di Fabio Migneco
Non sono moltissimi i sequel made in Italy e ancora meno sono quelli riusciti e belli come il capostipite. Ed è per questo che salutiamo con piacere questa seconda parte di Immaturi, che lo scorso anno incassò a sorpresa oltre 15 milioni di euro e che era una commedia piacevole e garbata, ben girata e tutto sommato ben scritta, soprattutto molto ben interpretata da un gruppo di attori tutti ben noti e amati dal pubblico e tutti probabilmente all’apice delle loro carriere.
Il rischio di un seguito meno ispirato ed effervescente era dietro l’angolo ma il regista Paolo Genovese, anche sceneggiatore, ha saputo dribblarlo alla grande. Certo, come sempre accade con la maggior parte dei film nostrani non c’è alcuna connessione col paese reale, nemmeno la più piccola, e i protagonisti dei nostri film sembrano preoccuparsi solo di chi mette le corna a chi, di schermaglie amorose più o meno serie che non di come arrivare a fine mese o di qualunque altro tipo di crisi.
Però se si accetta il gioco e si mettono da parte i pareri prevenuti, riconoscendo il fatto che una commedia deve principalmente divertire, non si può negare che il film sia riuscito e contenga diverse sequenze ben orchestrate, oltre a un cast davvero ben assortito e affiatato che funziona come e più che nel film precedente. Merito di scelte oculate, come l’aver lasciato maggior spazio a personaggi riusciti che potrebbero reggere un intero film (i duetti Memphis-Bova sono una bella sorpresa, potrebbero funzionare come coppia comica; Mattioli è il solito gigante caratterista d’altri tempi, Kessisoglu e Anita Caprioli hanno una parte ben più consistente e la loro storia potrebbe avere un ulteriore sviluppo, Bizzarri sembra nato per queste parti da tenera canaglia che va sempre a impelagarsi in situazioni più grandi di lui e delle sue bugie) e di alcune new entry dosate il giusto, ma, davvero, si potrebbero spendere parole di lodi per ognuna delle forze in campo. Il resto lo fa una regia di mestiere, capace di esaltare i magnifici paesaggi greci e le sottotrame che spaziano dalla farsa a una punta di dramma che si insinua qua e là malinconica. Ognuno ha avuto il suo gruppo di amici e le sue storie generazionali da raccontare, non c’è dubbio. Tra i tanti (qualcuno dice troppi) piccoli grandi freddi all’italiana, questo dittico – possibile trilogia? Di materiale ce ne sarebbe… – di Paolo Genovese non è certo tra i più spiacevoli, anzi.
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