Scacco matto alla morte! Ossia l’aggraziata finestra di Giovanni Arpino sul libero arbitrio

di Sonia Cosco

(immagine da www.lafeltrinelli.it)Il filosofo Epicuro diceva che quando c’è la morte non ci siamo noi, quando ci siamo noi non c’è la morte e che quindi, ogni paura in proposito è vana. Anche i due matematici protagonisti del romanzo di Arpino, tra una partita a scacchi e un’altra, usano la logica per esorcizzare la vita e la morte, ma solo lo spirito irrequieto e libero di Ginetta, saprà dare scacco matto alla signora con la falce (e come non ricordare l’imponenza metafisica e ironica della Morte che gioca a scacchi, sulla spiaggia, nel celebre film del regista svedese Bergman?). La ragazza non si perde nell’ “eterna astrazione” dell’amico-amante Meroni, né nell’ inerzia delle due zie melomani. Il professore Bertola vuole lasciare, come eredità spirituale al discepolo Meroni, l’unica formula che nessuna razionalità può insegnare: quella del coraggio. Il vecchio sta male, cerca la fine; al suo giovane amico il compito di anticipare i tempi. Ma l’esempio degli antichi che salvavano la dignità dei compagni, dando loro la morte, è lontana. Meroni non riesce, prigioniero di una visione bidimensionale (o troppo profonda?) dell’esistenza; vorrebbe lasciare quel “guscio vuoto di Giovanni Bertola” al suo lento deteriorarsi, non sa farsi degno di gesti nobili e rischiosi.

Chi può agire in grande, senza averne la consapevolezza, è un animo semplice e schietto. Ginetta si assumerà la tragica responsabilità dei desideri dell’anziano professore. Arpino è a lei che guarda con più simpatia, con più devozione. È lei la figura in cui s’ incarna l’onesto rifiuto per ogni genere di ipocrisie e di viltà. Lungo una scrittura lirica e quotidiana, la policromia dello stile di Arpino, spazia nelle sfumature delle cose e tira fuori, dal fondo della sua creatività, temi scottanti: morte, eutanasia, libero arbitrio. Arpino lo fa con una grazia tale, che ogni azione e pensiero dei personaggi, anche il più vicino alla riprovazione, si eleva a paradigma dell’universalità dei nostri limiti e si riempie di empatia, pietà, intensità.

Arpino, Giovanni, Passo d’addio, Torino, Einaudi, 2005.

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