di Fabio Migneco
“Lei ha mai visto un vampiro padre?” “No.” “Per prima cosa non sono romantici, chiaro? Non assomigliano affatto a un branco di transessuali che se ne vanno in giro in abito da sera a tentare di rimorchiare tutti quelli che incontrano con un falso accento europeo, dimentichi quello che ha visto al cinema: non diventano pipistrelli, le croci non servono a niente, l’aglio… vuole provare con l’aglio? Si metta una treccia d’aglio intorno al collo e quei vigliacchi le arrivano alle spalle e glielo mettono allegramente in quel posto mentre intanto le succhiano il sangue senza cannuccia. Non dormono in bare di lusso foderate di seta. Vuole ammazzarne uno? Gli pianti un paletto di legno direttamente in mezzo al cuore, il sole li riduce in cenere nel giro di un minuto.”
Jack Crow (James Woods) in Vampires di John Carpenter (1998)
Così come gli zombi, da un po’ di anni a questa parte anche i vampiri vivono un certo periodo di grande spolvero. C’è un piccolissimo problema. Non sono veri vampiri. No, sul serio. Quelli di Twilight e affini sono solo un manipolo di emo-sessuali finti romantici buoni a spennare i, ma soprattutto le, teenager di tutto il mondo. Purtroppo hanno dato la stura a tutta una serie di epigoni che ricalcano le loro caratteristiche, snaturando così una delle figure più complesse e affascinanti della letteratura horror-gotica. Il problema non è solo il fatto di rappresentarli così, ma anche e soprattutto che ci sia, ormai, quasi solo questa rappresentazione. E mette tristezza pensare che i ragazzini di oggi conoscano solo quel tipo di vampiro lì.
Oltre al postulato teorico del grande vecchio John che trovate in apertura, l’elenco potrebbe essere lungo e notevolmente più interessante delle paturnie di Edward e compagnia Bella… Prestate attenzione ragazzini e prendete appunti: Il buio si avvicina di Katherine Bigelow, quello è un film. Ragazzi Perduti, Blade 1 e soprattutto 2, Dal Tramonto all’Alba, questi sono vampiri. I vampiri sono creature orripilanti che succhiano il sangue e ti vogliono morto. Punto. E per sopravvivere loro li devi uccidere tu per primo. Puro e semplice. Leggetevi Preacher di Garth Ennis e Steve Dillon, lì troverete il vero vampiro moderno, tale Proinsias (ma non ditegli che vi ho rivelato il suo nome) Cassidy. Cavolo, persino il Dracula di Coppola pur non lesinando in amori tormentati e inquietudini varie metteva in scena una creatura disgustosa e sanguinaria! Siamo seri…
Sorprende quindi che qualcuno abbia pensato di tirar fuori dalla bara una vecchia pellicola cult del 1985, quell’Ammazzavampiri (Fright Night in originale) che è uno dei capisaldi del filone e uno dei film imprescindibili per tutti i figli degli eighties che si rispettino, un decennio agghiacciante sotto tanti punti di vista ma di sicuro non per quello cinematografico. Un film che anche rivisto oggi, a un quarto di secolo di distanza, regge bene ed è un piccolo gioiellino sotto tutti i punti di vista. Per la storia semplice semplice (un ragazzo scopre che il suo nuovo vicino di casa è un vampiro), per gli effetti retrò che ancora colpiscono (si veda la trasformazione di Evil Ed l’amico del protagonista in vampiro prima e cane-mannaro poi, riuscita e toccante al pari di quelle di a Un lupo mannaro americano a Londra e L’Ululato) e per tutto il lato meta cinematografico della vicenda (il ragazzo e i suoi amici si rivolgono all’ammazzavampiri Peter Vincent, attore di culto negli anni cinquanta, ormai caduto in disgrazia e relegato in tarda notte in tv private, che prima si mostrerà scettico, poi un codardo e poi un vero eroe, col suo irresistibile armamentario di oggetti che sembrano presi pari pari dai vecchi e gloriosi film gotici della Hammer. Oltretutto il cortocircuito finzione-realtà è doppio visto che a interpretarlo c’era Roddy McDowell, interprete di tanta fantascienza tv).
