di Francesco Bordi
“Non piangere”. Non sai ancora nemmeno per quanta gente dovrai piangere. Quegli affetti umiliati, quelli perduti per sempre, prima che a te, appartengono ad una fazione o all’altra. Tu invece, a quanto pare, verrai comunque dopo in ordine d’importanza.
“Non piangere” perché, per qualcuno, quel pianto potrebbe essere male interpretato, quindi sospetto e strumentalizzabile da una delle due parti.
“Non piangere” perché nella tragedia immane e negli orrori che hai visto, la vita ti ha mostrato, anche se solamente nel breve spazio dell’estate del ’36, che una felicità, una serenità ed un entusiasmo sono sempre e comunque possibili.
“Pas pleurer”, Non piangere, di Lydie Salvayre è il grido lucido e furiosamente disperato di una vita che ha visto altre esistenze lacerate e strappate, ma che ha anche toccato con mano le gioie di un ideale che si può materializzare.
Lo schema trae in inganno.
Il racconto di una nonna alla nipote, lo sfondo è quello di un grande conflitto vissuto in prima persona: la guerra civile spagnola scoppiata nel 1936 e conclusasi a ridosso dello scoppio della seconda guerra mondiale. La protagonista di quel racconto è una sopravvissuta a quello scontro intestino (e non solo) che si è rifugiata in Francia. Sono tutti elementi tipici delle narrazioni belliche, ma… in questo caso i racconti a cui siamo stati abituati da pellicole e pagine del genere non trovano molto riscontro.
Il titolo di Prehistorica Editore si presenta come “romanzo”, ma si legge come vita vera, dilaniata, non solo perché la scrittrice in questione è realmente figlia di rifugiati spagnoli che vive in Francia, ma anche in considerazione del mondo in cui la Salvayre ci vuole mettere a parte di quei fatti.
Non a caso nelle primissime pagine ci viene rivelata la presenza di personaggi realmente esistiti, per quanto romanzati. Sono soprattutto quei protagonisti a darci la dimensione di quanto male stava avanzando fra la gente negli anni del conflitto.
La lingua utilizzata è lo strumento che più di tutti ci trasmette la veridicità della narrazione. La protagonista, Montse, che racconta alla nipote il periodo più importante della sua vita, l’unico che effettivamente ricordi in tarda età, si serve del “fragnol”, un misto fra francese e spagnolo piuttosto divertente nei suoni che però regala con precisione la dimensione di tutte le sfumature emozionali che una ragazza di quindici anni poteva vivere sotto la guerra: «idioma misto e transpirenaico in cui è solita esprimersi; sofisticato e al tempo stesso enigmatico».
A tal proposito ritengo più che doveroso il mio CHAPEAU! alle traduttrici Lorenza Di Lella e Francesca Scala. Comprendere questo linguaggio composito e renderlo al meglio in un testo italiano non era assolutamente facile, senza contare le altre caratteristiche stilistiche dell’autrice che spesso e volentieri gestisce le regole della grammatica e gli inserimenti dei dialoghi in maniera totalmente personale fin quasi a dominarli. I miei migliori complimenti. La protagonista non avrebbe avuto tutto il suo fascino e tutta l’empatia del lettore senza il vostro lavoro che compare da subito e che diventa strepitoso nelle pagine corrispondenti al viaggio che le cambiò la vita.
