Saverio Bafaro

di Concetta Di Lunardo

Saverio Bafaro nasce a Cosenza il 24 novembre 1982. Sente precocemente l’ispirazione poetica in quei luoghi strategici della Sila, l’altissima montagna, dove la forza della natura si fa imponente, «in quei posti dove si respira l’odore di pini secolari che si attacca sulla pelle e tarda a svanire. I miei occhi, sin da bambino, si sono riempiti di quella meraviglia che lascia tracce, di quegli scenari che col tempo riaffiorano e acquistano risonanza».

Nel 2002 il Premio letterario “Città di Scalea” pubblica la sua prima silloge di poesie che ha per titolo Labirintitudine (Il Coscile, Castrovillari). Dopo il liceo si trasferisce a Roma e si laurea in Psicologia. Nella Capitale pubblica una selezione di testi inserita in un’opera collettiva: Lunario di poesia 2006; nel 2007 Poesie alla madre, una raccolta di liriche ispirate alla figura materna. Quest’anno è uscito un suo testo poetico in formato e-book dal titolo Eros corale.

Quali tematiche prediligi per i tuoi componimenti?

I miei versi contengono tematiche di varia natura: filosofica, psicologica, sociologica. Cerco di trovare per queste tematiche un abito testuale esteriormente semplice affinché il messaggio possa essere leggero e largamente fruibile. È incredibilmente difficile che una riflessione di qualche tipo si sposi misteriosamente con una forma testuale diretta e sintetica, con un corpo estetico che riesce a dire più di quanto non fanno interi libri. Riflessioni dirette a “colpire” principalmente il cuore, oltre che l’intelletto, in fondo l’emozione che a me interessa veicolare attraverso i miei scritti è universale e voglio che investa tutti i lettori, senza alcuna distinzione di percorso.

Quando hai iniziato a scrivere e con quali influenze?

Se dovessi distinguere tra vita e poesia avrei grosse difficoltà, tutti i miei ricordi e vissuti testimoniano che queste due parole sono fuse insieme e imprescindibili. Ho iniziato a scrivere alla fine della scuola media, affascinato da Giacomo Leopardi, amavo la filosofia rinchiusa nei suoi versi anche se lui odiava essere filosofo, voleva essere un poeta puro come gli antichi. Poi al liceo Arthur Rimbaud, altro personaggio che ha esercitato una grossa influenza, le sue opere mi hanno subito distolto dall’idea che la poesia possa riguardare una “stanza chiusa”, la poesia esprime, invece, un’esistenza estrema, una sopravvivenza, una lotta sotto un cielo stellato e crudele, il cielo che era della mia stessa adolescenza. Non ero ancora maggiorenne che ero sommerso da migliaia di componimenti e alla ricerca di significati.

Quando hai iniziato a produrre esiti la tua personale sfida con la poesia?

Il frutto del mio appassionato lavoro di ricerca è consistito nel distinguere “la mia voce da un mare di molte altre voci”. Di quella voce me ne sono impossessato grazie a un esercizio continuo mosso da un bisogno molto forte. A quel punto mi è capitata tra le mani la letteratura giapponese e mi sono reso conto dell’universalità di certi percorsi della mente, il prodigio di riuscire a racchiudere intere cadenze di stagioni, interi mondi in pochissime espressioni verbali comunicabili e limpide, in quanto sprigionano l’energia di rivivere come pure immagini.

Qual è il significato segreto che attribuisci alla scrittura?

La poesia è stata ed è una compagna fedele, da adolescente mi ha salvato la vita, ha fatto in modo che vincessi la solitudine regalandomi forza e coraggio. Ho sempre vissuto la poesia come un’investitura, come un impegno e un dono che mi è stato dato e che devo restituire. Amo sintetizzare dicendo che “io scrivo per gli altri!”, il mio è un veicolo pensato e costruito per suscitare emozioni e pensieri in coloro che leggono. I componimenti che reputo migliori, non a caso, sono quelli che hanno quell’immediatezza e concretezza che rende il messaggio condivisibile e che, sotto la superficie, danno spazio ad una ricostruzione ancora più profonda.

Nelle tue poesie è presente sempre un riferimento all’eros e alla corporalità?

Se per ‘eros’ intendiamo la caratteristica di base dell’uomo di avere i piedi nudi ben piantati a contatto della terra, allora sì… ogni mia poesia è per definizione “erotica”. A tale proposito due libri monografici hanno indagato questo tema: “Poesie alla madre” del 2007 (cartaceo, edito da Rubbettino) e il recentissimo “Eros corale” (e-book scaricabile gratuitamente da www.larecherche.it). Il primo è un libro molto compatto in cui studio, come punto di partenza, il corpo di mia madre. Come fanno i pittori che disegnano dal vero, mi sono proposto di dimostrare come la poesia abbia più chance rispetto alla prosa nel condurre uno studio naturalistico su un certo oggetto. In questo caso l’oggetto è la madre, un tema sul quale ha regnato troppe volte la banalità e il pietismo, dal canto mio spero di aver dato nuova linfa ad un termine che sprigiona resistenze già solo a pronunciarlo e di aver portato il discorso oltre il particolarismo da cui prendeva le mosse.

“Eros corale” è un libro più eterogeneo?

Si, una sorta di full immersion nello studio di molti corpi, una ricostruzione del percorso evoluzionistico che ci ha proiettati su di una piattaforma culturale in cui “godiamo” la gioia di essere umani, in questo senso è una poesia della gioia, un canto dell’amore universale che possiamo rivivere appieno e realmente ognuno di noi sulla nostra pelle, congiungendoci così misteriosamente al Tutto. Ho voluto consegnare dignità ai corpi, corpi pensanti e non oggettistica, corpi pienamente sapienti in ogni minima meccanica. Il primo è un libro “religioso”, questo secondo è “iniziatico”.

È una metafisica del corpo alla Foucoult o altro?

Apprezzo molto Foucault, il tratto distintivo che più ci accomuna è lo sforzo di superare il dualismo mente-corpo. Una dimostrazione egregia della realtà metafisica del corpo. Leggendolo, ho notato sorprendenti sovrapposizioni, specie quando sostengo che il corpo è punto di incontro tra un “dentro” e un “fuori”. La nudità, per esempio, consegna all’uomo la possibilità di liberarsi dalle restrizioni e svelare rapporti tra le cose che altrimenti resterebbero del tutto celati.

Progetti in cantiere?

Sto raccogliendo delle nuove poesie che hanno come leitmotiv il “terrore”, magari cercherò la collaborazione di altri artisti per farne un’operazione anche figurativa. Vorrei impegnarmi nel dimostrare quanto siano grandi le potenzialità della lirica e come sia possibile declinarle nei modi più disparati, esplorando terreni ancora poco battuti. Per far ciò la figura del poeta isolato è quanto si deve in assoluto più scongiurare e considerare anacronistico, verso il poeta si deve scatenare una sorta di “responsabilità sociale”, sostenere il suo pensiero e la sua opera è un dovere, soprattutto oggi che assistiamo ad un preoccupante depauperamento di spessore e contenuto delle politiche culturali.

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