La stilistica sfuggevolezza di Palafox: quando il lettore accetta la giocosa sfida di Chevillard

di Francesco Bordi

Cosa succederebbe, cari lettori se degli animali vi sfidassero?

Cosa accadrebbe se un animale in particolare, Palafox, ad esempio, monopolizzasse la vita dei personaggi presenti nell’omonimo testo e contemporaneamente la vostra attenzione?

“Ma cos’è Palafox, che animale è“, direte voi… Bene, è proprio questa la sfida.

Palafox è l’ultimo nato in casa dei Ragazzacci di Prehistorica Editore ed il suo papà è «l’inclassificabile» Éric Chevillard, così definito dai connazionali francesi proprio per la sua capacità di non essere ingabbiato nelle consuete e riconosciute definizioni letterarie della narrativa. Questa etichetta, o tag per gli anglofoni, si utilizza spesso per molti autori che riescono a produrre lavori così ricchi di originalità da mettere in crisi le definizioni classiche dei loro romanzi, come ad esempio: scritto d’introspezione, romanzo di formazione, titolo intimista, racconto fantastico e proseguendo così su questa linea. Tuttavia, nel caso dell’effervescente sessantenne di La Roche-sur-Yon, la descrizione di “ingabbiabilità” è forse davvero azzeccata.

Rimanendo su questo orientamento stilistico, Palafox è probabilmente il romanzo più rappresentativo della tematica chevillardiana. Il nome inconsueto si riferisce ad un animale che ha fatto la sua apparizione nel mondo semplicemente rompendo, dall’interno, il guscio di un uovo che era sul punto di essere consumato durante l’ora del pasto in una tavolata di gentiluomini e gentildonne. Questo inizio dovrebbe fornire dell’animale in questione l’immagine di un pulcino, giusto? E invece no! Palafox in tutte le pagine del testo non regala, mai, a noi lettori alcuna certezza. A volte è minuscolo, a volte è mastodontico. Ha tinte rossicce, ma anche tendenti al blustro. Appartiene al mondo degli uccelli, ma anche a quello dei rettili e ancora alle speci anfibie ma con fattezze degli animali domestici.

Ora è contemporaneo a tutti gli altri personaggi che lo circondano, zoologici, curiosi ed appartenenti ad una certa nobilità, poco dopo però leggiamo che potrebbe portare su di sè secoli di storia.

Ha la coda? Certe volte sì.

Ha il becco? Molto spesso.

Sa volare? Certamente.

In alcune sequenze ha persino le mani e più di due!

Appare evidente che nei testi di Chevillard tutto è il contrario di tutto e, alla medesima maniera, ogni racconto, ogni narrazione e tutte le varie digressioni, estremamente frequenti nel romanzo, hanno la facoltà di godere di più possibili letture. E allora? Per quale motivo dovremmo mai leggere un libro così astruso?

Perchè siamo stati sfidati, colleghi lettori.

Chevillard ci sfida, il suo stile ci sfida, il  suo Palafox ci sfida, pressoché dichiaratamente.

Cos’è dunque questo animale composito? Cosa rappresenta lui e cosa rappresentano, davvero, gli specialisti del mondo animale che lo studiano e che lo rinchiudono prima in una gabbia di giunco, poi in una boccia di vetro per relegarlo quindi sul ramo di un albero?

Perchè da principio lo vogliono educare, poi lo vogliono portare ad una mostra per poterlo presentare al grande pubblico e in seguito, a causa delle brutte figure che l’indomabile e sfuggente animale procura, vogliono addirittura eliminarlo?

Palafox rappresenta l’arte e, più esattamente, la letteratura che sfugge a qualunque catalogazione. I critici letterari / zoologi provano a dargli un’etichetta che lo costringa quindi a delle regole comportamentali: è un serpente, è una tigre, è un uccello, è un cane, è un’insetto… Ma lui sfugge, si dimena, scappa, viene catturato e non gode mai dell’unanime approvazione.

Come l’autore, che vuole seguire unicamente la sua indole senza scendere a patti, così l’animale rifiuta qualunque addestramento o anche il semplice adescamento da parte dei quattro pedanti studiosi che lo seguono, Zeiger, Cambrelin, Pierpont e Baruglio. Solo la signorina Maureen sembra godere, a tratti, della fiducia di Palafox. Una figura femminile aggraziata e sensibile che nell’ottica delle moltissime metafore ed allegorie di cui l’autore si serve, potrebbe indentificarsi con il pubblico dei lettori o con l’ispirazione che esso può veicolare tramite l’osservazione del mondo. Peccato che anche Maurren tradirà la buona fede di Palafox, proprio come il pubblico o l’ispirazione male interpretata possono tradire l’animo sensibile di chi vuole raccontare se stesso e la propria visione delle cose. In misura minore, il meticoloso ambasciatore inglese Agernon Buffon ha un ascendente simile sulla discussa creatura, ma si tratta di un rapporto dettato non dalla fiducia, ma dalle costrizioni. Il diplomatico infatti vorrebbe piegarlo a regole poco flessibili e studiate esibizioni, fino a renderlo quasi un fenomeno da baraccone. Ancora una volta il richiamo all’ambito letterario e, più precisamente, ad una certa tipologia di editori che sviliscono e snaturano i propri autori a vantaggio della grande diffusione non appare così peregrino al lettore più sensibile

