di Francesco Bordi
Un collettivo che si svela oppure l’esperienza individuale con il suo complesso carico di vita?
Il racconto di un borgo è plurale perché si sviluppa nella sua coralità oppure siamo di fronte solamente ad un’indicazione di massima?
“Borgo Lenin” è teatro di vicende oppure è protagonista?
Queste riflessioni trovano risposta in un solo dato davvero chiaro e lampante: la grandissima attenzione che Cinzia Romagnoli riserva al proprio territorio.
Il titolo della Koi Press ci offre uno spaccato di vita del ferrarese negli ultimi anni della seconda guerra mondiale che l’autrice però non si accontenta di raccontarci nello svolgimento di allora, decide anzi di mettere in relazione con l’epoca attuale attraverso un’inchiesta per omicidio portata avanti dalla questura di Bologna.
Di per sé il soggetto in questione potrebbe sembrare originale fino ad un certo punto, perché la narrativa così come la fiction di stampo europeo (e non solo) sono cariche di storie di eventi odierni che hanno avuto inizio nel periodo del conflitto bellico per antonomasia. La differenza, però, sta proprio nell’andamento e nella gestione del “microfono narrativo“. Borgo Lenin infatti non è solamente un romanzo corale, ma può essere definito come una serie di voci raccolte da un’unica “reporter” il cui risultato va in più direzioni. Il filo narrativo è ben presente, ma non è l’unico che viene battuto dalla “regia”. Il lettore fino a circa metà del testo non ha ancora compreso se il protagonista sia Libero, un bambino degli anni ’40 che si divideva tra la voglia di giocare con gli amichetti e la paura di quei soldati tedeschi che spesso “stanziavano” nelle case del suo paesino oppure Fabio Sinigaglia, poliziotto dei giorni nostri di stanza a Ferrara dalla disordinata ma autentica propensione all’introspezione e dotato di un insospettato tatto nei confronti di chi si trova ad avvicinare nelle sue indagini. In mezzo a questi due protagonisti distanti nel tempo (che poi si sfioreranno) compaiono una serie di personaggi che con la propria vita, le paure, le aspettative di vita e qualche colpo di scena decisamente calzante nel racconto daranno vita ad accennati spunti narrativi che andranno a perdersi nel bene e nel male. Tutto questo potrebbe apparire nocivo di primo acchito: il romanzo corale, di norma, va in un’unica direzione mentre qui accanto al filone narrativo sussistono una serie di diramazioni sospette non tutte conclusive e invece… Invece è proprio questo il bello di Borgo Lenin. Come un albero che ha nel suo tronco la struttura portante e nei rami i propri dettagli di bellezza, così il titolo della Romagnoli ha nella vicenda principale la sua struttura narrativa mentre nelle vite accennate degli altri personaggi ha le sue suggestive peculiarità… Proprio come il rigoglioso albero che fa bella mostra di sé al centro della copertina.
Degna di nota l’abilità dell’autrice che si cala perfettamente ora nel bimbo degli anni ’40 (impressionante la descrizione che offre di ciò che passa nella mente di un maschietto di dieci anni), ora nell’anziano pieno di acciacchi nell’epoca di internet passando per il falegname di paese cosi come attraverso i burocrati nelle questure dell’Emilia Romagna. In tal senso il registro narrativo si adegua perfettamente alle caratterizzazioni che di volta in volta vengono approcciate. Si passa dalla staticità del paesino in epoca bellica che a volte tende a trascinare giù il lettore nella pesantezza di quegli anni allo scanzonato approccio alla vita nella stessa provincia dove l’uso estremo dei soprannomi ad ogni costo ed i riferimenti territoriali come bar, pizzerie e condomini pettegoli la fanno da padrone.
A condire il tutto va evidenziata la grande cura con cui l’autrice presenta ogni suo capitolo attraverso un riferimento musicale: si passa da grandi classici come “A Horst with no Name” by America e “Heart of Gold” di Johnny Cash a delle chicche di genere come il compositore estone Arco Pärt (con cui apre e chiuse il testo) o ancora “Paranoid” dei Black Sabbath.
Protagonisti di Borgo Lenin sono quindi Libero, la sua famiglia, gli amici, i tedeschi, Simigaglia, il suo collega in questura i suoi superiori e la sua vicina. E ancora gli anni ’40 ed il borgo così come gli anni 2000 e Ferrara. Credo che Cinzia Romagnoli abbia girato spasmodicamente con il microfono in mano ridendo e piangendo di tutto quello che curiosando scopriva o approfondiva. Poi tutto è diventato suo ed è andata ad unirsi a ciò che già covava dentro di lei per raccontarcelo facendo sempre attenzione a non cadere nella trappola narrativa della retorica della resistenza, bensì mostandone intelligentemente gli efetti nella gente a dstanza di anni. Il risultato? Anche lei fa parte del Borgo non solo di oggi, ma anche del tempo in cui si giocava con gli amici per strada e si piangeva disperatamente se i grandi uccidevano i maiali in casa tua per mangiare facendo sempre finta che i soldati stranieri in paese prima o poi non ci sarebbero mai più stati, cosi come si faceva per tutte le paure da bambini.
Cinzia Romagnoli, “Borgo Lenin”, Milano, Koi Press, 2017
Foto di Francesco Bordi ©
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