Non sorprende tanto l’idea di farne un remake, cosa ormai tristemente all’ordine del giorno (pensate a un Marty McFly che arriva dal 1985 al 2011 poveraccio, come minimo entrava in confusione fermandosi davanti a un cinema e trovando Conan, Fright Night e a breve persino Footlose rifatti da altri con altri attori!), quanto che ne abbiano realizzato uno piuttosto fedele, mantenendo pressoché intatte le caratteristiche del vampiro di turno, sexy e carismatico si, ma inquietante, pericoloso e assetato di emoglobina come dev’essere! Se nell’originale i ruoli del ragazzo e del vampiro vicino di casa erano affidati rispettivamente a William Ragsdale (una più che onesta carriera in tv da allora a oggi) e Chris Sarandon (tanta tv anche per lui e qualche altra pellicola cult, tra cui Nightmare Before Christmas di Henry Selick scritto da Tim Burton, dove dava la voce al protagonista Jack Skellington nelle parti non cantate), nel remake attualmente in sala troviamo l’emergente Anton Yelchin e la star Colin Farrell, ambedue perfettamente in parte capaci di dimostrare che anche un film commerciale come questo può e deve regalare performance degne di questo nome. Farrell in particolare è al suo meglio nel dar vita a Jerry versione terzo millennio e anzi rispetto al suo predecessore ha persino una punta di cattiveria in più e una di romanticismo in meno. Il suo vampiro è esattamente quello che dovrebbero essere i vampiri moderni, senza tante elucubrazioni, senza inventarsi null’altro. Il regista del remake è Craig Gillespie, classe 1967, australiano, già autore di Mr. Woodcock e Lars e una ragazza tutta sua, nonché di alcuni episodi della serie tv United States of Tara (viene da lì e da svariati film Toni Collette, sottovalutata attrice di grande bravura qui simpatica madre del protagonista), mentre quello della pellicola originale è Tom Holland, onesto artigiano dell’horror che in carriera ha all’attivo almeno un altro classico come La Bambola Assassina e un paio di adattamenti minori da Stephen King).
Certo, il film originale è più raffinato nel suo essere anche un atto di amore e rimpianto verso tanto cinema fantastico anni cinquanta e sessanta, che negli ottanta era ormai morto e sepolto, il finale è ben più spettacolare e ridondante di quello del remake (che in generale sembra un po’ più tirato via nel ritmo, affrettato), ma il rifacimento non è affatto da disprezzare, anzi, e rispetto a scempi più o meno recenti (e altri ne verranno, forse perfino per mano dello stesso Farrell, da poco sul set di Atto di Forza nei panni che furono di Schwarzenegger) potrebbe essere preso addirittura a modello.
Ed è già un mezzo miracolo visto che la produzione era appannaggio della Disney, che gli effetti di un tempo sono stati sostituiti da quelli digitali (ma non mancano alcuni effetti prostetici classici, con un make-up a tema fatto di lenti a contatto, mani, denti e orecchie finte) e che la figura di Peter Vincent è diventata quella di un illusionista esperto di occulto e vampiri (con incubi che affondano le loro radici nell’infanzia come si scoprirà), mentre è un punto a favore l’ambientazione polverosa del New Mexico. Il 3D è brutto e posticcio, fondamentalmente inutile, come il 90% del 3D in circolazione, e rende il film anche più buio di quanto già non sia, perciò vedetelo tranquillamente in 2D, fatevi un favore.
Per i nostalgici c’è anche il – doveroso – omaggio di rito, con l’apparizione del Jerry originale, Chris Sarandon, qui nei panni del malcapitato che dopo l’incidente d’auto si ferma a chiedere se sia tutto ok e viene per tutta risposta morso dal suo erede Farrell.
In sintesi una pellicola divertente e persino trascinante a tratti, con un vampiro che ammalia prima, si rende odioso poi e contro il quale si fa il tifo (o a favore, questione di punti di vista, ma almeno non per le ragioni per cui va per la maggiore roba come Twilight) e che fa ben sperare, oltre che per una riscoperta del cult originale da parte degli adolescenti odierni, per un ritorno al cinema dei vampiri duri e puri, senza fronzoli né inutili orpelli, che pensino solo a succhiare il sangue e a evitare il fatale paletto nel cuore. Tutto il resto, comprese le mie, sono solo chiacchiere.
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