BRUCE SPRINGSTEEN – WRECKING BALL. (Columbia Records – 2012)

di Fabio Migneco

 

(immagine da http://www.outune.net/wp-content/images/brucespringsteen_wreckingball-468x468.jpg)C’è un altro cantante statunitense che abbia saputo raccontare la storia degli ultimi quarant’anni del suo paese come Bruce Springsteen? Molto probabilmente no. O almeno non con così tanta veemenza e convinzione. Il Boss è tornato. Esce in questi giorni il suo ultimo album, Wrecking Ball.

L’avevamo lasciato tre anni fa circa, quando stava lavorando a un sogno, Working on a Dream, appunto. E lo ritroviamo ora, deluso e arrabbiato, con quel sogno completamente sgretolato davanti agli occhi, suoi e dei suoi compatrioti (nonché, di riflesso, del mondo intero).

Il sogno di un futuro migliore non è nemmeno lontanamente dietro l’angolo e, come già nel post 11 settembre con The Rising, Bruce Springsteen si trova a fare i conti con un’America ridotta a un cumulo di macerie.

Quello che sentiamo, già in apertura col singolo We take care of our own, è uno Springsteen più cinico e disilluso, che dice appunto di pensare a noi stessi, perché la società e i governi non sembrano più farlo. E’ l’unico brano più tradizionalmente rock dell’intero disco, che spazia attraverso molti generi musicali, per un risultato che quasi si potrebbe definire hard-folk, tanto è insistito il recupero di stilemi della grande tradizione musicale popolare americana, col Boss che va a pescare nell’immenso patrimonio dell’American Songbook quasi come ai tempi del disco The Seeger Session. Al punto che anche la E-Street Band è messa leggermente in secondo piano in fase di registrazione (con l’eccezione dei soli Little Steven e Max Weinberg), ma è già pronta a esplodere nell’atteso tour mondiale, che toccherà di nuovo anche l’Italia con tre tappe, rispettivamente a Milano, Firenze e Trieste, il prossimo giugno.

Easy Money introduce un nuovo personaggio nella sterminata galleria di poetici character dipinti dal Boss nella sua carriera, un rapinatore di mezza tacca che però non si fa alcuno scrupolo a fare soldi facili, in un parallelo con i sedicenti magnati della finanza che hanno affossato il paese e il mondo intero.

Per quasi tutto il disco il tema portante è la depressione. Quella economica, certo, in primis, e a seguire, in un disastroso effetto domino, quella sociale, morale, personale. Un duro colpo, al quale risponde con questo album che ne sferra un altro quasi altrettanto duro, parlando chiaro e tondo, senza troppi giri di parole, con testi potenti e come spesso gli accade bellissimi, ma con una musica che risale alle radici stesse del folk, passando per echi alla Guthrie o anche alla Johnny Cash, regalando ancora una volta personaggi dolenti e magnifici, immagini assolutamente coinvolgenti e cinematografiche, per le quali la sua musica è la colonna sonora ideale. Tra i migliori brani rientra Schackled and drawn, tiratissima, tra sonorità southern e finale in puro stile gospel. Jack(immagine da http://static.blogo.it/soundsblog/springsteenwetake.jpg) of all trades invece porta una nota di speranza, con Bruce che canta “ce la caveremo, quando il cielo tornerà azzurro il mondo cambierà”, e l’arrangiamento si fa ancora più essenziale, come a voler far passare il messaggio, quello di banchieri (ai quali sparerebbe a vista) sempre più grassi e di lavoratori sempre più magri. Finale struggente affidato alla fedele Telecaster, per una ballata che spezza un po’ il ritmo, ma che rappresenta anche uno dei punti più alti del disco. In Death to my hometown si e ci chiede  “come è possibile che senza bombe, senza spari, senza dittatori abbiano potuto portare la morte nella mia città?” Il Boss è arrabbiato, scosso, ma mai domo. Se in This depression racconta con lucida rabbia la condizione americana di questo secondo decennio del nuovo millennio (“mi è già successo di sentirmi giù e perso, ma mai così; la mia fede aveva già vacillato, ma non mi ero mai sentito senza speranze; in questa depressione ho bisogno del tuo cuore”), con il brano che dà il titolo all’album, Wrecking Ball, se la prende addirittura con Dio, in quello che è un grido potente e malinconico, disperato al tempo stesso: “se hai fegato, se hai le palle, fammi vedere cos’hai, mena il tuo colpo migliore, lancia la tua palla da demolizione”.

