di Diego Guglielmi
Definire Paolo Cossi (Pordenone, 1980) un autore di fumetti non rende giustizia all’uomo. Tra i suoi talenti è di certo il più evidente: ha la capacità di passare da grandi affreschi storici, come Medz Yeghern, sul genocidio degli Armeni, a brevi strisce umoristiche come Gatto e Strega, comparsa periodicamente sul suo blog. Il suo lavoro, tradotto in molti paesi, ha ricevuto diversi riconoscimenti, ma è anche stato fonte di noie come nel caso del suo fumetto dedicato a Unabomber quando le forze dell’ordine hanno voluto visionarlo prima della pubblicazione perché ritenuto potenziale fonte di disordini. Tra i suoi ultimi volumi, editi da Segni d’Autore, troviamo la favola per bambini Il gatto alchimista e la novella grafica Cloe, la fata verde, dedicata alla fata dell’assenzio. Seduto tra gli stand dell’ARF di Roma, festival del fumetto d’autore giunto alla quarta edizione, Paolo ha lo sguardo irrequieto e le dita macchiate d’inchiostro. Disegna febbrilmente: pochi tratti e sul retro di copertina dei suoi volumi prendono forma profili di donna, bistrot parigini, gatti in cappello a cilindro. Quando i suoi lettori si avvicinano, tuttavia, alza la testa per rispondere alle loro curiosità con grandi sorrisi e un morbido accento friulano. Dà un’impressione di concretezza, dietro l’aria da artista scapigliato. Culturalismi lo ha raggiunto per parlare di fumetti e progetti culturali ma anche di assenzio, montagne, alchimia.
Culturalismi – Allora Paolo, parliamo di Cloe, la fata verde: al di là della sua immagine romantica, ripresa in dipinti e film – basti pensare a Moulin Rouge – la tua fata è un po’ sui generis, piuttosto sfacciata e divertente. Come nasce l’idea?
Paolo Cossi – Nasce da una grande passione per quello che è il mondo ottocentesco della bohème, dei poeti maledetti, ma anche per quella che è la realtà erboristica, quindi distillati, macerati e quant’altro. L’assenzio ha un immaginario che per un artista è molto stimolante, perché questa idea di una fata che compare da questa bevanda, che appare al bevitore – questa cosa non l’ho inventata io ma era proprio un luogo comune all’epoca – mi permetteva di lavorare con un personaggio inventato, fantastico e mi permetteva di ricollegarmi a un periodo storico che amo molto. A questa fata – che mantiene le caratteristiche della fata ottocentesca – cioè una donna a grandezza naturale, senza le orecchie a punta, ho aggiunto due alucce a forma di foglia di Artemisia Absinthium, per caratterizzarla da un punto di vista grafico, come i fuseaux che sono fuori epoca o un tipo di pettinatura che non era propria dell’800. Per ricondurla a quel periodo, invece, ho usato un corsetto a stringhe. Una volta creato il personaggio, è il personaggio che determina la storia, tutto è nato in seguito a lei, è lei che mi ha “raccontato la storia”.
C – La passione per le erbe e i distillati è un tema che ritorna nei tuoi lavori, spesso associato a figure femminili: penso alle strisce di “Gatto e Strega” o a “Benedetta”. Che origine ha questo interesse? L’associazione con la donna ha legami con il folklore del Friuli?
P.C. – Nasce per un problema di allergia all’aspirina e a un antibiotico! A 18 anni, nonostante vari test, non riuscivo a venirne a capo. Essendo una testa dura e un po’ estremista ho detto “vabbè, non prendo più niente”. Quindi ho iniziato a studiarmi le piante in maniera autonoma e da allora non prendo più medicine. In primavera e in estate vado a raccogliere le erbe che mi servono, le secco, preparo tinture madri, estratti idroalcolici, estratti alcolici – anche perché i malanni che mi vengono son sempre quelli, quindi mi sono specializzato a curare quelle cose lì. Finora mi è andata bene! (ride)
Da lì è nata la passione per le piante e per tutto quello che ruota loro intorno. Il passo verso la stregoneria è breve, perché piante e unguenti sono sempre stati usati, già in epoche molto antiche, da quelle definite prima sacerdotesse, poi maghe, poi streghe. Io ho studiato quel mondo lì, anche per vedere quale fosse il nesso tra i rituali magici e i principi attivi delle piante. Ho scoperto che in molte ricette medievali, nei famosi filtri d’amore, ad esempio, di cui sono riuscito a trovare ricette del 1500, le radici utilizzate avevano effetti eccitanti e vasodilatatori, quindi più che proprietà magiche avevano proprietà chimiche (sghignazza). Questo indica una conoscenza molto approfondita delle proprietà della pianta. Solitamente, in Italia, era la donna che gestiva tutto il patrimonio di conoscenze dei principi e della trasformazione delle piante. Questo ovviamente in quella che viene definita “bassa magia”. Quello che in Sudamerica potrebbe essere la curandera, che deteneva quanto serviva a curare la comunità da mali diffusi: dal male al ginocchio, alla bronchite. La comunità si deve rifare a una figura: da noi era la “strega”. Poi c’è un uso molto più sottile, che è quello che ne fanno gli alchimisti, un Paracelso, ad esempio, sviluppa tutto un sistema di cure a partire dalle piante. La pianta viene trasformata e usata con metodi molto più sofisticati che non la semplice essiccazione, la semplice tisana: parliamo di distillazione, estrazione a vapore e via dicendo. Pur essendo una mia passione, resto comunque molto legato alla figura femminile come detentrice di questo sapere, perché se vogliamo è anche la figura più antica.
