di Fabio Migneco
Lasciate perdere le solite inutili polemiche mosse ad arte, magari da qualcuno che il film nemmeno lo ha visto, e andate in sala a vedere uno dei pochi film italiani, tra gli ultimi in circolazione, che non sia una commedia e che prova a raccontare verità scomode e squallide nella loro nuda crudezza.
E questo è il primo dei pregi del film, che trova il suo punto di forza tanto nella regia di Sollima, che rilancia alla grande dopo le due eccellenti serie di Romanzo Criminale, quanto in un gruppo di attori di grande bravura ed efficacia. Se Favino sta diventando quasi una sorta di moderno mostro sacro del nostro cinema, finalmente Marco Giallini inizia ad essere un nome che sempre più persone ricordano. E se lo merita, non solo per una carriera ventennale fatta di vera gavetta e scelte sempre coraggiose e mai facili, ma soprattutto perché la sua è una faccia incredibile, di cui il cinema (non solo italiano) ha senz’altro bisogno. Qui il suo cinismo vissuto molto romano trova il giusto sfogo nella caratterizzazione di Mazinga, il celerino più anziano che ha visto e fatto troppo.
Sollima riesce a trovare una storia scorrevole e piena di spunti (dal cameratismo al rapporto genitori-figli, all’integrazione e molto altro) da quello che era un romanzo-inchiesta non così semplice da tradurre in immagini. Ha il merito di lasciare solo sullo sfondo tragedie reali (il G8 di Genova, l’uccisione di Gabriele Sandri) per lasciare campo libero a quelle romanzate ma metaforiche dei suoi protagonisti. Per quanto riguarda le dolenti note: la tanto decantata colonna sonora è fatta per lo più di brani già ascoltati altre mille volte, su tutti 7 nation army dei White Stripes e Club Foot dei Kasabian che chiude il film, sarebbe stata più incisiva una selezione più accurata e personale, meno sfruttata; il montaggio alternato e frammentato non morde come forse avevano sperato e, anzi, risulta poco motivato e a tratti sprecato. L’intero insieme poi lascia una punta d’amaro in bocca, nonostante i pur non trascurabili pregi. Poteva davvero essere un filmone, che segnasse una netta cesura nelle produzioni tricolore, e invece a conti fatti è un po’ un’occasione mancata. Perché se è vero, come ha dichiarato il regista, che le fonti di ispirazione sono i polizieschi americani alla Training Day o le serie cult alla The Shield o The Wire, siamo ancora lontani anni luce dai modelli. Ma ci auguriamo che questo sia uno sprone per Sollima: la direzione è quella, si tratta solo di trovare il passo più giusto.
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