di Antonella Narciso
Visitare la mostra di palazzo Grimani a Venezia, può significare vivere un raro momento di grazia.
In Ruga Giuffa, alla fine di ramo Grimani, si apre il portale della nobile residenza cinquecentesca, acquistata dallo stato italiano nel 1981 e riaperta al pubblico nel 2008 dopo un lungo ed accurato lavoro di restauro.
Dimora del doge Antonio Grimani, venne ampliata dai suoi eredi, i fratelli Vettore e Giovanni Grimani; fu quest’ultimo, patriarca di Aquileia ed appassionato collezionista di arte classica, a volere che il palazzo riecheggiasse elementi architettonici e decorativi propri dell’Italia centrale, visti durante il suo soggiorno romano.
La meraviglia di questo luogo inizia proprio dal cortile porticato: non fosse per la battaglia ostinata che l’umidità combatte contro gli intonaci quasi freschi di restauro, si potrebbe anche credere di non essere più nella città lagunare. Saliti al piano nobile, il senso di straniamento cresce: fuori delle finestre l’acqua dei canali moltiplica gli archi cuspidati ed i rivestimenti in pietra d’Istria, ma dentro il palazzo stucchi, marmi ed affreschi utilizzano un lessico diverso cui contribuirono, tra gli altri, Francesco Salviati, Camillo Mantovano, Giovanni da Udine e Federico Zuccari.
Nonostante il mascherone in gesso che dalla stanza del Camino spalanca minaccioso le fauci, la ricca collezione raccolta da Giovanni Grimani è andata dispersa, con l’eccezione del nucleo greco-romano legato alla Repubblica nel 1593 ed ora alle Procuratie Nuove. Ancora oggi le grottesche sui soffitti, ad imitazione di quelle della Domus Aurea, così come la sontuosa decorazione di marmi policromi nella stanza del Doge, testimoniano questa dolorosa assenza a cui sembrano partecipare le tre opere di Hieronymus Bosch ( ‘s Hertogenbosch 1450 ca – 1516), tornate (temporaneamente?) a casa dopo anni nei depositi di Palazzo Ducale.
Il Trittico degli Eremiti (1510), la Visione dell’Aldilà (1503) ed il Trittico di Santa Liberata (1505), duramente provati dai danni del tempo e di inopportune ridipinture, non presentano lo stesso affollamento di bizzarre figure considerate la cifra stilistica del pittore fiammingo, ma ne declinano gli stessi temi in ambienti più rarefatti.
Lontana da ogni sofferenza è Santa Liberata, figlia di un re del Portogallo, che muore in croce mentre ai suoi piedi giace privo di sensi un uomo, la cui misteriosa identità non ci aiuta a svelare la bellissima calza ricamata con motivi di civetta e spini. E la nave che semina morte nella parte superiore del pannello di destra, armata con un aculeo di scorpione e chele di granchio, è forse più inconsueta ai nostri occhi della giovane donna crocifissa e dell’uomo senza più vita, sorretto da mani pietose?
I paesaggi che si aprono nel San Girolamo e nel Sant’Egidio del Trittico degli Eremiti permettono di collocare l’opera tra quelle della piena maturità del pittore e con la loro consistenza velata ed eterea, sovrastano il mondo di deserti e grotte dove si aggirano gli eremiti penitenti, tormentati dalle immagini di quei peccati che sempre minacciano l’esistenza terrena dell’uomo.
Il momento più intenso della mostra si svela nell’originale tribuna, pensata per ospitare la celebre collezione di reperti classici: illuminata dalla luce che filtra dal tamburo della cupola e vegliata da un ratto di Ganimede, copia romana della fine del II sec.d.C., sospeso al centro della sala, la Visione dell’Aldilà appare in tutta la sua forza cromatica e concettuale. Nelle quattro ali del polittico, Paradiso Terreste, Ascesa all’Empireo, Caduta dei Dannati ed Inferno, il rigorismo morale di Jan van Ruysbroeck diffuso dal movimento della Devotio moderna informa le soluzioni iconografiche impiegate da Hieronymus Bosch: Dio è l’abisso di luce verso cui tendono le anime dei beati accompagnati da angeli benevolenti, mentre le anime dei reprobi precipitano nelle tenebre punteggiate da improvvisi bagliori sulfurei. L’inferno è un lago rossastro sovrastato da una roccia in fiamme ed il dolore senza fine è tutto nella figura umana in primo piano, lacerata più dalla sua intima disperazione che dagli artigli del demone che si trova alle sue spalle. E mentre l’umanità priva di grazia non conosce più luce, i Giusti preparano il compimento del loro destino sulla collina del Paradiso terrestre, ultimo momento di colore prima dei grigi che preludono al bianco assoluto in cui le anime perdono la loro individualità per incontrare Dio.
La mostra Bosch a Palazzo Grimani rimane aperta fino al 20 marzo, tutti i giorni dalle 9 alle 19.
Maggiori informazioni sono disponibili sul sito del palazzo, all’indirizzo www.palazzogrimani.org
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