C – Tra i progetti che hai avviato ci sono un’associazione culturale denominata Màcheri e un archivio del fumetto. Ti va di parlarcene?
P.C. – Abbiamo fondato un’associazione culturale per promuovere il fumetto in tutte le sue forme e svilupparlo, insomma. Per fare questo ho preso tutte le mie collezioni (circa tremila volumi di fumetti d’autore, tirature limitate, sketch-book e quant’altro) e ho aperto una biblioteca in cui la gente può venire, sfogliare, consultare, leggere. Questa biblioteca, che si chiama Archivio del Fumetto d’Alta Quota Paolo Cossi perché appunto siamo in un paese di montagna, ha trovato subito l’appoggio di molte persone, che ci hanno voluto donare i propri volumi (siamo oltre i seimila titoli ora) quindi l’archivio si sta veramente completando, con fumetti popolari, d’autore, graffiti novel, una sezione dedicata ai libri rari, un’altra dedicata ai libri in lingue straniere: ne abbiamo in inglese, in francese ma anche in cinese, in armeno…
C – In cinese?
P.C. – Sì, in parte per far vedere cosa gira nel mondo, in parte perché, pur trovandoci in un paesino molto piccolo in alta montagna, che è il paesino di Andreis, in provincia di Pordenone, d’estate arrivano molti turisti da tutte le parti del mondo ed è bello che possano trovare qualcosa anche loro nella loro lingua d’origine. Poi ci sono sezioni dedicate ai bambini e comunque questo spazio non si limita a essere solo una biblioteca ma ospita anche incontri con gli autori, mostre, spettacoli e anche corsi residenziali di due o tre giorni o anche corsi da un giorno, laboratori per bambini e quant’altro.
C – Di disegno?
P.C. – Per i più piccoli di disegno nel senso più libero del termine, per gli altri sono corsi più legati al fumetto.
C – L’associazione ha un simbolo particolare. Puoi spiegarci il suo significato?
P.C. – Il simbolo è per l’appunto Màcheri, sorta di burattino di legno che ha una testa molto particolare: un pezzo di corteccia con due buchi a formare gli occhi del personaggio. La figura di questa maschera arriva in realtà da una famosa poesia di Federico Tavan, che era forse uno dei più importanti poeti che abbiamo avuto in dialetto o meglio in lingua friulana. Questa poesia racconta dell’unico regalo che ha avuto in vita sua, un regalo che gli aveva fatto il nonno: un pezzo di legno di 50 cm con due buchi che sembrassero due occhi e lui ha scritto questa poesia per ricordare quanto bene avesse avuto dal nonno. Noi abbiamo voluto riprenderlo, perché siamo molto legati alla figura di questo poeta, uomo poliedrico, molto particolare e abbiamo voluto omaggiarlo scegliendo il nome e il personaggio di questa poesia per rappresentare la nostra associazione, che vuole essere creativa e libera come lui.
C – Sappiamo che offri il tuo contributo allo spettacolo teatrale E tornerem a baita. Di cosa tratta e qual è il tuo ruolo?
P.C. – È uno spettacolo di musica e disegno dal vivo, su canzoni della cantautrice trevigiana Erica Boschiero, accompagnata da Sergio Marchesini alla fisarmonica. Lo spettacolo è incentrato sulle storie e le leggende delle Dolomiti e non si può parlare di montagna senza la fisarmonica! Io faccio degli acquerelli dal vivo, proiettati in tempo reale. Raccontiamo questa storia che si sviluppa in un disegno di circa quattro metri di lunghezza e serve a catapultare lo spettatore in un mondo definito, le Dolomiti, ma allo stesso tempo onirico perché ricreato con musica e acquerelli che sono molto veloci, appaiono, scompaiono e lasciano appunto questo sapore di magia.
Foto di Diego Guglielmi ©
Per saperne di più:
https://m.facebook.com/paolocossi
http://cossipaolo.blogspot.com/
https://it.wikipedia.org/wiki/Paolo_Cossi
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