di Francesco Bordi
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Vivere nella città eterna era davvero diverso.
Non capivo se mi piaceva. Ero abituata al Campese dove ero una “sirenetta contadina”. Se i turisti domandavano dell’isola, fin da piccola rispondevo che il Giglio era diviso in tre aree: il Porto, il Castello ed il Campese. Tutti i Gigliesi nati e cresciuti (fin quando pazienza consentiva) sull’isola lo sapevano a memoria, come l’indirizzo di casa. Dov’era ora il mio mare, dov’erano la Gaia e l’Ale? Dove le mani affettuose di Jacopo che fino ai 17 anni mi aveva dolcemente riempito le giornate? Fino alle elementari la vita era stata conchiglie, libricini da colorare e tante chiacchiere. A 10 anni il primo trauma: il trasferimento dal Campese al Porto, un quarto d’ora in corriera. Poi le medie ad Orbetello ed il liceo a Grosseto. In quegli anni il traghetto era il mio migliore amico. Durante 45 minuti di navigazione ci confidavamo segreti, tristezze e anche dell’altro. Nell’ultima traversata per venire a Roma ho fatto “la vandala” come diceva nonna. Con il temperino ho inciso sul parapetto dell’Aegilium: «tu mi mancherai», dove «tu» non era la mia isola ma proprio il tuuuu della sirena del traghetto. Io ero quei viaggi: Marina. Erano il più bel momento della giornata. Ora però ammetto che i viaggi in metro… Dall’Isola del Giglio ad Orbetello è tutto lineare: da A a B, senza variazioni. La metropolitana di Roma invece è un ecosistema con migliaia di persone. Le ho volute dividere in 5 categorie: i seriosi, dediti ad arrivare presto in ufficio per andarsene prima. Poi i saltimbanchi, categoria composta da gente che si arrangia, sorride, si rabbuia e domanda qualche soldo. Seguono gli studenti degli appunti, dei libri di testo e dalle costanti ricerche nei portafogli di conferme che hanno nome (5 €) e cognome (tesserino mensa). Quindi i pendolari dai costosi abbonamenti: da 51 a 93 € se ho spiato bene. L’ultima classe è esigua, i curiosi. Leggono mentre buttano un occhio su quello che fa il vicino, mentre guardano verso i finestroni nei tratti all’aperto, mentre pensano a quando riusciranno a svoltare la propria esistenza. Sono già 2 anni che sono all’uni. Da brava curiosa so che andrò fuori corso perché è la vita di qua ad incuriosirmi. Voglio studiare leggere uscire conoscere amare essere amata voglio scoprire la città e voglio essere scoperta da lei. Poi improvvisamente l’incisione sul parapetto. Chissà come è freddo il Porto in questa stagione. Ruggero avrà anche tolto i tavoli da fuori e avrà messo un po’ di carne nel menù oltre al caciucco e la pasta ai ricci di mare.
Vivere senza di lei sta diventando davvero impossibile.
La vedo scendere sempre a Ottaviano, la stazione più incasinata. Di solito legge o ascolta un vecchio walkman. A dicembre l’ho vista premere un tasto e girare la cassetta! Non lo vedevo fare dall’‘88. Anche questo è il suo bello. Certo è particolare. Guarda tutto e guarda nulla. Si concentra nelle sue attività con accattivante aria da svampita. Mah! Forse solo io la vedo così. Benigni dice che quando ci innamoriamo siamo solo noi a cambiare. Il resto del mondo continua a vedere tutto come prima, ma ai nostri occhi qualcosa è cambiato e la conseguenza è che a me piace una mentecatta con sprazzi di lucidità. Ma io che scrivo tante minchiate su un diario invece di studiare per quel dannato esame sono forse meglio? Ho pure rifiutato un onesto 24! Che cazzata. Forse era meglio quando lavoravo in pizzeria sulla Tuscolana oppure a Verona quando vendevo biglietti delle lotterie invece di questa logorante frustrazione rotta solo dalla presenza dell’adorabile sconosciuta. Quanto m’intriga. Ma poi perché scende ad Ottaviano? Non ci sono università in zona eppure sono certo che… infatti. Martedì 25 stava studiando un manuale di fonetica-qualcosa. Devo scoprirlo. Pure il suo segnalibro mi fa impazzire: la foto di un porto. Lo usa per testi, per romanzi, per grattarsi la testa, anche come diversivo. Ci gioca, lo guarda e riguarda, sorride, ride! Tempo fa mi è sembrato che ci stampasse sopra un bacio. Spero che non abbia il ragazzo. Più la osservo più mi piace. Lei non mi ha notato, ne sono certo. È presa da se stessa e questo è male, d’altronde lei è da scoprire: ha fascino, si muove e si guarda intorno trasudando una culturale voglia di scoprire la gente e questo è bene. Se non la vedo per qualche giorno, affondo. Da questo, diario mio, (devo smetterla di parlarti così!) ho capito di essere innamorato di lei. Quando non la vedo io sto male. Me lo ripeto venti volte al giorno. Dai Fabio, dille qualcosa. Scendi alla sua fermata una volta. Prova! Niente da fare. Codardo! E pensare che hai mandato il prof delle superiori in posti che era meglio non suggerire. Allora eri più coraggioso. Su, dai una svolta al tuo destino! Quante cretinate… Ecco mi succede di nuovo. Mi tremano le mani dal nervoso. Le lettere che scrivo stanno diventando incomprensibili. Quasi non riesco a tenere in mano la penn…
– Marina: «Scusa. Ti è caduta la penna. Tieni». – Fabio: «Ah. Grazie!». – Marina: «Ma tu stavi scrivendo… Cos’è? Un libro?». – Fabio: «No. Solo un diario. Hai presente quella moda anni ’80 di scrivere diari? Beh.. lo faccio anch’io, ora. Scusa ma tu prendi spesso la metro a quest’ora?».
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