Una metafora forse meno raffinata delle altre presenti nell’album ma è il Bruce più truce che ci piace di più, da sempre. Un brano, questo, non inedito, già sentito live nel 2009, in occasione della demolizione del Giants Stadium. Nonostante i toni nel pezzo il contributo dell’organo stempera la tensione e il finale è molto più festoso, grazie alla sessione fiati.

L’incipit acustico, introduce You’ve got it,  brano dal crescendo elettrico, e dal grande impatto, col Boss ancora una volta cantore di quell’Amore che mescola sentimenti puri e passione irrazionale: “tu ce l’hai, baby: dammelo; nessuno può rubarlo, romperlo, fingerlo, lo riconosci quando lo senti; non puoi leggerlo, non puoi sognarlo: lo riconosci quando lo vedi; è l’amore”. L’elettronica viene in soccorso nell’intro di Rocky ground, dove Springsteen nonostante tutto riesce a sperare che arrivi un nuovo giorno, e la sua voce è coadiuvata da un bel cantato femminile oltre che da un intermezzo rap che trascolora verso il finale, di nuovo meravigliosamente gospel. Segue Land of hopes and dreams, secondo brano non inedito, già apparso su Live in New York City del 2001, forse un po’ distaccato per forza di cose dal resto del disco, ma che non poteva non trovare posto. E’ qui infatti, in questa storia di vincitori e sconfitti, che si (immagine da http://4.bp.blogspot.com/-0gcIvxRt8cY/Tx8bASxkKDI/AAAAAAAAWMc/MsHXGiMlC1A/s1600/BRUCE-SPRINGSTEEN.jpg)sente per l’ultima volta in un disco del Boss il sax del leggendario Big Man Clarence Clemons. E anche la copertina dell’album è insieme omaggio e evocazione: il Boss è solo ora, con la stessa chitarra che aveva nella copertina di Born to Run, secoli fa, dove però si appoggiava sulle spalle possenti dell’amico fraterno, scomparso lo scorso anno lasciando un vuoto incolmabile (nei futuri live al suo posto ci sarà infatti un’intera sessione di fiati perché “è impossibile rimpiazzare Clarence”). Un tributo più che doveroso che accompagna l’ascoltatore verso il brano che chiude il disco, We are alive, che presenta uno scenario solo apparentemente lugubre: i morti in un cimitero le cui anime sopravvivono, i padri sottoterra vivi nello spirito, mai domi proprio come il Boss e la sua musica. Fatta non solo di rock, ma anche di blues e danze celtiche, suoni redneck e country-western, cornamuse scozzesi, folk, gospel, persino rap. La produzione dell’album è affidata a Ron Aniello, ospiti Tom Morello dei Rage Against the Machine e Willie Nile. Esiste anche una versione deluxe, con due brani bonus-track in più: Swallowed Up e American Land. 

Non si può negare che questo disco ci riconsegni un Bruce Springsteen in stato di grazia che firma il suo album più politico e uno tra i più incisivi dei diciassette lavori in studio registrati finora. Sempre senza cadere nella sindrome del predicatore, ma intrattenendo e trascinando come solo lui sa fare e, al tempo stesso, raccontando ciò che lo circonda con immagini di rara potenza ed efficacia, che non hanno paura di essere anche sgradevoli alle volte, veri e propri pugni nello stomaco. Ora lo aspetta il non facile compito di un tour senza Clarence, ma siamo sicuri che Bruce e i suoi sapranno dare, ancora una volta, il meglio possibile.

Lasciatevi travolgere da(lla) Wrecking Ball!

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked (required)

You may use these HTML tags and attributes: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <s> <strike> <strong>