In tal senso, questo è uno dei pochi testi in cui davvero sussiste un’interazione con il pubblico dei lettori. Quella vecchia volpe di Chevillard (per non dire quel vecchio Palafox, rimanendo sul tema ludico che domina l’opera) gioca con nomi, assonanze ed onomatopee, gioca con le espressioni idiomatiche, gioca con i ricercatissimi sostantivi del mondo animale e dell’ambito della mondanità più sofisticata, ma soprattutto gioca con noi che lo leggiamo. Ci sfida, ammicca, ci porta verso una direzione in una riga, ma due righe sotto ce ne indica una totalmente differente che non è nemmeno sul medesimo piano logico.

Per scrivere un lavoro del genere ci vuole certamente dell’estro e bisogna saper padroneggiare molteplici stili, ma non solo. Il popolare autore d’Oltralpe utilizza pochi selezionatissimi strumenti del racconto fantastico, dei racconti dell’assurdo, della poetica del nonsense e delle novelle irriverenti che già dal medioevo, soprattutto quello francese, facevano significative apparizioni nelle letterature popolari e, successivamente, all’interno dei buoni salotti letterari. Gli utensili ravvisabili nella sua opera però non si fermano qui. Gli eccessi descritti a poposito di Palalafox, soprattutto nelle sue esasperazioni comportamentali, così come il modo ironico e parodistico con cui viene presentato, richiamano alla mente lo stile di Rabelais e precisamente il suo notissimo Gargantua e Pantagruel. Continuando nella ricerca delle possibili ispirazioni poi, Chevillard nel suo romanzo cita degli estratti dalle opere di un certo Balzac… divertendosi ad evidenziarli senza però nominare apertamente la fonte, come ci segnala l’abile traduttore ed editore Gianmaria Finardi nelle sue note.

L’occhio attento e indagatore dell’animo e delle debolezze umane, Honoré de Balzac, assieme alle caricature ed agli eccessi tipici di François Rabelais sono dunque tout-à-fait riscontrabili nel Palafox qui proposto. Tale notevole abbondanza di stili si poggia poi su un’impostazione allegorica di tipo medioevale nell’ambito, però, di una storia che non è assolutamente ambientata nel periodo dei secoli bui.

Alla luce di queste considerazioni allora potreste, giustamente, dire: “Trovata la chiave, allora non occorre affrontare una lettura così complessa. Ormai l’abbiamo scoperto l’assassino, per così dire”.

Ancora una volta questo non è possibile, perché Éric Chevillard è piuttosto noto anche come l’autore del «roman sur rien» e dunque del romanzo sul nulla. Pertanto quella proposta in questa sede è solo una delle letture possibili, ma nella tematica chevillardiana tutto può essere il contrario di tutto. Qui si è sposata la tesi della letteratura di nicchia sfuggente che non vuole essere ingabbiata da niente e da nessuno, segnali ed indizi in tal senso ce ne sono in gran numero, ma potrebbe anche essere che quel niente sia il vero protagonista: dunque una letteratura pura portata agli estremi attraverso digressioni, allegorie ed inganni stilistici.

In conclusione in questo sfuggente scrittore francese c’è chi vede un genio, c’è chi ritiene che i suoi siano solo dei meri esercizi di stile, ma c’è anche chi scopre un autore sensibile ed indomabile che, a modo suo, nel suo linguaggio, rifiuta qualunque compromesso.

Trovate dunque il Vostro Chevillard! Cercate di capire chi è il Vostro Palafox, ma non datevi assolutamente per vinti!

Solo quando si riesce a dare una propria connotazione a questo sfuggente animale di spessore si potrà comprendere il romanzo. In questo walzer narrativo tra il lettore e l’autore che (ci) chiama in causa risiede l’imprevedibile successo di Éric Chevillard

Se l’autore vi ha cercato e sfidato, pagina dopo pagina, voi allora accettate il duello. D’altronde se lui non vuole essere ingabbiato in una qualunque definizione di scrittore, non significa che noi dobbiamo essere considerati dei lettori qualunque. 

Giusto? E allora…

Bon courage, Allons mes amis!

 

“Palafox”, di Éric Chevillard,  Valeggio sul Mincio, Prehistorica Editore, 2024.

Foto di Francesco Bordi © tutti i diritti riservati 

 

 

 

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