di Ivan Errani
Nonostante la capacità di immaginazione e proiezione figurata del pensiero sia una delle caratteristiche fondamentali che distinguono l’uomo dal resto della vita animale, è difficile arrivare a disegnare nella mente, benché ci si sforzi, i panorami che riempirono gli occhi di Scott, Shackleton e Wilson quando, in diverse spedizioni, tentarono di raggiungere il Polo Sud. A chilometri e chilometri di distanza dal campo di partenza, con slitte pesantissime trainate da cani dalla resistenza indicibile, verso un punto più psicologico che geografico, con in mente solo la meta e il modo di andare e tornare salvando la vita, con il cielo a due spanne dalla testa e di fronte una mazzetta di colori che vira al massimo tra le sfumature del bianco, non si può che considerare la nostra misera e tragicomica permanenza sulla terra come un tassello minuscolo nello scorrere del tempo. Raccogliendo i diari dei tre esploratori inglesi, nelle quattro fondamentali spedizioni che li videro protagonisti (Scott, spedizione Discovery, 2 novembre 1902 – 3 febbraio 1903; Shackleton, spedizione Nimrod, 29 ottobre 1908 – 4 marzo 1909; Wilson, spedizione Terra Nova [viaggio invernale], 27 giugno – 1 agosto 1911; Wilson, spedizione Terra Nova [marcia verso il polo sud], 1 novembre 1911 – 29 marzo 1912) la casa editrice Nutrimenti ci ha dato a ottobre del 2010 un prezioso strumento per comprendere una parte dell’epopea novecentesca legata alle grandi spedizioni esplorative. Anche dal punto di vista stilistico, oltre che da quello storico, geografico e naturalistico, gli scritti di questi eroi del finis terrae brillano come il sole sulla lucida superficie candida dei ghiacci antartici per immediatezza e sincerità espressiva: il nulla attorno, fatto salvo per la gigantesca catena montuosa che si eleva a ovest, fa sì che le parole necessarie siano davvero poche. I numeri, i calcoli, le stime, le distanze e i tempi assumono connotazioni vitali e definitive: mezzo grado in più o in meno sulla direttrice da seguire e si rischia di sacrificare le proprie ossa al freddo; carne di foca, grasso di foca, zuppa annacquata, tabacco e cibo da razionare, occhi da proteggere dal riverbero cocente, vincere i morsi della fame e controllare la salute attraverso lo stato delle gengive: vengono i brividi solo al pensiero. E poi luoghi da leggenda: Barriera di Ross, Capo Evans, Terra di Edoardo VII, Isola dell’Elefante. Impreziosito da illustrazioni e foto d’epoca dall’inestimabile valore storico, questa pietra miliare della letteratura documentaristica ci riporta agli albori del nostro percorso di conquista del pianeta. Dopo la “scoperta” di un est ammaliante e di un Far West da pionieri, è il sud a stimolare l’irrequietezza di animi assetati di conoscenza. Forse bastano le parole di Shackleton a scuoterci dal raggelo: “Ci troviamo in un territorio splendido e completamente nuovo, ma non riesco a descriverlo. Il senso dell’infinita solitudine che ci circonda ci fa sentire miseramente piccoli nella nostra faticosa avanzata: sulla grande pianura di neve siamo poche minuscole macchie scure che spiano la comparsa di nuove terre”.
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