di Massimiliano Franchi
Non me ne vogliano i Fiorentini, ma la loro città nei mesi estivi è quasi insopportabile, come un forno umido senza ventilazione, con negozi che vendono acqua a temperatura ambiente e stracolma di turisti dallo sguardo confuso e assente. Fortunatamente poter ammirare il meraviglioso centro storico rinascimentale è un refrigerio per gli occhi, a cui si è aggiunto, in questo venerdì di fine giugno, un sollievo per orecchie e cuore come pochi possono offrirlo, ovvero la magica esibizione solista di Chris Cornell (storico cantante dei Soundgarden negli anni ’80 e ’90 e poi degli Audioslave all’inizio del nuovo secolo) nella Cavea del nuovo Auditorium di Firenze.
A cercare di far dimenticare il marmo ancora cocente delle gradinate ci pensa prima il gallese Paul Freeman, che con la sua chitarra acustica intrisa di pop rock cantautoriale introduce la serata.
Ma è un tripudio l’ingresso a seguire del cantante americano, con tanto di pacche e strette di mano con le prime file del pubblico. Chris Cornell si presenta fomentato e con la voglia di sorprendere i suoi affezionatissimi fan e, imbracciando la chitarra acustica, si scalda la voce con Scar On the Sky, House Where Nobody Lives (cover di Tom Waits) e Ground Zero.
La voce canzone dopo canzone si scioglie e sale, emozionando il pubblico con Wide Awake e Be Yourself (tratta dal periodo Audioslave), Can’t Change Me e Man of Golden Words (omaggio ai Motherlovebone, nel cui finale viene accennata Confortably Numb dei Pink Floyd). I ricordi volano malinconicamente all’amico da molti anni scomparso Andrew Wood in Wooden Jesus, Call Me a Dog e Hunger Strike (tratte dall’album Temple of the Dog, inciso nel 1991 insieme ai Pearl Jam, in ricordo del suddetto ex leader dei Motherlovebone), seguite da Sunshower (rarità tratta dalla colonna sonora dell’adattamento cinematografico di Great Expectations di Dickens del 1999) e la doppietta Fell on the Black Days e Outshined dei da poco redivivi Soundgarden.
Dei campionamenti di piano e chitarra su vinile accompagnano When I’m Down e Scream (con tanto di disco in loop e saltello sul palco per ripristinare l’LP “incantato”), mentre Blow Up the Outside World dei Soundgarden ha una lunga coda rumorosa e psichedelica. Spazio ad altre due chicche, ovvero Seasons (dalla colonna sonora di Singles del 1992) e Thank You (cover dei Led Zeppelin), seguite da Like a Stone e Doesn’t Remind Me, altre due tracce degli Audioslave. Il cantante esce di scena per pochi minuti, prima di rientrare per proporre come encore Burden in My Hand e Black Hole Sun dei Soundgarden, I Am the Highway degli Audioslave e la finale A Day in the Life dei Beatles.
Chris Cornell sembra divertito nel suo one man show, raccontando frequentemente aneddoti sulle sue canzoni, ridendo insieme al pubblico delle sue ultime non piacevoli vicissitudini (pochi giorni prima aveva dovuto annullare la data prevista a Torino per un’intossicazione alimentare causata da pessime cozze mangiate a Venezia), incitando i fan a cantare in coro insieme a lui, sfidandoli a battere costantemente il tempo con le mani e senza mai fermarsi tra un pezzo e l’altro (la boccetta d’acqua, poggiata di fianco ad un misterioso ed inutilizzato telefono rosso di scena, non è stata mai toccata dal cantante). L’atmosfera raccolta della cavea, i suoni acustici di chitarra e l’emozionante voce dell’artista americano sono riusciti dunque a rendere magica questa afosa serata, dimostrando che dopo quasi 30 anni di carriera si può riuscire a far raggiungere picchi da pelle d’oca quasi insostenibili per gli ascoltatori.
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