Dialogando con Roberto Ceci: giallista emergente che cresce inesorabile a colpi di umiltà

di Francesco Bordi

 

Francesco Bordi: Roberto Ceci. Classe ’86, scrittore, romano e già sposato! Benvenuto su Culturalismi!

 

Roberto Ceci: Grazie mille, è un piacere!

F.B.:Tu ti sei avvicinato spontaneamente a noi presentandoti con una mail molto garbata e priva di quell’arroganza che parecchi colleghi del settore mostrano. Ci hai colpiti subito per la maniera umile con cui ti ponevi che invece “contrastava” con la scorrevolissima ed assai piacevole scrittura di valore che hai saputo dimostrare nei tuoi lavori. Le due cose contrastano effettivamente fra loro, oppure sono naturalmente connesse, a tuo avviso?

R.C.: Per quel che mi riguarda le due cose sono connesse, credo in realtà che la scrittura rappresenti proprio la parte di me più estroversa. Sono sempre stato un tipo particolarmente timido, specialmente all’inizio. Per potermi aprire devo conoscere bene una persona e scrivere mi aiuta anche a combattere questa timidezza. Per quanto riguarda l’umiltà credo sia indispensabile in ogni lavoro, ti permette di guardare le cose con la giusta prospettiva, se ti poni su un piedistallo perdi il contatto con la realtà e questo non è mai un bene.

F.B. : Al tuo attivo hai un giallo molto vicino alla cosiddetta “scuola americana”, ossia Manhattan Noir, ed un romanzo di natura più intimista dai risvolti sociali. Indocumentados. A questo si sta aggiungendo un terzo romanzo in fase di completamento. Accanto a questi lavori una piccola serie di racconti ispirati dai medesimi filoni ed orgogliosamente pubblicati in esclusiva su Culturalismi.com. La riflessione conseguente alla lettura di questi scritti riguarda proprio la tua stretta aderenza alle tematiche del sociale e del gusto per il colpo di scena per le strade del crimine. Sembra quasi che i tuoi racconti e le tue storie nascano da una mal celata volontà di far danzare insieme queste due muse. Ora dai più voce ad una, ora all’altra per poi riuscire in alcuni casi, come per alcuni racconti brevi, a fare incontrare queste due anime nel medesimo spazio. La risultante è comunque convincente. Ti ritrovi in questa analisi oppure si tratta dell’ennesima crociata di noi infami critici di settore?

R.C.: È sicuramente un’analisi pertinente, se mi fermo a pensare ai lavori scritti fino ad oggi effettivamente il sociale, il crimine o il colpo di scena come dici tu, sono elementi predominanti. Il processo che mi porta a scriverne e a farne i protagonisti delle mie storie non in realtà così voluto…mi spiego meglio, questi aspetti della mia scrittura sono in me, non li cerco a tutti i costi, è quello di cui voglio parlare. Inoltre oggi è molto difficile dividere la vita che ci circonda, il sociale, la politica, la situazione del nostro o di altri paesi, da quello che si esprime con l’arte, qualsiasi tipo di arte. Magari domani scriverò un racconto fantastico oppure un romanzo più leggero quasi comico, non lo so cerco di non mettermi mai delle regole prima di iniziare a scrivere qualcosa.

F.B.: Manhattan noir è il tuo primo lavoro ed in quanto tale risente del non completo raggiungimento di quella maturità stilistica e narrativa che arriverà invece con grande personalità con il tuo secondo lavoro. I lavori non sono molto distanti fra loro, a livello di date. Cosa è successo tra le vicende dell’ispettore Jules Lequeux in quel di Manhattan e le tribolazioni del povero Francesco Fante diviso fra una vita da ricostruire e l’improvvisa e quasi doverosamente morale attenzione da dare agli Indocumentados messicani?

 

R.C.: In realtà sono le date di pubblicazione a non essere distanti tra loro, ma sono stati scritti con qualche anno di distanza. Manhattan Noir ho iniziato a scriverlo quando non avevo ancora diciassette anni ed è stato terminato quando ne avevo appena diciotto. Poi per alcuni mesi non ho scritto nulla, ma già avevo in mente di scrivere qualcosa sugli emigranti messicani, ho iniziato il lavoro di Indocumentados facendo delle ricerche e poi successivamente ho iniziato a scriverlo, avevo ventuno anni. Nel frattempo sono accadute alcune cose nella mia vita che mi hanno dato dei nuovi punti di vista, sono maturato anche come persona e la mia scrittura ne ha sicuramente risentito. In più leggere molto, scrittori più importanti e conosciuti di me, mi ha aiutato a crescere, si deve sempre leggere perché ci sono veramente molti libri validi e ogni lettura può aiutarti a migliorare la propria scrittura. Per me è una fase fondamentale.

