di Fabio Migneco
La prima impressione che si aveva nel vedere il trailer di Hugo era quella di una fiaba per bambini, quasi alla Polar Express (se non fosse per gli attori in carne e ossa). La seconda era “eccolo lì, anche Scorsese si è rincoglionito”. Un film per bambini, per di più in 3D? Mah…
E invece, ancora una volta, il Buon Vecchio Zio Martin (citazione per i lettori Bonelli) stupisce tutti e fa la sua cosa, come direbbero i rapper della vecchia scuola. Si, perché Hugo è molto di più di una semplice favoletta per i più piccoli (che poi spesso semplici non sono). E’ una parabola sulla scoperta di sé e delle proprie radici, ma anche una commedia avventurosa ambientata in una Parigi anni ’30 che all’inizio appare finissima e quasi stucchevole, ma che poi pian piano conquista.
Soprattutto è una lettera d’Amore indirizzata al Cinema degli albori. La svolta della trama che ci svela un redivivo George Méliès, primo regista a lavorare con i generi nella storia del Cinema, col gusto per la fantasia e la meraviglia, l’effetto speciale ante-litteram e la scoperta delle tecniche filmiche, è ciò che innalza il film, la sua peculiarità. Ed è proprio questo senso di meraviglia, questa capacità di guardare il mondo con occhi fanciulleschi e avidi che Scorsese mette in scena, con consumata maestria, coadiuvato dal giochino del 3D (che continuiamo a credere non abbia poi molto senso) e da riprese volte a magnificarlo.
A una prima parte più lenta e dispersiva fa seguito uno svolgimento dal buon ritmo e pieno di trovate e gag (come tutte quelle con la guardia alla stazione, Sacha Baron Coen, fu Ali-G, Borat e Brϋno, che è già passato per le mani di Tim Burton e passerà in quelle di Tarantino nel prossimo Django Unchained) nel quale Scorsese riesce a trarre il meglio dagli eccellenti caratteristi scelti per questa storia, con anche alcune guest star come Sir Christopher Lee, Ray Winstone e Jude Law nel ruolo del padre del piccolo protagonista.
Tutt’altra cosa quindi rispetto a quello che ci si aspettava dal trailer, senza conoscere il libro illustrato di partenza e base, un esperimento curioso come tanti altri della carriera del maestro italoamericano, ma lodi a parte, ci piacerebbe se per una volta tornasse a lavorare nei territori del gangster-movie magari con De Niro. E non perché non vogliamo che sperimenti altri vie, anzi. Ma perché un film come Quei Bravi Ragazzi o Casinò lo sa fare solo lui (The Departed, sia pure bellissimo era comunque un remake). E manca da tanto, troppo tempo.
Leave a Reply
Your email address will not be published. Required fields are marked (required)