DIAZ (Italia 2012 – Daniele Vicari)

di Fabio Migneco

 

(immagine da http://static.screenweek.it/2012/3/13/diaz-poster-italia_mid.jpg)Un film importantissimo questo, nel bene e nel male. Perché pur non essendo perfetto, o un capolavoro, è un film necessario, che picchia duro allo stomaco e alla testa. Come doveva e non poteva essere altrimenti. Perché non è possibile che il nostro cinema produca ormai solo commedie più o meno frivole e film d’autore più o meno ombelicali. Film come questo o quello di Giordana (o persino quello di Sollima, Acab, sia pure più orientato a un discorso prettamente spettacolare, d’intrattenimento prima ancora che di denuncia) sono i benvenuti e si spera sempre che diventino gli apripista, per essere la regola e non l’eccezione ad essa, per quanto felice.

Vicari centra, al quarto lungometraggio, una pellicola assolutamente aliena (d)al panorama cinematografico italiano, non a caso acclamata al Festival di Berlino. E lo fa con rigore e maestria tecnica, coraggio e con alle spalle una produzione finalmente degna di questo nome, che pensa e fa le cose in grande, con respiro assolutamente internazionale (un plauso anche a Procacci dunque, sin dagli esordi fautore di un cinema non banale che torna ad allontanarsi – vivaddio – da alcune scelte più fighette e pseudo-radical-chic fatte negli ultimi anni). Nessuna risposta – ce n’è forse una che abbia un senso? – e moltissime domande che rimbombano da allora, undici anni fa e che il regista mette in bocca o nelle teste dei personaggi (tantissimi, su tutti i fronti, interpretati da attori più o meno famosi, ma quasi tutti incisivi, anche con pochissimo tempo a disposizione, in un reticolo narrativo ben congegnato dal quale traspare che tutti credevano nel progetto e nella necessità di raccontare questa vicenda), facendole rimbalzare dallo schermo fino a noi spettatori.

Le inevitabili polemiche che accompagneranno il film le lasciamo ai vuoti talk-show tele lesivi, ma per quanto riguarda la violenza di alcune immagini Vicari andrebbe difeso a spada tratta perché, molto probabilmente, si è persino frenato nel reinventare quanto successe dentro la scuola e nella caserma di Bolzaneto, nonostante abbia esaminato pagine e pagine di verbali e atti processuali.

E’ un capitolo vergognoso della nostra storia recente e andava raccontato senza mezzi termini. Non fosse che per questo Diaz andrebbe proiettato ovunque, non solo nelle scuole come si suol dire.

 Perché eventi come questo non possono passare invano e il cinema, nel suo piccolo, deve contribuire.

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