L’estate in cui Montse decide di seguire il fratello José nella «grande città catalana» lasciandosi alle spalle il loro paesino di campagna in cui pochi latifondisti affamavano l’intera comunità, quella che appare di fronte ai suoi giovanissimi occhi alla fine del viaggio è una realtà impensabile. Grandi centri urbani fatti di comuni autogestite in cui tutto funzionava ed ogni persona aveva tutto il necessario per vivere ed anche di più, perchè tutto era di tutti e per tutti. In pratica si trattava di uno di quei pochissimi casi di comunismo applicato e funzionante, storicamente. Agli occhi di una quindicenne l’allegria ed il fermento, che in pratica fondavano quelle strutture, dovevano apparire come la dimensione ideale da ricercare e perseguire. Le brigate di soldati internazionali che si andavano sviluppando in quell’estate si configuravano come mezzo per promuovere quella concezione di vita che si opponeva ai totalitarismi ed ai fascismi di Franco e Mussolini. La giovanissima protagonista proveniente da un paese chiusissimo, dove esistevano solo due mezzi di locomozione, in cui non c’era né l’ufficio postale né un medico e che poteva vantare la presenza del telefono unicamente nel municipio, si trova improvvisamente in mezzo a varie lingue straniere, ad agi e confort alla portata di tutti (Acqua corrente! Frigorifero! Luce elettrica ovunque!) ed addirittura si trova a constatare il dato di fatto che
una donna può fumare una sigaretta senza essere una puttana!
L’estate che le rimarrà nel cuore sarà anche l’ultimo bel ricordo perché poi una gravidanza inaspettata frutto del primo amore vissuto con un volontario francese, in partenza per il fronte, di nome André, di cui non sapeva altro nemmeno il cognome, la spingerà a tornare al suo paese d’origine insieme al fratello (per tutta la famiglia quel giovane sarà sempre ricordato con nome miticizzato di André Malraux).
I conflitti in Spagna, intanto vanno aumentando. I sostenitori del generale Franco, deciso a diventare la nuova guida della Spagna, conquistano territori mentre le forze di sinistra troppo frammentate e disorganizzate non riescono ad imporsi. L’Italia mussoliniana fornisce aiuti e mezzi ai Franchisti, molto vicini ad alcuni latifondisti e soprattutto alla Chiesa. Gli aiuti internazionali per i Repubblicani spagnoli, invece, sono fatti per di più da brigate volontarie provenienti da varie nazioni europee, ma gli aiuti ufficiali scarseggiano o tardano ad arrivare, inclusi quelli della Russia. La successiva e profonda divisione fra le sinistre locali produrrà ferite quasi paritarie a quelle inflitte, con violenza, da parte dei totalitaristi spagnoli.
Non piangere affronta tutto questo violentissimo conflitto con un giovanissimo sguardo in prima persona che si poggia su parenti e concittadini divisi fra le varie appartenenze politiche: rossi, rossi-neri, filo-russi, franchisti, falangisti, fascisti:
«STAVANO TUTTI SUL CHI VIVE E COMINCIARONO A VEDERE IN CHIUNQUE UN POTENZIALE NEMICO. NESSUNO SI ARRISCHIAVA A SCENDERE IN STRADA SENZA ESSERSI PRIMA GUARDATO ATTORNO, TERRORIZZATO ALL’IDEA CHE UN TIRATORE APPOSTATO POTESSE SPARARE UN COLPO DI FUCILE».
La guerra civile spagnola è una ferita lacerante, mai guarita, che la Spagna intera porta con sè. Gli iberici non ne parlano mai e, anche in campo accademico, c’è un certo pudore nell’affrontare l’argomento.
Il romanzo, Premio Goncourt 2014, è frutto, infatti, di una donna francese a tutti gli effetti benché nata da rifugiati politici.
Anche Bernanos, lo scrittore religioso che si presenta in maniera assoluta come co-protagonista di Non piangere, si risolve ad espatriare prima in Francia e successivamente in Paraguay. Lydie Salvayre infatti alterna i suoi resoconti da adolescente di Montse nel suo paesino sperduto con le dichiarazioni ufficiali che Georges Bernanos nella sua Palma de Maiorca utilizza come armi di difesa contro il Franchismo da cui inizialmente era stato attratto. La spietata repressione antirepubblicana di cui è testimone determina drasticamente il cambiamento della sua posizione. Gli attacchi contro la Chiesa spagnola complice della violenza e delle umiliazioni perpetrate sui civili costeranno caro all’ex-falangista che descriverà tutto questo nel suo “I grandi cimiteri sotto la luna”.
