di Francesco Bordi
Un match che inizia teso e che vede nel primo tempo le due squadre intente a studiarsi. Da un lato la storia che tenta di far breccia e quindi colpire l’attenzione facendosi largo fra le navigate aspettative del lettore e, per tutta risposta, dall’altro lato freme la compagine dei sognatori con il libro in mano che vuole esplorare l’area avversaria senza terminare il testo con un risultato più che accettabile. Sarà poi nella seconda parte del confronto che le magie del fantasista principale della vicenda faranno sognare il pubblico che non scorderá mai quella partita che ha avuto luogo in terra tedesca….
Sarebbe questa la metaforica analisi di “Hool” dell’autore tedesco Philipp Winkler se volessimo calvacare la falsa riga calcistica dell’ambientazione del testo. Tuttavia… lo scritto della giovane penna cresciuta nella Bassa Sassonia non è un libro sul calcio. Certo, c’è il costante sguardo di ammirazione per la squadra dell”Hannover 96 (che attualmente milita nella prima divisione del campionato tedesco). Ci sono riferimenti a calciatori del passato e del presente nazionale: le vecchie glorie e le giovani promesse. Ci sono le rivalità fra le tifoserie e non mancano gli acceni alle partite sentite per radio, viste in TV o seguite con gli aggiornamenti telematici. Tuttavia il titolo finalista al Deutscher Buchpreis il pallone lo pone solo sullo sfondo mentre il suo fine effettivo è fornirci il proprio punto di vista “disperatamente” sincero sulle realtà violente ed estremiste degli Hools (Hooligans) tedeschi. Si tratta di uno sguardo approfondito sulla quotidianità e soprattutto sull”approccio alla vita di un gruppo di “ultra’” dell’Hannover 96. Andando maggiormete nel dettaglio la fotografia che si sviluppa nella vicenda raccontata ha nella sua messa a fuoco un “Hool” in particolare: Heiko. Il ragazzo non ha frequentazioni classiche. I suoi amici più stretti sono hools come lui, la sua famiglia è spezzetata e gli elementi che la compongono hanno seri problemi medici e comportamentali. Non è finita: Heiko Kolbe lavora presso la palestra dello zio, anche lui rigorosamente hool, che non disdegna di utilizzare i suoi spazi per attività illecite. Ad impreziosire la non facile vita del protagonista va doverosamente annotata la casa in cui vive che è una specie di zoo abusivo del suo coinquilino, piuttosto dedito al contrabbando, dove dimorano cani da combattimento, l’avvoltoio Sigfrid perennemente al buio, una tigre e tutti i relativi odori della banda. Da non dimenticare l’ex-ragazza: una donna che approfitta del suo lavoro in ospedale per procurarsi sostanze non precisamente convenzionali. Il giovane holl è solito dormire in auto proprio sotto la sua finestra.
Ed il tempo libero? Beh, il tempo libero Heiko lo dedica organizzando e partecipando attivamente a match contro gli hools delle altre squadre teutoniche. A tal proposito va sottolineato che i confronti in questione non sono delle virili partite di calcio fra tifosi con le maglie dei loro eroi. Sono degli scontri più vicini al massacro in cui non si usa il pallone, ma calci pugni, potenza e rapidità. Vince chi rimane in piedi. Regole? Ugual numero di partecipanti fra i due gruppi e totale assenza di armi.
Esistono dei campionati paralleli alle leghe calcistiche in cui i seguaci estremisti della maglie si affrontano per combattersi. Nelle terre della Bundesliga, il campionato tedesco, gli scontri avvengono spesso nei boschi, lontano dagli stadi e dalla polizia. Si tratta di confronti fisici in cui non c’entra più lo sport o meglio… la base è l’idefessa e totale adorazione della maglia sportiva, ma questo è solo il punto di partenza perché per gente come Heiko ed i suoi amici Kai, Ulf e Jojo il punto di arrivo è costituito dall’umiliazione da infliggere agli avversari, l’adrenalina che monta nel pistarli, i “massacranti” ricordi in cui fiondarsi nel tempo: il tutto quasi prescindendo dal match ufficiale. Nella vicenda, infatti, gli hools di cui seguiamo gli sviluppi, sia nel gruppo che nel privato, spesso nemmeno vanno allo stadio perché la vera partita è un’altra.
Winkler affronta in maniera trasparente l’attaccamento di un ultrà tedesco al valore hool. Il lettore pagina dopo pagina viene messo a parte sul perché della scelta di un ragazzo che preferisce tornare a casa con ferite sparse, lividi e, a volte, organi interni danneggiati piuttosto che partecipare ad una qualunque consueta uscita fra amici. I veri affetti sono quelli con cui si sono condivisi quei colpi devastanti e ancora sono legami cementati da “eventi” incancellabili: la partita vista da bambino assieme ad uno zio che ha mostrato potenza e violenza contro il servizio di sicurezza dello stadio in divisa, gli amici con cui vedevi i match al pub di zona bevendo alcoolici di nascosto, un amico che ha fatto i provini per accedere alle giovanili della squadra del cuore che quindi è doverosamente esentato dalla smania dei pestaggi. Questi sono elementi che possono creare la base di un hool. Poi si cresce e la vita può proporre altre situazioni. Se tuttavia alternative o differenti opportunità veranno rifiutate, allora le priorità rimarranno sempre quelle e così gli scontri, l’onore e la supremazia della maglia e la relativa condivisione con il gruppo saranno l’unica via da seguire.
Se gli amici di Heiko, andando avanti negli anni dovessero scegliere una situazione sentimentale stabile o una carriera lavorativa soddisfacente o ancora un avvio promettente verso studi accademici? Oppure, più semplicemente, se quegli ultrà cresciuti con lui sin dall’età scolare si sentissero improvvisamente stanchi di rientrare a casa sempre più massacrati rischiando persino la loro stessa vita? Sono scelte che potrebbero minare i valori hool del gruppo. In questo caso che potrebbe succedere ad un ultrà intransigente come Heiko? Questo ed altri drammi sono ben affrontati da un giovane autore senza annoiare i lettori con teoremi sociologici troppo spesso chiamati in causa o con altrettanto facili retoriche.
Philipp Winkler alterna patemi, risvolti ironici per non dire comici ed atmosfere a tratti grottesche unite a colpi di scena che partorisce quasi naturalmente per raccontarci, quantomeno limitatamente alla realtà tedesca che ben conosce, la sua “visione di gioco”. Non si erge a giudice né tira in ballo la morale ma, in una maniera onesta ed accattivante ma soprattutto priva di una ricercata spettacolaritá spicciola, ci mostra perché la vita può portare a scelte di questo tipo: maglia indosso, pallone per definizione ma rabbia e fuoco negli occhi e stadio alle proprie spalle.
“Hool”, Philipp Wilker, Roma, 66THA2ND, 2018
Foto di Francesco Bordi ©
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