di Claudio Consoli
Lassù c’è un altro me…sarà migliore? Peggiore? Cosa gli direi nel momento in cui me lo trovassi davanti? Da quali errori cercherei di metterlo al riparo e quali altri invece lascerei che commettesse qualora scoprissi che la sua linea temporale non è in sincronia con la mia?
Chi non si porrebbe questi interrogativi se un giorno si svegliasse e contemplasse nel cielo una copia esatta, o meglio un’altra Terra identica alla nostra con tanto di unico satellite che ostinatamente gli mostra una sola faccia durante il suo moto di rivoluzione?
In egual misura o più che per eventi storici quali l’11 Settembre 2001 ognuno cristallizzerebbe il ricordo di ciò che stava facendo, o pensando, nel momento in cui la propria realtà e la propria vita venissero sconvolte da un avvenimento di tale portata: per la protagonista di questa storia, Rhoda Williams, teenager di ritorno da un party sregolato ma meritato a seguito della sua accettazione al prestigioso M.I.T., a rimanere congelata in un attimo è la sua stessa vita, che si ferma nel momento in cui, a seguito dell’invito di uno speaker radiofonico ad osservare il corpo celeste da poco apparso nel cielo, si distrae durante la guida della sua auto distruggendo essa e la vita di una giovane coppia con figlio di 5 anni al seguito ed infante in arrivo.
Nello schianto non sono solo lamiere e vetri a stridere, accartocciarsi ed esplodere, sono anche le esistenze di Rhoda, che finirà in carcere e di John Burroughs, professore di musica in un college e compositore, che perderà tutta la sua famiglia ma non la sua vita biologica, entrando in un lungo coma che, per quanto ci sembra di capire, termina poco prima o in corrispondenza della fine della sentenza di Rhoda.
Le esistenze di entrambi ci appaiono quindi ovviamente sconvolte, seppur su fronti psicologici distanti, dall’accaduto, così ci ritroviamo con un John sopravvissuto suo malgrado e votato ad una prevedibile deriva autodistruttiva ed una Rhoda che sembra non voler più uscire dal buio di quella notte maledetta in cui la sua vita cambiò così irrimediabilmente: si rifugia quindi in un esistenza umile e sfuggente cercando appunto di rimanere nell’ombra del rimorso e del senso di colpa di ciò che non riesce a perdonarsi.
Seguendo questa sua volontà da suppliziante un giorno si ritrova sul luogo del fatale incidente, dove al sicuro dentro il suo cappuccio osserva il professore, che lei non sapeva nemmeno essere vivo, deporre ai piedi di un lampione il giocattolo che suo figlio teneva in braccio prima di morire: questo il nuovo punto di incontro fra i due e la nuova svolta delle loro vite che si snoderanno lungo prevedibili e dolorosi binari per entrambi.
Soprattutto per evitare spoiler il racconto della trama si ferma qui per tornare a puntare i nostri sguardi verso quella Terra ulteriore che è proprio l’aspetto pregevole e l’espediente narrativo che dona interesse a questa pellicola: grazie ai numerosissimi interrogativi che fa sorgere nello spettatore fin dal principio, alla loro complessità riflessa anche da dotte citazioni filosofiche e storiche dosate e donate con equilibrio in alcuni dialoghi, ma soprattutto all’universalità degli stessi, “Another Earth” si annovera fra quella categoria di film in cui la tematica trattata è talmente interessante ed avvincente da far passare in secondo piano sia gli aspetti tecnici che l’effettiva validità delle prove degli attori i quali, in questo caso, sono comunque assai convincenti e misurati nella rappresentazione sia del dolore che della rabbia, ossia i due ingredienti emotivi principali.
Cosa rappresenta quindi questo pianeta, altro ma identico? Cosa pensare di poterci trovare nel momento in cui si scoprisse che è abitato da altri noi, con i nostri stessi nomi, che vivono in città come le nostre e così via? Questa Terra II (o I a seconda di dove sia il punto d’osservazione e quindi di dove risieda la soggettività dell’Essere e del percepire) è una nuova possibilità o semplicemente un riflesso in uno specchio? Dobbiamo tirare fuori quel vecchio numero delle Scienze che parla del Multiverso e di teoria delle stringhe oppure “Attraverso lo Specchio” di Lewis Carroll”?
Dubbi, interrogativi e speranze ci portano con in protagonisti lungo un giro su montagne russe emotive, con in sottofondo il “rumore” dei nostri pensieri stimolati dalle molte domande esistenziali, proprio per questo ci sembra che il messaggio più importante e salvifico, sia quello che viene donato alla protagonista, più o meno a metà del film, da un vecchio collega di Rhoda di probabili origini indiane, che la ragazza scoprirà poi essersi accecato versando della candeggina sui propri occhi perché, a suo dire, non sopportava più di vedere la sua immagine riflessa ovunque: senza essere a conoscenza dei tormenti della giovane ma probabilmente percependoli grazie ad una maggiore sensibilità acquisita grazie alla mutilazione autoinflittasi, lo stanco e saggio uomo la invita a tenere lucida la sua mente, perché solo così potrà raggiungere la pace interiore, la prega di non preoccuparsi troppo, non ossessionarsi ma, soprattutto, di imparare a conciliare, accomodare e curare se stessa.
Qualunque mondo ci si offra o prometta insomma, ci sarà comunque impossibile sondarne le possibilità o coglierne le opportunità, rimarrà sempre irraggiungibile se prima non avremo compiuto il necessario viaggio dentro noi stessi.
Mike Cahill che oltre a dirigere il film e curarne la sceneggiatura insieme alla sua amica Brit Marling, che interpreta Rhoda, è anche responsabile della bella fotografia della pellicola, ci dimostra come produrre e girare un lavoro a basso budget (basti pensare che la stessa Marling si è dedicata al trucco dell’altro protagonista, quel William Mapother che molti ricorderanno nella fortunata serie “Lost”, per risparmiare alcuni costi) possa e debba essere la maniera per affrancarsi dalla logica dello showbiz e dall’incubo degli incassi. Dimostra inoltre che se scelte minimaliste o “economiche” sono fatte per vere esigenze di sceneggiatura o artistiche e non in ossequio a decaloghi integralistici ma sterilmente provocatori, c’è ancora spazio per raccontare storie ambiziose nelle loro suggestioni ma semplici nel loro essere incentrate sui protagonisti e le loro storie, senza lasciarsi prendere la mano dalla possibilità di mostrare o stupire, grazie alla tecnologia oggi disponibile, sempre di più e in maniera sempre più esasperata: significativo e conclusivo è quindi il notare come un assunto di partenza di pura e intrigante foggia fantascientifica sia stato asservito a raccontare una storia che nasce, si svolge e si conclude tutta all’interno dell’animo dei protagonisti.
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