di Francesco Bordi
Dieci donne da soddisfare nell’animo e nel corpo possono essere una bella sfida per un sessantenne, specialmente se affrontate tutte nell’arco delle ventiquattro ore.
Ma allora è solamente un romanzo maschilista quello del “finlandesissimo” Arto Paasilinna? Non esattamente. Esiste una certa complessità nella struttura di “Kymmenen Riivinrautaa” o “Le dieci donne del cavaliere” uscito in Italia per quegli infaticabili amanti del Nord-Europa letterario di Iperborea.
L’intreccio in senso stretto è, in realtà, piuttosto semplice. Rauno Rämekorpi è un industriale di successo che in concomitanza del suo sessantesimo compleanno oltre ai numerosi auguri e presenti da vari privati e da tutte le istituzioni finniche riceve anche il titolo di Cavaliere del Lavoro conferitogli ufficialmente dalla Presidenza della Repubblica. La bella casa in cui vive con la moglie Annikki viene così invasa da fiori di ogni tipo correlati da leccornie varie tipiche delle zone locali e scandinave come aringhe, salmone e distillati di varia fattura. La forte allergia a piante e fiori della signora sarà la scusa ufficiale con cui il protagonista, forte della sua conclamata signorilità e magnanimità, potrà andare ad omaggiare alcune vecchie “amiche” che a diverso titolo avevano, o in precedenza avevano avuto, a che fare con la sua azienda. Gran peccato sarebbe stato infatti portare alla discarica tutti quei riconoscimenti floreali ricevuti in dono con il cuore, meglio pertanto regalarli a propria volta assieme a tutte le improvvise bontà culinarie di certo eccessive per due persone sole. Così con l’aiuto del fido tassista Seppo Sorjonen, Rauno si recherà dalle sue altre nove compagnie femminili per dimostrare il proprio “affetto”. Ogni visita sarà chiaramente accompagnata da un momento di intensa passione carnale su cui il suo complice al volante osserverà la massima riservatezza. Il giro si dimostrerà talmente soddisfacente che il capitano d’industria del settore idromeccanico penserà bene di ripetere questo ciclo di visite il giorno della vigilia di Natale, in modo tale da poter nuovamente omaggiare le signore. Stavolta però l’esito non sarà il medesimo. Le dieci donne infatti hanno ormai scoperto l’entità e soprattutto l’alto livello di “farfallonaggine” e sessismo di Rauno che, di conseguenza, sarà vittima di una punizione corale ed esemplare.
La trama è pertanto fin troppo lineare tuttavia tale sviluppo narrativo poggia su delle fondamenta di cui è opportuno sottolineare la provenienza. C’è tanto dell’italico narrare in queste dieci donne del cavaliere. La struttura del romanzo infatti non può non richiamare alla mente il nostro Boccaccio nazionale. L’omaggio al grande autore trecentesco è ben visibile non solo nella tipologia descrittiva dei rapporti edonistici del protagonista con le varie donne che si susseguono nel percorso, ma ancora è presente nella stessa scelta numerale delle co-protagoniste in numero di dieci come dieci sono le giornate del Decamerone. Si tratta di un numerale che ricorre prepotentemente nell’opera somma del maestro ed il dubbio bonario che il sempre buon Paasilinna ne abbia in una qualche misura tenuto conto include a sua volta una buona dose di sicurezza. Andando ancora più nel dettaglio la natura degli approcci e le piccole storie legate ad ogni singola compagna di letto sono rapportabili a dei tratti narrativi boccacceschi: la seduzione tramite lusinghe, la messa in mostra delle nudità con blande scuse, il raggiro femminile per ottenere benefici dal maschio ed contro-raggiro maschile per ottenere quanto più sesso possibile, quindi il travestimento per divertirsi a celare intenzioni invece molto più che dichiarate o ancora la presenza della figura dell’aiutante in secondo piano di livello sociale ma a volte più saggio negli sviluppi del quotidiano, che tanto piede prese nella creazione letteraria successiva al Decameron. Sono solo alcuni degli aspetti riscontrati che potrebbero essere ricondotti all’Autore fiorentino.
Il possibile richiamo non deve stupire dal momento che la grande opera, forse scelleratamente, chiamata in causa ebbe già di per sé fonti molteplici che andavano dalla letteratura greca ai Fabliaux francesi. A questo va poi aggiunto che il Decameron ebbe un’influenza impressionante su tutta l’Europa d’allora e dei secoli successivi: un esempio su tutti è costituito dai “Racconti di Canterbury” di Geoffry Chaucer. Perché dunque stupirsi di un’eventuale ispirazione originaria del nostro Stivale? Tanto più che nelle pagine finali del testo è presente una descrizione di alcune località italiane visitate da una delle donne di Rauno Rämekorpi; si legge delle bellezze artistiche di Roma, del Vaticano ed anche di Pompei. Dal breve affresco esce fuori un’Italia da cartolina ma non troppo in cui non poteva mancare l’apprezzamento per la nostra arcinota e gustosa cucina nonché per la «proverbiale generosità degli Italiani».
