Vivere ai tempi di Internet/1: Internet e l’Informazione

di Ornella Rota

 

Il digitale cambia tutto. Web, edizioni elettroniche per computer, tablet e telefonini vivificano il prodotto cartaceo e lo integrano. I siti on line dei quotidiani si trasformano da vetrine a presidi delle notizie in tempo reale, arricchite di contenuti multimediali (foto, audio, video) e interattivi (mappe, sondaggi). Intanto, lo sviluppo del cosiddetto web 2.0 e ancora di più dei social network stimola i meccanismi di interazione con i lettori, che in numero crescente commentano notizie, inviano foto, video, dati, documenti, condividono contenuti.

Da Gutenberg a Zuckerberg, nel terzo millennio sembra sfumare la distinzione tra chi produce informazione e chi ne fruisce.

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(foto di Laith Musthaq © tutti i diritti riservati)MILANO. “Oggi”, dice Laura Silvia Battaglia, “ignorare il linguaggio multimediale, dedicarsi solamente alla carta stampata, equivale a vivere in una bolla, precludersi il futuro”. Poco più di trent’anni, due lauree, inglese perfetto, buon arabo e buon farsi, Laura lavora per la redazione esteri del quotidiano Avvenire, collabora con alcuni periodici e insegna giornalismo alla Scuola dell’Università Cattolica. Attraverso la scrittura, i suoni, le immagini, Laura racconta per lo più zone di confine e di conflitto etnico e/o religioso (Libano, Israele e Palestina, Gaza, Afghanistan, Kosovo, Serbia). Ha vinto vari premi fra cui il “Giancarlo Siani 2010” (con il video “Maria Grazia Cutuli. Il prezzo della verità”).

Il digitale modifica il modo di scrivere?

“Intanto è già cambiato in generale il modo di leggere, nel senso che è sempre più difficile riuscire a concentrarsi su un articolo molto lungo. La rete impone di spezzare il testo in blocchi per facilitarne lo scorrimento sullo schermo e di linkare ad altri luoghi per aumentare il numero dei potenziali lettori. C’è bisogno di concisione, rapidità, abilità, intuito. Se non vogliamo vivere in una bolla e precluderci il futuro, dovremo _ non soltanto noi giornalisti _ imparare al meglio l’uso delle nuove tecnologie.

L’enorme flusso di dati che continuamente proviene dai social network soprattutto in aree di crisi ripropone, in maniera anche più pesante che in passato, il problema dell’attendibilità delle fonti. Di più: alcuni gruppi utilizzano, per evidenti ragioni di sicurezza, dei server installati in paesi diversi da quelli dove si verificano i fatti che vogliono rendere noti (in determinate circostanze, esiste, per distribuire i file, anche la possibilità di giovarsi di una certa rete telefonica satellitare).

In che misura posso fidarmi di riprese fatte da uno sconosciuto e provenienti da chissà dove? Eppure, in certi casi, questi contributi diciamo allo stato grezzo sono gli unici possibili”.

Infatti. Come se ne esce?

“Con la professionalità: devi parlare più lingue (quest’esigenza, nell’era digitale, è assoluta), avere viaggiato nei paesi dei quali i file più di frequenti riferiscono, avere dimestichezza con le tecnologie. Oggi, il nostro mestiere richiede un livello di specializzazione sempre più elevato.

Soprattutto fra i più giovani, i cosiddetti “nativi digitali”, esiste il problema della capacità di controllare le fonti. Lo riscontro fra i miei studenti: hanno scarsa capacità di ricerca, nessuna pratica di come si confrontano dei testi magari in una biblioteca, tendono ad accontentarsi acriticamente dei dati che stanno su internet”.

Qualche comune denominatore dei nativi digitali?

“Una grandissima velocità di azione, scarsa attitudine  a riflettere, una capacità assolutamente naturale di capire i meccanismi non soltanto della rete ma anche della comunicazione. Vivono in internet come dentro un vestito che calza a pennello; o, si potrebbe anche dire, come animali che si aggirano con totale disinvoltura nella foresta dove sono nati. Per loro il digitale è madre lingua, le generazioni precedenti lo hanno imparato come una lingua straniera”.

