di Claudio Consoli
EP #3
(lo spirito è essenzialmente ramingo, creato per essere libero e poi rinchiuso in un involucro materiale, anela a ricongiungersi al tutto da cui proviene. I limiti sono catene; i confini esistono solo sulle carte geografiche)
1. “Cantelowes”. 2008, album “The Mandé Variations” di Toumani Diabatè, dove è facile lasciarsi amMALIare dalla calda, malinconica ed evocativa bellezza dei suoni della musica africana.
2. “Ceremony”. 2003, album “Sacred Dreams” di Scott August, dove solcando l’oceano Atlantico, ci troviamo a volare leggeri sopra canyon infiniti, sulle ali di una grande aquila con sottofondo di flauti, cimbali e tamburi
3. “Hawai’i ’78”. 1993, album “Facing Future” di Israel Kamakawiwo’ole, dove navigando per un’altro oceano, ci si imbatte nella voce dolce e nei messaggi forti di un grande, anzi enorme musicista.
4. “Yumi Hama”. 2004, dall’album “Best Of Kodo” dei Kodo, dove proseguendo di isola in isola si giunge in un arcipelago popolato da piccoli, battaglieri e bizzarri orientali, che picchiano sui loro grandi tamburi con marziale maestria.
5. “Suvetar”. 2000, dall’album “Sjofn” dei Gjallarhorn, dove tornati ormai nella nostra Europa, scopriamo che un gruppo di talentuosi finnici, che spesso cantano in svedese, sono riusciti a realizzare una meravigliosa amalgama di folklore musicale europeo e mondiale.
Se volete seguite il link e visitate il nostro canale youtube https://www.youtube.com/playlist?list=PL06D069EAB71C8E9C
Curiosità sulla playlist:
Toumani Diabatè è un artista del Mali, proveniente da una famiglia di musicisti e “cantastorie” nel gruppo etnico/culturale cui appartiene, i Mandinka, questi importanti e stimati individui, chiamati djeli sono i veri e propri depositari della tradizione delle loro genti e della sua preservazione; la Kora, sorta di arpa di ingegnosa costruzione ma fatta di materiali naturali, ne è il tipico strumento.
Il flauto tipico dei nativi americani possiede generalmente solo sei fori; a differenza del nostro flauto dolce che con i suoi otto fori copre un’intera ottava, per produrre un’ampia varietà di suoni sul flauto usato dagli Anasazi e altre tribù, bisogna variare e modulare con maestria l’intensità del soffio.
Israel Kamakawiwo’ole, uno degli ultimi puri Hawaiani, è soprattutto noto per il medley di “Somewhere over the rainbow/What a wonderful world” presente nello stesso album del brano proposto in playlist, ma la scelta è caduta su questa traccia perché più rappresentativa della tradizione musicale hawaiana, con parti cantate nella lingua locale, inoltre sottolinea anche come Iz, nickname dell’artista, si sia anche battuto per l’indipendenza delle Hawaii dagli U.S.A.
In Giapponese la parola Kodo può essere interpretata anche come battito del cuore, primigenia fonte di ritmo per ogni essere umano.
I Gjallarhorn, utilizzano numerosi strumenti tradizionali delle più diverse e distanti culture, spaziando dal Hardingfele (variante norvegese del violino o fiddle, può avere 8,9 o più corde di cui solo alcune si suonano mentre le altre semplicemente risuonano) ai tamburi surdo tipici della samba brasiliana, da djembe e bongos africani a didgeridoo australiani ed utilizzando spesso anche lo scacciapensieri o marranzano noto nel sud della nostra penisola ma anche in molti altri paesi europei e mediterranei.
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