Le considerazioni strutturali esposte non devono però fuorviare i lettori: Paasilinna è sempre Paasilinna, una bandiera vivente dello stato finlandese che non scorda mai nei suoi romanzi di descrivere vizi debolezze e manie dei suoi connazionali con un contestuale amore per le piccole cose del suo quotidiano che anche solo per un attimo seducono chi si dedica ai suoi lavori. Nello spazio di un racconto circa una colazione, di un dialogo con un negoziante o ancora in due righe dedicate all’illustrazione di una pianta o un volatile, Arto tradisce un affetto per il suo Paese che miete consensi e produce voglia di visitare quelle terre. Si tratta di una Finlandia mai banale e mai scontata che anzi nel momento in cui è percepibile nell’aria il rischio di una sorta di stereotipizzazione corre immediatamente ai ripari prendendosi in giro da sola. Rimanendo sul suolo nordico c’è sempre una pacata denuncia sociale nell’autore e Kymmenen Riivinrautaa non fa eccezione in tal senso. La stessa scelta delle caratterizzazioni femminili rispecchia la volontà di mostrare dieci tipologie di donne ora deluse ora illuse rispetto alla vita: Sonja è una giornalista che si è persa nell’alcool, Evelina è una comunista leninista disillusa, Ulla-Maija è la donna attempata che rimpiange il tempo in cui rampante e maggiormente avvenente organizzava feste ed eventi di gran classe. Sono solo alcune delle esemplificazioni che ci vengono presentate: tutte dal retrogusto amaro. Ben inteso che le sequenze divertenti e dissacranti non mancano nel romanzo, anche in questo senso Paasilinna è sempre Paasilinna. La scena dell’industriale in frac che si getta all’inseguimento di l’ex marito violento e molesto della signora Kirsti nel Museo Nazionale armato di oggetti rimediati nelle sale delle esposizioni, così come la preparazione del nuovo giro “al femminile” dell’imprenditore nel giorno della vigilia di Natale, travestito da Santa Claus con la particolare variante di una specie di “tasca” rimovibile all’altezza delle sue parti più intime costituiscono dei passi umoristici davvero notevoli. Tuttavia rimane il fatto che l’intero lavoro del finlandese è permeato da un velo di malinconia anche se talvolta l’autore ne fa un uso puramente funzionale alla narrazione. Non si tratta di una novità assoluta nel buon Arto, ma il calare questo sentimento o meglio questa sensazione di vita in relazione agli animi femminili produce probabilmente un effetto più forte.
Il risultato è una lettura che scorre piuttosto piacevolmente anche se tende a non fissarsi troppo nella memoria storica del lettore, soprattutto quello nostrano. Si avverte infatti, anche se in misura leggera, la mancanza di un maggiore approfondimento dei protagonisti le cui storie ed i cui sostrati sono sì presenti (lo stesso Rauno non ha sempre avuto una vita di successi) ma forse in maniera alquanto accennata. Si insiste molto sulle dinamiche delle relazioni, sull’approccio passionale e sulla logistica degli eventi, mentre sarebbe stato fortemente apprezzabile un background più profondo nell’intimo di tutti questi attori. Dal libro del grande autore scandinavo è stato tratto un film nel 2002 dal titolo omonimo. Abbiamo ragione di ipotizzare che la pellicola realizzata sia piuttosto fedele al testo dal momento che si tratta di una vicenda che ben si presta a trasposizione cinematografica in considerazione del fatto che si basa fortemente sull’azione e sul rapido avvicendamento delle signore con il protagonista.
Paasilinna è tradotto in molti stati e storie come questa hanno di sicuro un buon successo di pubblico anche perché sono ben concepite rispetto al genere d’appartenenza. La motivazione della possibile difficoltà di rimanere nel ricordo storico dei lettori italiani è data dal fatto che mentre nella stragrande maggioranza delle altre nazioni queste tipologie di vicende sono peculiari e quindi si fissano nella mente e nel cuore di chi ne gusta la creatività soffermandosi sul grottesco delle dinamiche, in casa nostra storie e storielle come quella di Rauno Rämekorpi costituiscono la normalità. Da noi la realtà spesso, nel bene e nel male, supera davvero e di gran lunga l’immaginazione.
Anche per questo motivo la scelta di tradurre il titolo originale non in maniera letterale bensì con l’espressione “Le dieci donne del cavaliere” risulta molto emblematica per il lettore…
Arto Paasilinna, “Le dieci donne del cavaliere”, Milano, Iperborea, 2011
Titolo originale: “Kymmenen Riivinrautaa”
Per ulteriori info sul titolo: http://iperborea.com/titolo/278/
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