 

F.B.: Le tue narrazioni sembrano non poter prescindere dagli Stati Uniti d’America. Ci potresti accennarne la ragione? I Culturalisti on-line si stanno incuriosendo…

R.C.: Ovviamente non posso che esprimere il mio grande amore per questo paese che, se pur con mille contraddizioni, è immenso. Sono stato due volte negli Stati Uniti e credo siano perfetti come ambientazione per le mie storie, quasi come fossero una custodia perfetta per un oggetto di valore, ecco le mie storie si adattano perfettamente a quel tipo città, New York su tutte. Pensa ad esempio ai primi film di Woody Allen se fossero stati girati altrove, non avrebbero avuto lo stesso impatto, la città diventa un personaggio. Adesso ad esempio sto cambiando, nel terzo romanzo ci saranno molte città, alcune americane, ma ci saranno anche Parigi e Madrid, in questo momenti sto ambientando un altro romanzo in Irlanda. Dipende tutto dalla storia.

F.B.:Un’altra costante dei tuoi lavori risiede nella scelta di un protagonista che sta vivendo un brutto periodo sentimentale con la compagna. Il punto preso in esame è quasi sempre di non ritorno. Da dove esce fuori questa masochistica scintilla narrativa, se è possibile venirne a conoscenza. Non credo dall’esperienza, dal momento che ho avuto l’opportunità di conoscere personalmente te e tua moglie rilevando a mio modesto avviso la bontà della coppia.

R.C.: No, effettivamente non dalla mia esperienza. In realtà non so bene da dove esca, sicuramente se mi guardo intorno posso citare moltissimi esempi di amori finiti e di storie di non ritorno appunto, ma credo sia più il voler sottolineare l’aspetto più egoistico che poi è un po’ in tutti noi. Alcuni riescono a convivere con la stessa persona per tutta la vita e per altri invece l’egoismo è più forte e prende il sopravvento, io ho scritto di quest’ultimo solo perché i personaggi e le loro storie richiedevano quel tipo di situazione.

F.B.: Tornando “a bomba” sulla tua scrittura, vera ed unica ragione del nostro meeting odierno, i contenuti e le appendici documentaristiche del tuo secondo romanzo, quello dell’immigrazione clandestina negli U.S.A. da parte della popolazione messicana più indigente, tradisce una tua importante ricerca di documentazione in merito alla questione. Possiamo chiedere quale siano state le tue fonti?

R.C.: Ovviamente la maggior parte dei documenti li ho trovati in internet. Interviste, testimonianze degli stessi Messicani, articoli di quotidiani o di blog, servizi televisivi, statistiche. Si può trovare veramente di tutto, poi ho visto alcuni documentari e film che trattano l’argomento. Ho letto tutto, preso alcuni appunti e ho costruito intorno ai fatti una storia di mia invenzione.

F.B.: E per quanto concerne il genere del whodunnit (letteralmente: “chi è stato”? ) a chi ti sei ispirato per la realizzazione di questo thriller di tipo americano più votato quindi alla descrizioni cruente ed al colpo di scena, piuttosto che all’investigazione di chiara derivazione inglese?

R.C.: In quel periodo divoravo letteralmente i romanzi di James Ellroy e quelli di Michael Connelly, Manhattan Noir è il mio piccolo omaggio a loro e anche un po’ ad un genere che amo molto. Sicuramente un altro grande scrittore da cui ho preso ispirazione è Raymond Chandler con il suo Marlowe.

F.B.: Il tuo racconto breve “La confessione”, in esclusiva per Culturalismi.com, è davvero molto ben costruito e raggiunge nella sua stringatezza un equilibrio sintattico, stilistico e narrativo notevolmente elevato. Il colpo di scena e la rapidità della chiosa ricordano, per capacità evocative, alcuni fumetti d’autore o ancora le trasposizioni di alcuni romanzi in fumetto; il tutto passando (perché no?) attraverso pochi ma significativi esempi di casa Bonelli. Qual è, in tal senso il tuo rapporto con le nuvole parlanti? Ne hai scritti molti altri di racconti rapportabili alla “cinematografica” Confessione?

R.C.: Non lo so…in realtà non avevo mai rapportato i racconti con i fumetti, anche se credo sia possibile farlo. Non sono un grande amante del genere fumetto, mi piacciono molto i disegni di molti di essi ma non mi sono mai appassionato. Invece credo sia predominante il fattore cinematografico, per rendere un racconto incisivo lo penso spesso quasi come se fosse un cortometraggio. È la difficoltà di dire quello che si vuol esprimere in poche parole e riuscire ad essere chiari ed efficaci. Ultimamente ne sto scrivendo diversi, è molto divertente.

F.B: Come sai noi di Culturalismi stiamo proponendo le tue fatiche letterarie all’estero. In prima fila tra le aree d’interesse ci sono la Francia e gli stati del Sud-Amercia (questi ultimi strettamente legati alle tematiche espresse in Indocumetados). Senza fare torto a nessuno, dovendo sceglierne uno solamente, in quale stato del mondo tra quelli richiamati ora alla mente, ma anche tra quelli non citati, vorresti che le storie a firma “Roberto Ceci” trovassero la loro orgogliosa pubblicazione?

