di Fabio Migneco
Dopo l’exploit del primo film, remake del francese Giù al Nord, Miniero e soci ci riprovano con un sequel originale made in Italy. Ma in realtà non c’hanno proprio provato. A fare qualcosa di originale intendo. Perché non sfruttare un pubblico e un incasso già sicuri per osare qualcosa di un po’ più costruito e diverso? No, meglio fare un sequel fotocopia a segni invertiti, dove si mescolano giusto un po’ le carte e le parti, si aggiungono un paio di personaggi (il simil-Brunetta di Paolo Rossi e la suocera di Bisio interpretata dalla Finocchiaro col trucco). Ma le copie, si sa, non valgono l’originale e spesso vengono sbiadite, figurarsi quando l’originale è già una copia di per sé, sia pure riadattata all’italica realtà. E quindi ecco a voi un filettino facile facile, che strappa giusto qualche sorriso e procede per accumulo di stereotipi e gag vecchi come il cucco. Sprecando – ed è la cosa più grave – il suo cast di onesti professionisti che sanno il fatto loro, sia nelle prime che nelle seconde file, e fanno quel che possono con quel poco a loro disposizione.
Siani, che col primo film si stava affrancando dall’etichetta scomoda di clone alla lontana di Troisi, qui ripiomba nel baratro ed è un peccato, perché che potrebbe fare ed essere altro lo ha dimostrato di recente anche in La peggiore settimana della mia vita. La Lodovini è ridotta a una figurina evanescente, buona solo per mostrare la procace scollatura, quando invece ha del vero talento, anche comico, oltre alla bellezza fornitale da Madre Natura. E così via…
Però la risposta finale la dà il botteghino: il film sta incassando benissimo (uno sproposito rispetto a quanto vale, come già fu col primo) e la vetta del box office è riconquistata. E allora hanno ragione loro. Perché sforzarsi se anche facendo il minimo il pubblico accorre in massa?
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