 

ROMA. “Internet farà davvero informazione se e quando gli utenti _ o semplicemente i cittadini _ potranno, poco dopo un fatto importante, attingervi i criteri, i dati, per capire cos’è davvero successo e intuirne le possibili evoluzioni senza dover aspettare i quotidiani del giorno successivo. Per esempio, quando in un determinato paese si forma un nuovo governo, è abbastanza indifferente poter conoscere immediatamente, come si fa adesso, l’elenco dei nomi dei ministri, però sarebbe molto interessante leggere, magari un paio d’ore dopo, la storia di ciascun componente, i suoi orientamenti, i punti di riferimento. Tra qualche anno, penso che questo genere di programmi potrà svilupparsi; oggi non ci sono gli strumenti né le aziende né il mercato né le professionalità, e in fondo neppure la domanda”: al giornalismo, Mino Fuccillo approdò tanti anni fa dopo un breve periodo in università (a Napoli) come docente di filosofia. Da qualche tempo collabora a Rainews 24, canale assolutamente qualificante nella panoramica della nostra offerta televisiva; suoi interventi compaiono molto sovente online, su “Blitz quotidiano”.

“La rete”, riprende, “è la più straordinaria piattaforma finora esistita per le comunicazioni di massa, che però sono cosa diversissima dall’informazione. Comunicare significa dire, rivolgersi, proporre a una platea la più vasta possibile e nel tempo più breve. L’informazione è un momento medio tra l’accaduto e la fruizione dell’accaduto. C’è  un esempio, magari un po’ ridicolo, che però rende l’idea: i racconti che fluiscono da Internet sono l’equivalente dei fiocchi di neve mentre stanno cadendo. Sono sostanza della neve ma non ancora tale: perché lo diventino dovranno posarsi a terra, prendere una qualche forma. Così i dati desunti  da Internet: per diventare informazione dovranno essere vagliati, verificati, mediati, filtrati da un giornalista che dà loro forma e che, tra l’altro, se ne assume pure la responsabilità”.

Per le recenti rivolte nel nord Africa, e anche in Medio Oriente, la rete è stata determinante.

“Sì, come strumento con cui i vari gruppi di oppositori potevano tenersi in contatto e organizzarsi. Ma un rapporto di causa/effetto non c’è stato, così come non ci fu, giusto per intenderci, fra il libro e la rivoluzione francese, o fra il volantino e determinati fenomeni storico sociali, o fra il telefono e le riunioni dei militanti. Che la rivoluzione araba si sia fatta su internet è una frase che piace molto a noi giornalisti perché fa titolo. Determinanti sono stati, in realtà, altri elementi, come il fattore demografico e la redistribuzione del reddito”.

Comunque sia Internet è uno spartiacque, segna il terzo millennio, niente sembra più come prima.

“Certamente è il meccanismo più efficiente, veloce, brillante finora inventato dall’essere umano per esprimersi, conoscersi, relazionarsi in tempi rapidi,Laura Silvia Battaglia assieme ad un colonnello dell'esercito afghano di recente formazione (foto di Valentina Bosio Reynard © tutti i diritti riservati) avere idea del mondo e in questo modo capire meglio casa propria. C’è anche chi definisce Internet ‘democratica’, ma questo mi lascia piuttosto perplesso; non esiste una tecnologia democratica e un’altra conservatrice o reazionaria. Piuttosto, mi pare che la rete rappresenta oggi la possibilità, soltanto teorica e perciò enormemente affascinante, che la gente smetta di essere “gente” e possa diventare ceto dirigente. Ovvio che, come per qualsiasi strumento, funzioni e prestazioni siano legate alla qualità di chi lo utilizza, alle intenzioni, al contesto”.

Qualche caratteristica dell’internet italiana?                                                                      

“La nostra è una società fortemente corporativizzata e per gran parte pettegola, populista, composta di banchise l’una contro l’altra, di cittadini che al governo e allo Stato riconoscono la sola legittimità di distribuire soldi sul territorio e per tutto il resto neppure a parlarne. Inevitabile che un tale contesto si rifletta su Internet. E nonostante ciò le potenzialità della rete sono nel nostro paese enormi, specialmente sotto il profilo politico perché l’assenza, il decadimento, l’improponibilità dell’informazione televisiva è un dato di fatto.

C’è poi un pericolo anche maggiore: che la rete aggravi la già diffusa difficoltà di formulare un concetto astratto, problema che da noi riguarda l’intero percorso della formazione scolastica, dalle elementari alla laurea”.

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