R.C.: Che ne pensi di una distribuzione mondiale??? Ovviamente scherzo…non lo so credo che in realtà ogni paese sia ricco di interesse per me, non vorrei veramente fare torto a nessuno, il solo pensiero di poter pubblicare all’estero sarebbe grande motivo di orgoglio. Se poi dovessi proprio scegliere probabilmente sceglierei la Francia, è un paese che amo profondamente, sono stato turista in terra francese per ben quattro volte…e poi non mi dispiacerebbe fare un salto anche negli Stati Uniti, ma questo penso che ormai si sia capito…

F.B.: A questo punto una domanda che mette a dura prova il tuo orgoglio di scrittore: quanto l’appoggio ed il supporto di tua moglie ti hanno aiutato ad andare avanti nel tuo sogno artistico che a tutt’oggi so che rimane come la tua unica occupazione?

R.C.:Fondamentale. È fondamentale. Non posso avere l’arroganza di dire che sia solo merito mio, l’appoggio di Maya è necessario perché io possa continuare a scrivere. Mi permette di farlo con tutta la tranquillità di cui uno scrittore ha bisogno. Come tutti ho momenti di grande amarezza e fragilità, certe volte dico frasi come “basta non scriverò più una sola riga” e penso che se non ci fosse lei a spronarmi e soprattutto a sopportarmi oggi avrei già smesso.

F.B.: Roberto, pensi che oggi sia possibile per un autore di medio-alto calibro “campare” esclusivamente con il suo lavoro di scrittore in Italia?

R.C.: In Italia credo sia veramente difficile, quello che posso dire per esperienza personale è che qui, purtroppo, non ti permettono di farti conoscere, tagliando così ogni possibilità sul nascere. Le case editrici che ti pubblicano ti fanno comprare delle copie per coprire i costi di stampa e non riescono in alcun modo a darti la giusta visibilità. Per ora devo continuare con il mio doppio ruolo di impiegato-scrittore. Penso che all’estero ci sia una maggiore possibilità.

F.B.: La domanda che facciamo spesso in chiusura delle nostre interviste riguarda i consigli che un autore si sente di poter dare a coloro che desiderino intraprendere questo tortuoso percorso nel mondo di quelli che preferiscono muovere la penna (o i tasti del PC) piuttosto che la bocca. Tu non sarai l’eccezione… Dicci Roberto….

 

R.C.: Perseverare e restare sempre umili con tutti. È la cosa più importante, non abbattersi mai delle porte che ti sbattono in faccia. Questo lo dico soprattutto per quelli che, come me, scrivono anche per se stessi. Per me infatti scrivere è una sorta di auto-psicanalisi e non potrei mai staccarmene anche se non riuscissi ad avere un certo tipo di riscontro con il pubblico, l’importante è continuare a scrivere e leggere, leggere moltissimo per poter imparare dai migliori.

 

F.B.: Bene. Mi stavi dicendo a “rete spenta” che stai ultimando il tuo terzo romanzo. È possibile averne un accenno ?

R.C.: Certamente. Il prossimo romanzo narrerà la storia di un uomo che al fine di ripercorrere le vie tracciate dal figlio intraprenderà un lungo viaggio per purificare la sua anima corrotta. Un viaggio di riscoperta e di ricerca, una tortuosa ricerca che lo porterà a conoscere il suo vero io e che gli farà scoprire cose di suo figlio che diversamente non avrebbe mai saputo. È una specie di libro on the road.

F.B.: Era Roberto Ceci su Culturalismi.com. Grazie Roberto e… una buona giornata!!!

R.C.: Grazie a te e a tutta la redazione. Buona giornata e buon lavoro!

 

Per maggiori info sulla scrittura di Roberto Ceci:

https://www.culturalismi.com/culturalismi/letterature-italiane/tra-la-paura-di-morire-il-coraggio-di-soprav-vivere-e-la-fiducia-nel-cambiamento-indocumentados.html

https://www.culturalismi.com/culturalismi/eventi-letterari/roberto-ceci-ed-i-suoi-indocumentados-la-paradossale-documentazione-delle-storie-altre.html

Per maggiori info sui racconti brevi di Roberto Ceci, in esclusiva per Culturalismi.com:

https://www.culturalismi.com/culturalismi/nuove-abitudini/la-confessione.html

https://www.culturalismi.com/culturalismi/nuove-abitudini/sento-che-sta-per-succedermi-qualcosa.html

https://www.culturalismi.com/culturalismi/nuove-abitudini/un-giorno-qualunque.html

https://www.culturalismi.com/culturalismi/nuove-abitudini/un-mondo-migliore.html

Per chi del settore si volesse interessare alle prossime pubblicazioni di Roberto Ceci, è possibile scrivere una mail a francesco.bordi@culturalismi.com

 

 

 

 

 

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