di Lorenzo Mazzoni
“Ma tu, Occidentale profondo, con l’Europa nel sangue, nelle ossa, nella testa, dopotutto non lo puoi ammettere. Hai un bell’essere democratico, laico, tollerante, sensibile alle ingiustizie sociali, pietoso alla miseria, in particolare quella dei bambini: sii sincero, tu le masse dell’est e del Sud del mondo le odi. Perché a causa loro l’Europa non sarà più Europa.”
Anna Maria Carpi, milanese, riconosciuta come una delle più importanti traduttrici italiane della lingua tedesca (sue le traduzioni delle liriche di Nietzsche, di Gottfried Benn, Durs Grunbein, Michael Kruger, Kleist) e come grande narratrice e poetessa, ritorna con un romanzo breve, amaro e icastico, dove l’infanzia è vista come la ricerca costante di un luogo di appartenenza.
Il mio nome era un altro. Due bambini dell’Est, pubblicato quest’anno da Giulio Perrone Editore, racchiude due storie apparentemente lontane con un legame profondo e sottile: il bisogno di avere delle radici, di sentirsi appartenenti a qualcosa di concreto, reale.
Marek e Anna sono due bambini dell’est Europa (slovacco il primo, russa la seconda), nati in due secoli diversi: Marek è figlio del nuovo secolo globalizzato, Anna nasce e cresce a inizio Novecento a Ivanovo, la “Manchester rossa”. Marek è rom, passa da un sobborgo fatiscente abitato dalla sua comunità all’orfanotrofio, dall’orfanotrofio a Ferrara, adottato da Sandra e Mario, benestanti vittime dell’incubo della sterilità, che intraprendono il viaggio fino a Bratislava per divenire finalmente genitori. Marek ha sei anni, nessuno lo vuole perché rom e in Slovacchia vige una sorta di apartheid verso questa comunità. Marek è disciplinato, ubbidiente e impara in fretta l’italiano, ma nasconde un lato oscuro e violento, strappato alla sua cultura e al suo ambiente si ritrova senza radici, coccolato e vezzeggiato da un Occidente che non gli appartiene.
Anna è figlia di genitori anziani che hanno conosciuto il dolore più lacerante dovuto alla perdita di quattro figli. Quattro lutti costantemente ricordati e rimpinguati, che perseguitano e feriscono la bambina tanto da isolarla e cercare nella lettura dei libri la sua strada, le sue radici, la sua ppartenenza. Rifiuterà il suo destino di sarta e diventerà nota, dopo la sua morte in un gulag sovietico, come la grande poetessa Anna Barkova.
Due infanzie che vacillano, due infanzie magistralmente raccontate senza fronzoli e orpelli inutili in una scrittura secca e determinata. Del resto Anna Maria Carpi ci aveva già abituato alla sua prosa e alla sua lirica asciutta. Basti pensare alle raccolte di versi L’asso nella neve. Poesie 1990-2010 (Transeuropa, 2011, Terna Viareggio 2011, Premio Minturniae 2011, Premio Annuario di Poesia 2012) e Quando avrò tempo. Poesie 2010-2012 (Transeuropa, 2013), dove le contorsioni e le fumosità che spesso compongono la poesia italiana contemporanea, mancano completamente per lasciare spazio al sentimento. Anna maria carpi ha la capacità di arrivare al cuore del lettore, è immediata, i suoi sono versi semplici su cose semplici, la una è una scrittura limpida, diritta, immediata, efficace, ci si ritrova leggendola. Passa costantemente dal buio alla luce, racconta il caos e la calma di ognuno di noi, e i luoghi, i suoi luoghi, che sono anche i nostri: la Germania, le Fiandre, il Mediterraneo, la Francia, Milano, e poi la la Russia, non solo come luogo geografico, ma anche come luogo della mente. Il suo è sguardo sulla solitudine e sul bisogno d’amore, uno sguardo disincantato sul bisogno di radici e appartenenza che ognuno di noi ha.
Anna Maria Carpi, “Il mio nome era un altro. Due bambini dell’Est”, Roma, Giulio Perrone Editore, 2013.
Per ulteriori info sull’autrice: http://www.annamariacarpi.org/2010/02/biografia.html
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