Ed ecco qui, proprio qui, la struttura del romanzo che piano piano viene fuori e convince noi lettori. Sempre due punti di vista, o meglio di due in due. Pas Pleurer è il romanzo dei dualismi. Sono tanti e tutti connessi in un movimento furente e circolare che determina quasi un’ “elica narrativa”.
Dualismo fra il racconto orrido di Bernananos nella sua città piana di cadaveri mutilati perché sospetti filo-rossi e il resoconto entusiastico di Montse che in un’estate diventa donna consapevole: in tutte le sfumature che questa espressione può contenere. Dualismo fra la Spagna repubblicana e la Spagna franchista. Dualismo fra il fratello José appartenente ad una sinistra locale arrabbiata e Diego, concittadino dalle posizioni sinistroide più caute ma soprattutto marito di Montse quando, già in cinta per “salvare le apparenze” in paese, decide di sposarsi. Dualismo fra i padri ed i figli. La maggior parte dei genitori, nel luogo di nascita dei protagonisti, tende all’immutabilità delle cose, proprio come non muta l’alternanza delle stagioni che governano le loro terre. I figli, invece, sono stufi dei retaggi di umiltà e povertà. Montse, nel momento in cui viene esaminata come possibile domestica nella ricca casa dei Burgos, è descritta con la frase «Ha un’aria davvero umile» da parte dei potenziali datori di lavoro, che avrebbe dovuto risultare come un complimento. Quella frase Montse non la dimenticherà mai.
Sono ancora tanti i dualismi che pagina dopo pagina si incontrano e poi ritornano, persino i dualismi all’interno degli stessi protagonisti che vivono un sè prima del conflitto ed un sè a conflitto in corso radicalmente differenti, ma alla fine di tutti i racconti presenti, quelli di Montese, quelli di Bernanos ed anche i fatti ed i tradimenti storici riportati con estrema precisione, tutte queste dicotomie finiranno in un’unica risultate che, paradossalmente, mette d’accordo tutti quanti: la volontà bilaterale di tacere.
Il conflitto interno in Spagna è un qualcosa di cui si ha dolore, si ha vergogna, si ha timore. Fratelli contro fratelli, nel vero senso della parola, umiliazioni, mutilazioni, violenze di ogni tipo: uomini scarcerati e poi uccisi appena mettevano piede fuori dalle prigioni, donne gambizzate e poi costrette a pulire, comunque, le chiese in terra, teste fatte esplodere che poi nei resoconti diventavano «congestioni cerebrali»: una violenza animata più dalla follia che dagli ideali di entrambi gli schieramenti.
Proprio qui vanno a confluire le varie eliche “duali” della narrazione. Bene, forse quello che abbiamo fra le nostre mani non è quello che potrebbe sembrare. Più che di un romanzo si tratta di uno fra i più efficaci moniti immaginabili.
Lydie Salvayre ci mostra con gli odori, con i gesti, con l’orrore dei corpi, con la distruzione fra i propri cari, con il ribaltamento delle amicizie, ma soprattutto con il disincanto di un’adolescente che si affacciava alla vita, dov’è che si può arrivare quando si antepongono ciecamente le politiche agli affetti, alle persone, alle donne e agli uomini.
Succede che le politiche cambiano, mutano e si aggiustano, mentre le persone non ci sono più…
E quelle che rimangono? Devono sopravvivvere ai loro fantasmi cercando di… Non piangere.
“Non piagere” di Lydie Salvayre, Valeggio sul Mincio, Prehistorica Editore, 2024
Titolo originale: Pas Pleurer
Traduzione Di Lorenza di Lella & Francesca Scala
Prefazione di Marcello Fois
Foto di Francesco Bordi © tutti i diritti riservati
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Se la storia non è un romanzo e nemmeno un racconto biografico, allora… è Pierre Jourde. Accomodatevi sul suo divano-letto e fate buon viaggio!
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