano dubbi…
Aprì il cassetto della scrivania, rilesse la lettera e poi iniziò a stracciarla in minuscoli tristi coriandoli. Il Sig. Perfetti, riverso sul divano, iniziò a pensare al ragazzo dal cappotto liso. In fondo, chiedeva solo l’elemosina. Sì, il suo doppio abito era un inganno, ma… a chi nuoceva? Si mise nei suoi panni: il freddo invernale che gli feriva le ossa e il caldo d’estate che gli bruciava la pelle, tutti i giorni, per otto ore al giorno. Non si era mai chiesto come si chiamasse, quanti anni avesse. Ora però si domandava: aveva una famiglia? Dove abitava? Quali necessità lo avevano portato a mendicare a quel semaforo? Ma soprattutto, interrogò se stesso: in nome di quale legalità lo aveva denunciato? Ne fu, infine, amaramente consapevole. In nome di una ingiusta, doppia, legalità: quella che si piega agli interessi, al doppio abito di chi esercita il potere, scagliandosi, in nome della sicurezza, contro coloro che vivono ai margini.
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