David Lynch e le sette notte – CRAZY CLOWN TIME

di Fabio Migneco

(immagine da http://www.pastemagazine.com/articles/2011/11/david-lynch-crazy-clown-time.html )Che tipo David Lynch. Dopo il cinema, la scrittura, la pittura e molto altro ancora (in un certo senso se la migliore narrazione, popolare e non solo, è ora nelle serie tv lo si deve anche al suo serial pioniere e sperimentatore, Twin Peaks) ora si dà alla musica.

In realtà lo ha sempre fatto, basti vedere le curatissime colonne sonore dei suoi film, ma ora, a 65 anni suonati – appunto – e sempre col ciuffo ribelle in testa, ha pubblicato il suo primo cd, dall’evocativo titolo Crazy Clown Time. Perché quelli che stiamo vivendo sono anni di pura follia, tempestati da ogni genere di crisi e da sofferenze pubbliche e private, che riescono a disorientare persino chi non ha mai fatto della linearità una delle colonne dei suoi lavori, anzi (un esempio tra tutti l’ultimo lungometraggio, Inland Empire). Tempi grami anche dal punto di vista professionale, tanto che Lynch ha dichiarato che, per come è messo oggi il mercato, non c’è quasi più spazio per un cinema così poco accomodante come il suo.

Tanto che è già passato un lustro da Inland Empire e il regista è impegnato in tutta una serie di progetti collaterali, dalla litografia all’organizzazione di eventi, fino al progetto di un live che unisca musica e arti figurative, con un occhio al compositore storico Angelo Badalamenti.

Venendo al cd, sarebbe facile stroncarlo come semplice capriccio di un artista annoiato in fuga dal cinema (e lo hanno già fatto in molti, basta leggere le recensioni al vetriolo del pubblico del web) e forse in parte è anche quello, ma Crazy Clown Time è comunque un ibrido che si lascia ascoltare. Che poi non sia innovativo, non sia uno squarcio nel panorama della musica elettronica e che fondamentalmente non sia un disco imprescindibile, è un altro discorso. Diciamo che, mentre il Lynch regista disturba e provoca, il Lynch musicista e cantante è semplicemente un privilegiato che sfrutta l’occasione datagli.

Ci prova con grande compostezza, ma risente forse della mancanza di una produzione adeguata, di quelle che lasciano carta bianca sì, ma sono anche capaci di limare lì dove servirebbe o comunque di dare i giusti consigli. Ed è un peccato perché alcuni riff (è lo stesso regista a suonare la chitarra) si sposano bene con i suoni elettrici che l’artista predilige e la collaborazione con Karen O degli Yeah Yeah Yeahs (nel brano Pinky’s Dream) rende al punto che si potevano tentare altri duetti. La voce di Lynch, un po’ nasale a dirla tutta, è quasi sempre camuffata o distorta, in puro stile elettronico ovviamente, e però alcune sue trovate, come le lunghe parentesi parlate di Strange and Unproductive Thinking, assomigliano più alle slabbrature di certo brutto rap, logorroico e autoreferenziale, che ad altro.

Molto meglio la traccia strumentale The night bell with lightning; paradossalmente l’intero insieme, pur lontano e poco simile alle collaborazioni col già citato(immagine da http://www.musica10.it/wp-content/uploads/2011/08/david-lynch-crazy-clown-time-300x200.jpg) Badalamenti, potrebbe benissimo accompagnare le immagini del suo cinema, sia quello passato (So Glad ma anche la stessa title-track con quell’aura alla Tom Waits non sfigurerebbero in Cuore Selvaggio) che quello che verrà. D’altronde anche il nostro Paolo Sorrentino sostiene che l’elettronica funziona benissimo per le colonne sonore (“è perfetta per i film. E’ clamoroso che non se ne siano accorti prima. I registi molto spesso sono pigri sulla musica”) e le sue scelte, da Le conseguenze dell’amore a certi brani de Il Divo lo testimoniano.

Ci sono notevoli spunti e intuizioni, e in effetti il primo singolo, che tra le altre cose può contare già su un remix degli Underworld, Good Day Today, riesce in un colpo solo a riportare l’ascoltatore agli anni ’80 e a farsi manifesto dell’intero lavoro. Il resto naviga tra l’esercizio di stile più o meno compiaciuto e una perdita di incisività che se si fosse trattato di uno sconosciuto esordiente non sarebbe passata sotto indulgente silenzio. Il cd di Lynch è un esperimento meno bislacco di quelli di altri suoi colleghi prestati dal cinema alla musica, ma anche meno riuscito degli album dignitosissimi di altri, specialmente attori, come quelli di blues di Hugh Laurie o di Bruce Willis anni fa, oppure il country-folk di Jeff Bridges. Di certo si ascolta con piacere ma non vi farà consumare la lente del lettore cd a furia di riproduzioni.

Perciò come alcuni dei suoi fan su internet, ma con meno livore, gli consigliamo di tornare presto a fare film, il talento e l’inclinazione artistica sono sempre ben presenti in lui, anche in questo caso, sarebbe meglio indirizzarli solo in un campo in cui è capace di eccellere. Il suo zoccolo duro di fedelissimi ad aspettarlo ce l’ha.

Per ulteriori info:

http://www.pastemagazine.com/articles/2011/11/david-lynch-crazy-clown-time.html

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