di Ornella Rota
PALERMO. Secondo Cesare Brandi, la cifra è “quel nero di fondo, visibile solo nei contorni”, che tiene insieme tutto il quadro “come una musica della tonalità”. Guttuso gli diede ragione: il nero come destino spegne i radiosi rossi, arancioni, grigi, bianchi, verdi. Roberto Andò dice che l’opera “tesse il filo mentale dell’apparire e dello svanire, di ciò che sarebbe potuto essere e non è avvenuto”. E Andrea Camilleri evoca le «donne di fora», sortilegio desiderio e malia, femminilità trionfante come l’attrice che a fine spettacolo attraversa il corridoio fra le bancarelle.
Donato dall’autore all’Università di Palermo nel 1974 e da allora esposto allo Steri, sede istituzionale dell’Ateneo, La Vucciria assurge a metafisica uno squarcio di realtà contingenti e carnali, evoca una fertilità sontuosa speculare alla morte, vive un silenzio stralunato in un tempo denso che sta al di fuori sia del quotidiano che dell’eterno.
Vuccirìa come Sicilia.
Insomma non ci si riesce proprio, a parlare di Sicilia senza emozionarsi.
Se poi l’occasione è la musica, e per di più la musica è di Marco Betta, sarebbe totalmente inutile persino provare, a non emozionarsi.
“Il quadro nero – ovvero La Vucciria, il grande silenzio palermitano” , opera per musica e film di Roberto Andò e Marco Betta, su testo di Andrea Camilleri, ha aperto la stagione del Teatro Massimo. E’ una nuova produzione della Fondazione omonima ed è stata realizzata in collaborazione con gli Archivi Guttuso e con il Comune di Bagheria; direttore dell’Orchestra Tonino Battista, protagonisti Francesco Scianna e Giulia Andò. L’idea dello spettacolo è del figlio adottivo di Guttuso, Fabio Carapezza, che in passato svolse, per qualche tempo, le funzioni di commissario del Teatro; a realizzarla è stato ora il sovrintendente Francesco Giambrone.
Ho immaginato questa partitura come un lago che, racconta il compositore, attraverso continue e sottili variazioni sonore e timbriche, accoglie e riverbera pittura, film e testo. La musica si sviluppa come una sorta di natura morta, di rampicante che avvolge le immagini via via intercettando mondi interiori e delineando un mosaico di figure, frammenti, immagini, colori. Mi piace immaginare che le mie scritture di suoni (dice proprio così, scritture di suoni, mai partiture o spartiti, ndr) richiamino antiche mescolanze di culture, rimandino a visioni esperienze storie che ho attraversato, siano un po’ come un susseguirsi di appunti, una successione di fotografie, di emozioni, di memorie. Un percorso che si snoda un po’ sulla falsariga di un diario, di un’ininterrotta osservazione, di un continuo raccogliere tutta una serie di promemoria che poi nutriranno l’esigenza del comporre. E’ anche un modo per disegnare la mia terra, ombre colori sfumature profili architettonici di Palermo ultima città dell’Occidente e prima dell’Oriente”.
Studi di composizione al Conservatorio e di lettere classiche all’Università di Palermo, primi lavori pubblicati poco più che ventenne con Ricordi e Sonzogno, da allora inviti ed esecuzioni in enti e festival di tutto il mondo. Nel 1993 ha partecipato con Lux aeterna al Requiem per le vittime della mafia su invito di Marco Tutino. E’ stato direttore artistico (dal 1994 fino al 2002) del Teatro Massimo. Ha composto opere liriche, musiche sinfoniche e da camera. Sue sono anche le musiche di scena di spettac
oli teatrali come Paolo Borsellino essendo stato di Ruggero Cappuccio, di lavori televisivi quali Aldo Moro il presidente, di colonne sonore di film. Sul come crearle, Marco Betta tiene corsi al Conservatorio di Palermo, dove è titolare della Cattedra di Composizione, e al Master of Music della Louiss di Roma.
Delle sue colonne sonore, la più famosa è W la libertà, regia di Roberto Andò, tratto da un romanzo dello stesso (protagonista un grandissimo Toni Servillo). Cominciata nel 1990 con La sabbia del sonno – spettacolo in prosa sulla grande eredità della musica popolare siciliana antica e contemporanea -la collaborazione con Andò e proseguita fino a oggi. Fra le opere più note, Il manoscritto del principe (a Palermo negli anni ’50, vita, vicende, opere e rapporto fra lo scrittore siciliano Giuseppe Tomasi di Lampedusa e il giovane allievo Marco, mentre in un cassetto giace il manoscritto de Il gattopardo).
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